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Il 5 giugno scorso, nella sua casa di New York, è morto Jerome S. Bruner, uno dei principali esponenti della rivoluzione cognitivista in psicologia e tra i padri fondatori della psicologia culturale. Studioso versatile, nella sua lunga vita (è morto a 101 anni) si è interessato a tematiche diverse con un approccio interdisciplinare, dando sempre un contributo originale e decisivo: ricordiamo i suoi studi sull'acquisizione del linguaggio, sulla percezione, sulla narrazione e il diritto, sull'apprendimento e sulle metodologie di insegnamento. Da ricordare anche il suo impegno politico-sociale contro il razzismo e la pena di morte.

Amico affezionato dell'Italia e del nostro Ateneo, è venuto a Pisa diverse volte per partecipare a convegni, seminari, corsi di formazione. Nel luglio 2011, nel Palazzo della Sapienza, si è tenuto un seminario dal titolo “Jerome S. Bruner. Law, literature and life” interamente dedicato allo psicologo americano. L’evento era organizzato dalle Scuole di dottorato in “Discipline Umanistiche” e in “Scienze Giuridiche” dell’Università di Pisa, insieme al Centro Interdisciplinare “Scienze per la Pace” ed in collaborazione con la Scuola di dottorato in “Human Sciences – Behaviour and social relations sciences” dell’Università di Macerata.

Per ricordare e omaggiare Bruner, pubblichiamo qui di seguito l'articolo del 2011 in cui avevamo raccontato il suo intervento in Sapienza.

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Bruner: letteratura, diritto e vita

bruner 2016Per tre giorni Pisa ha ospitato uno dei più grandi rappresentanti della psicologia contemporanea: Jerome Bruner. Studioso di psicologia, di diritto e di letteratura, Bruner, uno dei padri del cognitivismo e della psicologia culturale, può essere definito un grande umanista dei nostri tempi. L’ultimo dei tre incontri, che si è tenuto il 6 luglio a giurisprudenza, è stato dedicato ai rapporti tra diritto, letteratura e vita. Un incontro molto partecipato, tanto che è stato necessario trovare un’aula più grande, mentre il novantaseienne professor Bruner aspettava pazientemente su una panchina nel cortile della Sapienza.

Poi l’aula è stata scelta, si è riempita, e alla fine, sorridente e appoggiandosi sul suo bastone è entrato in aula Jerome Bruner, che risponde abbastanza ai cliché del vecchio saggio, con la faccia abbronzata e segnata da profonde rughe e gli occhi ingranditi e un po’ deformati dalle lenti degli occhiali. Dopo le presentazioni di Daria Coppola e Pierluigi Consorti, Bruner è “saltato”, come ha affermato, al cuore del tema del suo intervento: la necessità del rapporto tra letteratura e diritto, quindi la necessità di una forte interdisciplinarità nella ricerca e nella didattica accademica. Quell’ interdisciplinarità che, ha riconosciuto Consorti nella sua introduzione, suona ancora scandalosa, specialmente in ambito giuridico in Italia.

Il rapporto tra letteratura e diritto è invece secondo Bruner fondamentale: sia la letteratura che il diritto descrivono, ognuno a suo modo, la realtà sociale in cui hanno radici comuni. Mentre la letteratura però esplora le possibilità della vita, ciò che potrebbe essere, il diritto impone delle costrizioni, limita le possibilità dentro delle norme, ed è sostenuto in questa limitazione dal complesso e potente apparato repressivo (magistratura e forze dell’ordine) di cui sono dotati gli stati moderni. Nelle aule di tribunale anglosassoni, i testimoni cominciano alzando la mano destra e dicendo “Giuro di dire la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità”. È impossibile, chiosa Bruner ridendo, però è chiaro che il diritto vuole la verità, mentre la letteratura vuole la verosimiglianza, ha come criterio ciò che è umanamente possibile. Nonostante le loro grandissime differenze, diritto e letteratura hanno però bisogno l’uno dell’altra, condividono un approccio umano alla nostra condizione: condividono un modo di pensare “narrativo”, il modo in cui diamo senso alla condizione umana.

piabruner

Per definire cosa è la narrazione Bruner ha come punto di riferimento un grande del pensiero classico, Aristotele, e il suo concetto di “peripeteia”, lo sconvolgimento delle attese per un evento imprevisto. Al centro di ogni buona storia c’è una violazione di un codice di norme, perchè ogni storia ha una sottostante assunzione di valori: la narrazione procede col tentativo di rimettere a posto le cose, di trovare una soluzione allo sconvolgimento che è successo. Un altro grande punto di riferimento è Michail Bachtin quando afferma che la funzione della letteratura è di rendere strano ciò che è familiare. Bruner mima la letteratura: la letteratura ti acchiappa per la giacca e dice “Ehi , aspetta un momento! Ti pare normale tutto questo?”. La letteratura ha quindi un carattere sovversivo e disturbante.

Nel suo corso ad Harvard Bruner ha deciso di alternare di settimana in settimana lo studio di casi giuridici allo studio di casi letterari: ad esempio è stato chiesto agli studenti di fare un’analisi giuridica dell’Orestea di Eschilo, che è particolarmente significativa per i suoi rapporti con il diritto. Allo stesso tempo anche i casi giuridici vengono studiati dal punto di vista letterario. La giustizia e il diritto devono gestire il conflitto tragico, e hanno bisogno della letteratura per comprendere la tragedia.

“Le tre giornate con Jerome Bruner” afferma Daria Coppola, del Dipartimento di Linguistica, una delle organizzatrici dell’iniziativa “sono state un’importante occasione di apertura dell’Università, di contatto tra il mondo accademico, la provincia, il comune e le scuole del territorio. Spesso all’università si raggiungono risultati nel campo della ricerca di cui le scuole sono del tutto all’oscuro. Allo stesso tempo nelle scuole molti insegnanti sperimentano sul campo metodologie innovative che sarebbero estremamente interessanti per il mondo accademico. Gli incontri con Bruner sono stati una preziosa occasione non solo per riflettere assieme su temi importanti, ma anche per prendere contatti e gettare i semi per future collaborazioni.”

“L’importanza di figure come Bruner” continua Coppola “sta anche nel suo insistere sull’interdisciplinarità della ricerca e dell’attività accademica. A volte ci si chiude a coltivare il proprio giardinetto e si guarda solo a quello, senza accorgersi, a causa dei muri di recinzione, degli altri giardini che ci circondano; se si abbattessero le recinzioni, anziché avere tanti piccoli giardini avremmo un bel parco da coltivare assieme, con maggior beneficio per tutti. Oggi, con l’affermarsi di modelli aziendali anche per l’università, si insiste troppo sulla competizione e poco sulla collaborazione. Un grande maestro come Bruner ci ricorda che nel 21° secolo la ricerca o è interdisciplinare o non è”. 

(7 luglio 2011)

distintivo lituaniaIl 28 maggio 2016, nei locali del Padiglione Baltico della Biennale di architettura di Venezia, il professor Pietro Umberto Dini del dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica dell’Università di Pisa ha ricevuto la più alta onorificenza del Ministero della Cultura della Repubblica di Lituania, il distintivo onorario d'oro “Nešk savo šviesą ir tikėk” (Porta la tua luce e credi) per la diffusione della cultura lituana attraverso le ricerche sulla lingua, per la quantità e qualità delle traduzioni, la collaborazione con le case editrici, le presentazioni di poeti lituani in Italia, per il coerente e attivo operato presso la cattedra di Baltistica dell’Università di Pisa.

Pietro Umberto Dini premiazione

Il distintivo onorario d’oro è stato personalmente consegnato dal Ministro della Cultura della Repubblica di Lituania, Šarūnas Birutis, alla presenza dell’ambasciatrice di Lituania in Roma, Jolanta Balčiūnienė.

Durante la cerimonia di conferimento il ministro della Cultura ha sottolineato il fatto che il professor Dini cominciò a interessarsi delle lingue baltiche quando ancora poche persone se ne occupavano, cioè negli anni Ottanta del secolo scorso, e che ancora oggi continua a studiarle e a diffonderne la conoscenza in Italia.

Da parte sua Pietro Umberto Dini si è rallegrato della ormai trentennale collaborazione in atto con varie istituzioni accademiche e culturali lituane nella ricerca sul lituano e sulle altre lingue baltiche e della costante reciproca attenzione che c'è stata in tutti questi anni. Ha sottolineato che il suo compito non è ancora concluso, ha espresso preoccupazione per il futuro dell'unica cattedra di Filologia baltica in Italia presso l’Università di Pisa e ha affermato che costruire il futuro della filologia baltica in Italia è lo stesso che approfondire e coltivare i rapporti culturali fra Italia e Lituania.

Dini ha pubblicato una ventina di libri su temi vari di baltistica, ha fondato e dirige la rivista “Res Balticae”. Il suo libro “Le lingue baltiche” è stato tradotto e ampliato in lituano, lettone, russo e inglese.
Pietro Umberto Dini

È uno dei più attivi traduttori della letteratura lituana, di prosa (Juozas Aputis, Bronius Radzevičius, Jurga Ivanauskaitė, Saulius Šaltenis), di saggistica (Leonidas Donskis) e soprattutto di poesia (Justinas Marcinkevičius, Vytautas Mačernis, Kazys Bradūnas, Tomas Venclova, Sigitas Geda, Kornelijus Platelis, Gintaras Grajauskas, Jonas Mekas, Antanas A. Jonynas e altri ancora).

Pietro Umberto Dini è membro corrispondente dell’Accademia delle Scienze di Lettonia, di Lituania e di Gottinga e dottore honoris causa dell'Università di Vilnius. Per i meriti in ambito lituanistico e baltistico è stato insignito dell'Ordine del Granduca di Lituania Gediminas, della medaglia delle Accademie delle Scienze baltiche, del Premio Iglesias, del Premio W.F. Bessel della Alexander-von-Humboldt-Stiftung, del premio J. Endzelīns, del Premio San Gerolamo e per due volte del Premio Primavera della poesia per la traduzione letteraria.

studenti2Il 74% dei laureati magistrali biennali dell’Università di Pisa, compresi coloro che sono in formazione retribuita, ha trovato occupazione a un anno dal conseguimento del titolo, con un guadagno mensile netto che è in media di 1.224 euro. Sono questi i dati principali che emergono dal XVIII Rapporto sul profilo dei laureati e sulla condizione occupazionale, presentato nelle scorse settimane da AlmaLaurea, il consorzio interuniversitario a cui dallo scorso anno ha aderito anche l'Ateneo pisano.

“Le attività di monitoraggio condotte annualmente da AlmaLaurea – dichiara la professoressa Monica Pratesi, delegata del rettore alle attività di Job Placement - sono il punto di riferimento per la valutazione della situazione occupazionale dei laureati e, grazie al fatto che ormai il consorzio comprende 73 università, cioè la quasi totalità degli atenei italiani, essi consentono di confrontare i dati di Pisa con quelli nazionali. Da questo confronto emerge, ad esempio, che i dati che riguardano i laureati pisani sono migliori sia rispetto alla media toscana che a quella nazionale, dove si registrano rispettivamente il 72 e il 70% di laureati magistrali che hanno trovato lavoro a un anno dal titolo, mentre il guadagno netto mensile si attesta rispettivamente sui 1.144 e 1.132 euro, contro la media di 1.224 euro dei laureati pisani”.

A cinque anni dalla laurea nell'Ateneo pisano, la percentuale di occupati sale all'85%, di cui il 72% ha un posto stabile, con una retribuzione che tocca i 1.473 euro mensili netti. I laureati magistrali pisani sono inseriti per il 77% nel settore privato e per il 20% nel pubblico, mentre il restante 3% lavora nel non-profit. L'ambito dei servizi assorbe il 71% degli occupati, contro il 27% dell'industria.

studenti3Per quanto riguarda il profilo dei laureati, l'indagine AlmaLaurea conferma soprattutto la forte attrattività dell'Ateneo pisano, con il 34% di laureati che proviene da fuori regione, una percentuale che sale al 46% per i soli laureati delle magistrali. Per il resto, il 42% dei laureati ha svolto durante il proprio percorso formativo dei tirocini riconosciuti, il 9% vanta esperienze di studio all'estero, in primo luogo l'Erasmus, e il 57% ha avuto almeno un'esperienza lavorativa.
Per quanto riguarda, infine, il gradimento del proprio percorso formativo, l'83% dei laureati dell'Ateneo è soddisfatta del proprio rapporto con i docenti, il 79% valuta positivamente i servizi bibliotecari e il 67% considera adeguate le aule di studio, mentre, nota meno positiva, solo il 28% ritiene adeguate le postazioni informatiche. Complessivamente, l'80% dei laureati si riscriverebbe all'Università di Pisa, anche se l'11% di questi sceglierebbe un altro corso di laurea.

La fotografia dei laureati dell'Università di Pisa è scaturita dalle interviste con 6.770 laureati, dei quali 3.740 di primo livello, 2.154 magistrali biennali e 836 a ciclo unico, mentre per l'indagine sulla condizione occupazionale sono stati coinvolti 11.940 laureati, di primo e secondo livello, degli anni 2014, 2012 e 2010, intervistati rispettivamente a uno, tre e cinque anni dal raggiungimento del titolo.
La scheda completa con il Rapporto 2016 sul profilo e la condizione occupazionale dei laureati dell'Università di Pisa è disponibile sul sito del Job Placement http://goo.gl/UCRuPe

dante posticipatoMostrare quanto sia ancora viva la presenza di Dante nella cultura contemporanea e far vedere quanto essa incida sull’immaginario collettivo. Nasce così “Dante Posticipato”: dal 25 al 28 maggio, in occasione del 751esimo anno dalla nascita, la città di Pisa ospiterà una serie di iniziative dedicate al Sommo Poeta. Il progetto è ideato da Marco Santagata e sostenuto dal Comune di Pisa, in collaborazione con Università di Pisa, Fondazione Teatro di Pisa, Regione Toscana, Fondazione Blu, Museo della Grafica.

Saranno quattro giorni intensi, introdotti da una lezione di Walter Siti, che vedono coinvolti alcuni importanti protagonisti della cultura italiana: dalla critica letteraria alle arti visive, dalla poesia alla narrativa, dal teatro al cinema, dal mondo della scuola a quello della comunicazione. Molti e diversi saranno gli spazi cittadini interessati, un modo per ricordare che Pisa può essere considerata una città dantesca a pieno titolo, come sottolineato da alcuni appuntamenti in calendario. Giovedì 26 maggio alle 15,30 nell’auditorium di Palazzo Blu c’è ad esempio la tavola rotonda “Dante e/a Pisa” coordinata da Adriano Prosperi alla quale partecipano Fabrizio Franceschini, Giuseppe Petralia, Diego Quaglioni, Mirko Tavoni e Marco Santagata.

"Se si pensa alle 'città di Dante' - spiega Marco Santagata ordinario di Letteratura Italiana dell’Ateneo pisano - vengono in mente la Firenze della sua nascita, dell'amore per Beatrice e delle lotte politiche, oppure la Verona scaligera, legata al tema del duro esilio, e poi Ravenna associata alla sua morte. Ma, oltre al Dante delle lotte politiche municipali e a quello esule e sconfitto, ce n’è un altro impegnato in un progetto di costruzione di un nuovo ordine italiano ed europeo che proprio a Pisa dal 1312 al 1313, alla corte di Enrico VII e per l'imperatore, scrisse il trattato politico La Monarchia".

E, per chi volesse seguire le tracce di Dante e dei suoi commentatori, sabato 28 maggio, alle 10, partirà da piazza del Carmine un tour dantesco attraverso la città. “Sarà una passeggiata di circa un’ora – racconta Fabrizio Franceschini, ordinario di Linguistica Italiana all’Università di Pisa, che farà da guida – e dal Carmine, associato al commentatore Guido da Pisa, porterà al palazzo dei Gambacorti nell’attuale Corso Italia, più volte soggiorno degli imperatori, al chiostro di S. Francesco (associato al Buti e ad altri glossatori) e sino alla Torre della Muda, nella moderna piazza dei Cavalieri, dove fu incarcerato il conte Ugolino”.

szymborskaleggÈ appena uscito in libreria “Szymborska, la gioia di leggere. Lettori, poeti, critici”, il primo libro dedicato in Italia all'opera della poetessa polacca premio Nobel. Il volume, edito dalla Pisa University Press e curato Donatella Bremer e Giovanna Tomassucci, docenti dell’Università di Pisa, sarà presentato mercoledì 4 maggio alle 17 nell’aula magna di Palazzo Matteucci alla presenza delle curatrici e di Mauro Tulli, Alfonso Berardinelli, Stefano Brugnolo, Fausto Ciompie e Giacomo Cerrai.

Pubblichiamo qui il contributo della professoressa Anna Maria Carpi presente nel volume.


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Sono autrice di prosa e di poesia, studiosa e traduttrice della poesia tedesca e, se nei testi della poetessa polacca riconosco con piacere, tramite il russo, alcune parole, dipendo dalle traduzioni di Pietro Marchesani e dalla sua edizione delle Opere, Adelphi, del 2008. Il Convegno pisano ha proposto a relatori e pubblico quattro domande relative al successo di Wisława in Italia, successo lento, limitato malgrado il Nobel del 1996 e poi promosso da un intervento di Roberto Saviano in TV: in TV, luogo quant’altri mai alieno per la signora polacca nata negli anni Venti (1923). Prima domanda, la più interessante: quali sono in Wisława gli “elementi trascinanti”? Sì, trascinanti perché da chi l’ha letta viene immancabile, carica d’affetto, l’esclamazione: ah, la Szymborska!

Domande: già un suo testo giovanile s’intitola Domande poste a me stessa (1954 [D 19-21]). Perché è domandando senza posa che Wisława si rivolge a quanto la circonda. Da improvvise lontananze e improvvise vicinanze, dall’esperito o dall’immaginato Wisława cerca di capire cosa sono le cose e gli altri esseri viventi, e sa bene di afferrare poco o nulla, ma non se la prende e non si deprime. Perciò amiamo il morbido scetticismo o meglio agnosticismo di Wisława, intriso di una benevolenza ed equanimità che sollevano il lettore dal dovere di prendere posizione. Il suo fascino sta in questa aggraziata mobilità, nel rifiuto di ogni dura posizione etica, come pure – altro specifico di Wisława – nel suo militante NO al “sublime”: “il mondo non merita la fine dal mondo” è un suo detto fra i più noti. È solo una battuta di spirito, però piena di saggezza.

Ma non è tutto: a differenza di tanti poeti del ’900 e di questo scorcio di 2000 – Wisława non fa teorie e non propone definizioni proprie o altrui della poesia: nulla di simile nella sua lunga attività di critica-giornalista letteraria a Cracovia e nemmeno, contro ogni aspettativa, nel suo discorso per il conferimento del Nobel nel 1996. Leggete Ad alcuni piace la poesia [1993, FI 501] dove non si va oltre quel “piace” diverso da individuo a individuo che usiamo per il cibo il vestire e i gesti più correnti, per poi trincerarsi energicamente dietro un ripetuto “non lo so” a cui Szymborska si aggrappa come a un “corrimano”.

Onnipresente ironia che rifulge quando Wisława vira al comico e non disdegna neanche i microchoc del limerick. Ma quanti autori seri e anche tragici non danno, loro malgrado, il massimo di artisticità nel comico? Potrei citare passi dell’Uomo senza qualità di Musil e anche il Thomas Mann che Wisława tanto ama (Thomas Mann, 1967 [US 243]), il cui capolavoro è forse l’incompiuto Felix Krull, o ancora il Kleist degli Aneddoti e della Brocca rotta. Del comico Wisława ci dà un gustoso esempio in Serata d’autore (1962) che si apre con un “O musa, essere un pugile o non essere affatto” [S 149]. Al comico appartengono peraltro i bizzarri collages di Wisława, e non è forse imparentato con il comico il suo noto gusto per sommari, note, indici, citazioni, ossia per la filologia nel suo formicolare intorno a un testo? Il comico non opera sempre su un’inattesa sproporzione?

Ora non vorrei aver rinchiuso Wisława in questa dimensione. C’è un’immagine significativa, la famosa xilografia (1856) del giapponese Hiroshige Utagawa, Gente sul ponte: visione dall’alto su un’acqua immensa attraversata in obliquo da un ponte, sul ponte quattro omini con gli ombrelli aperti, lo sconfinato spazio rigato da cima a fondo da un pioggia battente. Di qui viene, credo, il titolo della raccolta del 1986: perché, credo, riassume la condizione umana. Che non è disperata, anzi offre delle nicchie di confort: nella fiabesca Di una spedizione sull’Himalaya non avvenuta (1957, AY 85) Wisława segnala, con il sorriso sulle labbra, i vantaggi, e l’interlocutore è il mitico animale selvaggio, “mezzo Uomo-luna”, da lei invitato a lasciare l’Himalaya per rientrare nella dopotutto accettabile mediocrità umana.

Wisława tutto è fuorché una sovversiva. In Notte [AY 33-37] ragiona, in una specie di ballata, su Isacco, un bambino che, non avendo commesso nemmeno una delle tipiche marachelle infantili, è però condannato dal dio biblico a essere sacrificato dal padre Abramo. Tutto è qui ridotto all’umile quotidiano: Dio visto come un uccello volato dentro casa, Dio in cucina con Abramo, l’odio del bambino inerme, che però dice no al contrordine che lo vuole salvo: “io morirò, / non mi lascerò salvare!” Ma Dio stesso provvederà alla svolta, alla salvezza – ecco la chiusa inaspettata – cominciando “il trasloco/ dal letterale/ al metaforico”. Ossia verso il linguaggio della poesia. Cosa sia la poesia non sappiamo, ma è l’unico movimento possibile e, posto che ci sia, la salvezza. E quando Wisława vuole abbracciare il tutto, vede che tutto, cielo e terra, prossimo e remoto, perfino l’interno del proprio corpo, è un unico cielo e un contenitore ermetico:

Mangio cielo, evacuo cielo.
Sono una trappola in trappola, un abitante abitato,
un abbraccio abbracciato,
una domanda in risposta a una domanda. (Il cielo [FI 493]).

Come ritrovare Wisława se qualcuno dovesse cercarla? Con un solo gesto ci fornisce, succinti come su una carta d’identità, i suoi due “segni particolari”: “in canto e disperazione”. Sappiamo bene di che si tratta, meglio di così non si poteva dire: una rara fulminea sonda nella propria psicologia, due opposti, due momenti contigui di quell’”anima”, da Wisława mai nominata se non in Nulla è in regalo, dove protesta contro un conto in banca aperto a suo nome:

La protesta contro di esso
la chiamiamo anima.
E questa è l’unica voce
che manca all’inventario. [FI 553]

Szymborska non parla mai di sé: nessun io lirico in libertà. “Qui giace”, dice in Epitaffio (1962) “come una virgola antiquata / l’autrice di qualche poesia” [S 151]. Crea solo dei punti di vista. Nel Silenzio delle piante (2002) le piante chiedono:

che significa guardare con gli occhi,
perché mi batte il cuore
e perché il mio corpo non ha radici. [A 579].

Ma ancora una volta: – Che ne so io, Wisława? – Ti manca “il senso del partecipare” le spiega una pietra con la quale conversa [S. 179].
Qui si riproporrebbe l’interrogativo: il poeta è un fuori del mondo o invece il suo più implicato testimone? Vecchia storia. Wisława non arde mai per nulla – questo è il limite della sua poesia – ma ci compensa con un tepore costante: Wisława è una fata buona, mai giudicante, e a quanto pare di nulla abbiamo oggi più bisogno che di questo. Di qui il suo successo? E perché no? Uomini, alberi, animali, cose hanno in Wisława lo stesso statuto, in un sottinteso che fare se non restare insieme. Ancora due esempi, due testi, pluricitati, diventati quasi popolari Il gatto in un appartamento vuoto [FI 523-525] e Monologo di un cane coinvolto nella storia [DP 655-657]. Qui, con pietà e ironia, Wisława suscita quel ben noto e irresistibile misto di riso e di tenerezza che ci ispirano i due esseri più fratelli dell’uomo.
Inconfondibile Wisława.

Anna Maria Carpi

Szymborska La gioia di leggereIn Italia, paese in cui molti scrivono poesie, ma pochissimi le leggono, Szymborska piace. Da questa semplice, perfino banale constatazione, è nato il primo libro dedicato in Italia all'opera della poetessa polacca “Szymborska, La gioia di leggere. Lettori, poeti, critici” (Pisa University Press, Pisa, 2016) curato Donatella Bremer e Giovanna Tomassucci, docenti dell’Università di Pisa. Il volume sarà presentato a Pisa il mercoledì 4 maggio alle 17 nell’aula magna di Palazzo Matteucci in Piazza Torricelli a Pisa alla presenza delle curatrici e di Mauro Tulli, Alfonso Berardinelli, Stefano Brugnolo, Fausto Ciompie e Giacomo Cerrai.

Nobel per la Letteratura 1996, la poetessa polacca ha conquistato nel nostro paese decine di migliaia di lettori e a tutt’oggi i suoi versi e la sua figura vengono frequentemente citati sulla stampa, alla radio e alla TV, comparendo in canzoni e spettacoli teatrali, in graphic novel e soprattutto in centinaia di siti web, blog e video.

“La predilezione per l’opera di Szymborska si è trasformata in un atipico fenomeno sociale – spiega Giovanna Tomassucci – e in questa raccolta di saggi ci siamo proprio interrogati su quali siano gli elementi propulsivi di questo consenso condiviso, chiedendoci allo stesso tempo il perché la poesia di Szymborska, malgrado, o forse proprio a causa del suo appassionato pubblico di lettori e di una fama di autrice non complessa, abbia finora stimolato scarse letture critiche in Italia”.

Un volume ricco di testimonianze raccoglie anche due inediti della poetessa: un collage “italiano” ispirato alla Torre di Pisa (foto) e una poesia del 1985, mai apparsa in Italia, “Dialettica e Arte”. I saggi che compongono il libro sono riflessioni di poeti (Anna Maria Carpi, Alba Donati, Paolo Febbraro) e critici (Alfonso Berardinelli, Donatella Bremer, Roberto Galaverni, Giovanna Tomassucci), oltre a un intervento di Pietro Marchesani che è stato il suo traduttore italiano e in più testimonianze di amici della poetessa come Ewa Lipska, Jarosław Mikołajewski, ex direttore dell'Istituto Polacco di Cultura di Roma, e il suo ex-segretario e attuale presidente della Fondazione a lei intitolata, Michał Rusinek.



BRANCALEONE Libro COPERTINA Per festeggiare il cinquantesimo del film “L’armata Brancaleone” di Mario Monicelli, che esordì nelle sale nell’aprile del 1966, esce per la prima volta in un libro la sceneggiatura originale del film. Il volume, “L’Armata Brancaleone. La sceneggiatura” (Edizioni Erasmo, Livorno), è curato da Fabrizio Franceschini (foto), professore ordinario di Linguistica italiana presso l’Università di Pisa, che in un’ampia introduzione analizza la sceneggiatura scritta da Mario Monicelli, Age (Agenore Incrocci) e Furio Scarpelli. Composto da 366 pagine, il volume comprende anche una presentazione affidata al medievista Franco Cardini e una postfazione di Giacomo Scarpelli, figlio di Furio.

“Questa pubblicazione – spiega Fabrizio Franceschini – arriva a conclusione di un corso svolto all’Università di Pisa , dove abbiamo un laboratorio permanente che si occupa di lingua, cinema e scrittura”.

fabrizio.franceschiniUn libro, come racconta il professore dell’Ateneo pisano, che è nato dal ritrovamento e dal confronto delle tre stesure della sceneggiatura, una conservata nell’Archivio Centrale dello Stato a Roma e le altre due ancora in possesso della famiglia Scarpelli.

“Si va da Capalbio – dice Franceschini - dove nell’agosto 2013 Giacomo Scarpelli mi ha consegnato il primo dattiloscritto, alla casa presso Piazza di Spagna ove nel settembre successivo la signora Cora e Giacomo mi hanno messo a disposizione, con un buon tè, il copione più recente, sino alla casa toscana di S. Cristina ove Giacomo e Massimo Ghirlanda ne hanno reperito, nel luglio 2015, l’ultima parte”.

Ma oltre a recuperare le varie versioni della sceneggiatura – quella pubblicata nel volume è la terza e ultima – Franceschini si concentra sull’analisi linguistica del film: al contrario di quanto comunemente ritenuto, la sua tesi è che quella dell’Armata Brancaleone non sia una lingua inesistente o inventata. Il suo studio evidenzia infatti l’ampio utilizzo delle fonti letterarie da parte degli sceneggiatori, teso specialmente a caratterizzare i personaggi delle classi superiori o del clero: si va dai poeti siciliani, a Dante, specie per Brancaleone, a Iacopone riflesso dal personaggio di Zenone, a Machiavelli e al Pulci, per giungere al Bacco in Toscana di Francesco Redi sino al Belli, Manzoni e Pascoli. In base poi all’assunto degli sceneggiatori che “in questi anni oscuri, mal precisati, del Medioevo, la gente non doveva parlare in modo sostanzialmente differente dalle persone semplici di oggi”, i personaggi delle classi umili sono associati alle varie aree dialettali, da quella mediana e in particolare laziale (Taccone e Pecoro), a quella settentrionale (Mangoldo) sino a quella campana (Zito) e all’estremo sud. Una lavoro sui dialetti facilitato dall’esperienza che Monicelli, Age, Scarpelli avevano già maturato nei film precedenti, in particolare nella “Grande guerra”.

In questo quadro, fanno forse eccezione solo i ‘portatori di morte’, ossia i predoni barbari e i pirati saracini, che sono caratterizzati da “non-lingue” animalesche, mentre i loro capi usano parole incomprensibili ma allusive al mondo germanico o al mondo arabo. E così anche il temibile Cavaliere Nero, che si esprime non con parole ma col fiammeggiare dell’unico occhio o con ruggiti, comincerà a parlare solo dopo l’incontro col monaco Zenone che lo umanizza.

Il Museo della Grafica di Palazzo Lanfranchi si è dotato di un defibrillatore donato dalla Fondazione Arpa, tramite la Onlus Cecchini Cuore. La donazione è avvenuta in memoria di Flaminio Farnesi, noto imprenditore e collezionista pisano vicino alla Fondazione Arpa e al suo presidente, il professor Franco Mosca. Alla cerimonia di consegna del defibrillatore, che si è svolta giovedì 21 aprile, hanno partecipato Bruno Farnesi, figlio di Flaminio, la professoressa Lucia Tomasi Tongiorgi, delegata dell'Ateneo alla Cultura, l'assessore comunale alla Cultura, Andrea Ferrante, il direttore scientifico del Museo, Alessandro Tosi, il professor Franco Mosca e il dottor Maurizio Cecchini.

Oltre che per ricordare la figura di Flaminio Farnesi, la cerimonia è stata l'occasione, per sensibilizzare l'opinione pubblica sul tema dell’arresto cardiaco e del ruolo fondamentale ricoperto dal defibrillatore semiautomatico, strumento essenziale per salvare la vita in caso di arresto cardiaco extra ospedaliero. Dal dicembre 2007 il dottor Cecchini ha personalmente installato 342 defibrillatori automatici pubblici nella provincia di Pisa e tenuto corsi gratuiti formando più di 8.000 first responders.

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Szymborska La gioia di leggereIn Italia, paese in cui molti scrivono poesie, ma pochissimi le leggono, Szymborska piace. Da questa semplice, perfino banale constatazione, è nato il primo libro dedicato in Italia all'opera della poetessa polacca “Szymborska, La gioia di leggere. Lettori, poeti, critici” (Pisa University Press, Pisa, 2016) curato Donatella Bremer e Giovanna Tomassucci, docenti dell’Università di Pisa.

Un volume ricco di testimonianze che raccoglie anche due inediti della poetessa: un collage “italiano” ispirato alla Torre di Pisa (foto) e una poesia del 1985, mai apparsa in Italia, “Dialettica e Arte”. I saggi che compongono il libro sono riflessioni di poeti (Anna Maria Carpi, Alba Donati, Paolo Febbraro) e critici (Alfonso Berardinelli, Donatella Bremer, Roberto Galaverni, Giovanna Tomassucci), oltre a un intervento di Pietro Marchesani che è stato il suo traduttore italiano e in più testimonianze di amici della poetessa come Ewa Lipska, Jarosław Mikołajewski, ex direttore dell'Istituto Polacco di Cultura di Roma, e il suo ex-segretario e attuale presidente della Fondazione a lei intitolata, Michał Rusinek.

Nobel per la Letteratura 1996, la poetessa polacca ha conquistato nel nostro paese decine di migliaia di lettori e a tutt’oggi i suoi versi e la sua figura vengono frequentemente citati sulla stampa, alla radio e alla TV, comparendo in canzoni e spettacoli teatrali, in graphic novel e soprattutto in centinaia di siti web, blog e video.

“La predilezione per l’opera di Szymborska si è trasformata in un atipico fenomeno sociale – spiega Giovanna Tomassucci – e in questa raccolta di saggi ci siamo proprio interrogati su quali siano gli elementi propulsivi di questo consenso condiviso, chiedendoci allo stesso tempo il perché la poesia di Szymborska, malgrado, o forse proprio a causa del suo appassionato pubblico di lettori e di una fama di autrice non complessa, abbia finora stimolato scarse letture critiche in Italia”.

“Szymborska, La gioia di leggere. Lettori, poeti, critici” sarà presentato il 22 aprile alle 18 al centro Culturale Il Funaro a Pistoia; il 23 aprile alle 17 alla Biblioteca delle Oblate a Firenze con Alfonso Berardinelli, Alba Donati, Niccolò Scaffai e Giovanna Tomassucci; il 4 maggio alle 17 nell’aula magna di Palazzo Matteucci in Piazza Torricelli a Pisa alla presenza di Alfonso Berardinelli, Stefano Brugnolo, Fausto Ciompi, Giacomo Cerrai, Giovanna Tomassucci e infine il 12 maggio 2016 nell'ambito del Festival Szymborska organizzato dall'Università di Bologna e dall'Istituto polacco di Roma.

sangallo This is one of the first two-dimensional representations of a city: a topographical map of the city of Pisa conserved in the Gabinetto Disegni e Stampe of the Uffizi Gallery in Florence. Thanks to the research conducted by Professor Lucia Nuti from the University of Pisa, which appeared on the cover of the March issue of the prestigious Journal of the Society of Architectural Historians, the document, which is well known among experts in this field, has now been attributed definite authorship and dating for the first time. According to this research by Professor Lucia Nuti, the “Pisa no finitta”, a large drawing measuring 1,350 by 1,665 mm, can without doubt be attributed to the architect Giuliano da Sangallo and dates back to the time of construction of the first bastion of the new fortress. Between 1509 and 1512, Giuliano was in fact dispatched by the Florentine government to take charge of rebuilding the fortress that had been partially destroyed in the Pisan rebellions.

“The outline of Pisa is clearly visible on the map,” explains Lucia Nuti, Professor of Architecture and Urban History, “but the city is depicted with minute details to which purely imaginary particulars were added, for example the part where Sangallo reconstructs the plan of the Baths of Nero, formulating thus for the first time an original architectural solution based on an octagonal form. This is what may be considered the unequivocal signature of Sangallo, given that he proposes the same solution in the second drawing for the new Basilica of San Pietro in Rome.”

sangallo inside 3In actual fact, Sangallo was rarely allowed to create compositions characterized by an octagonal plan form, examples of which are the Sacristy of Santo Spirito in Florence commissioned by Lorenzo the Magnificent and the underground chambers of the bastion of San Martino in Pisa.

The study carried out by Lucia Nuti explains that during the construction of the fortress in Pisa, the relationship between Giuliano and the Florentine magistrates was not simple, but he was evidently awarded more freedom of movement in the construction of the underground chambers which allowed him to experiment with a variety of environments where the octagonal form is predominant. Octagons are to be found in the lacunars and oculi of the barrel vault, in the domes of the passages and in the octagonal chamber, possibly destined to be a chapel.

“After the fortress lost its military role, the structures were often flooded caused by the closeness of the river Arno,” concludes Lucia Nuti, “which unfortunately is still the case today. The excellent restoration work which was carried out on the first chambers in the interior of the bastion was terminated where the steps lead to the lower level, once again underlining a situation of abandon in a country which is unable to recognize its own works of excellence and therefore unable to protect or valorize them adequately.”

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