Ricostruire il pensiero della prima età moderna attraverso costellazioni concettuali capaci di mettere in connessione fonti, autori, lettori, trasformazioni lessicali e influenze sulla filosofia e la scienza dei secoli successivi. Su questi temi è appena partito un progetto di ricerca triennale coordinato dall’Università di Pisa e finanziato dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca.
L’idea è di individuare reti concettuali capaci di illuminare e far dialogare tra loro gli attori più significativi del delicato transito dal Rinascimento all’età moderna (Bruno, Montaigne, Naudé, Cartesio, Spinoza, Hobbes), le cui opere verranno esaminate dinamicamente come parti vive di un pensiero in movimento.
“Le costellazioni – ha spiegato la professoressa Simonetta Bassi dell’Ateneo pisano - saranno utilizzate anche in ambito didattico, diventando il perno di un programma innovativo per l’insegnamento scolastico della filosofia, destinato a concretizzarsi nell’allestimento di un manuale di storia della filosofia moderna che ponga in luce la circolazione delle idee e le influenze reciproche tra le elaborazioni concettuali dei singoli pensatori”.
Accanto all’Università di Pisa, capofila del progetto intitolato “Nuovi approcci al pensiero della prima età moderna: forme, caratteri e finalità del metodo costellatorio”, sono coinvolti la Scuola Normale Superiore, l’Istituto nazionale di studi sul Rinascimento di Firenze e altre otto università italiane - Bologna, Modena-Reggio Emilia, Orientale-Napoli, Piemonte Orientale-Vercelli, Salento-Lecce, Trento, Tuscia-Viterbo e Venezia.
In particolare il gruppo pisano, di cui fa parte anche la professoressa Maria Antonella Galanti, si concentrerà sul pensiero e l’opera di Giordano Bruno realizzando le edizioni critiche del Candelaio e, soprattutto, del De immenso et innumerabilibus, corredata quest’ultima di traduzione, commento e apparati.
“Facendo leva sull’esperienza che abbiamo già acquisito nella costruzione di altri data base – Simonetta Bassi – diffonderemo e renderemo liberamente accessibili online i prodotti della ricerca attraverso la costruzione un sito web con mappe concettuali interattive e contenuti multimediali”.
Sta per partire all’Università di Pisa la seconda edizione del corso di inglese rivolto a studenti con dislessia evolutiva, organizzato dal Centro linguistico d’Ateneo (CLi) in collaborazione con lo Sportello DSA. L’iniziativa ha visto lo scorso anno una grande partecipazione di allievi da vari corsi di laurea, che hanno potuto così raggiungere il livello di inglese richiesto in uscita dai loro corsi di studio per il conseguimento del titolo. Nel 2017 il corso partirà il 28 febbraio.
Le lezioni, due incontri settimanali di due ore ciascuno, si svolgeranno presso il Centro Linguistico d’Ateneo e prevedono l’utilizzo di tecniche sperimentali volte a favorire gli apprendimenti linguistici in studenti con DSA. Saranno tenute da due CEL (collaboratori ed esperti linguistici) madrelingua appositamente formati, in collaborazione con Gloria Cappelli e Sabrina Noccetti, ricercatrici di Lingua e Traduzione inglese del dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica.
Il corso nasce all’interno di un percorso di ricerca su dislessia e apprendimento dell’inglese nei giovani adulti intrapreso negli ultimi due anni da un gruppo di ricerca dell’Università di Pisa in collaborazione con la IRCCS Fondazione Stella Maris e del Centro per la Neurocognizione, Epistemologia e Sintassi teorica dello IUSS di Pavia. «Malgrado si siano fatti molti passi in avanti in ambito neuro cognitivo e glottodidattico, l’impatto della dislessia sulle abilità linguistiche su cui l’apprendimento delle lingue straniere si fonda è un ambito ancora poco esplorato – spiegano le ricercatrici È dunque ormai essenziale cercare di unire i vari settori della ricerca teorica e le pratiche riabilitative per arrivare a una didattica che, riconoscendo le difficoltà del soggetto dislessico, riesca a proporre metodi tali da consentirgli l’apprendimento della lingua straniera».
Nella prima fase del progetto, il gruppo di ricerca dell’Università di Pisa ha adattato i test esistenti e sviluppato materiale didattico da utilizzare all’interno del corso proposto lo scorso anno agli studenti, fondandosi su tecniche riabilitative mirate a ridurre le difficoltà legate ai deficit insiti nel disturbo. Parallelamente è stato condotto uno studio sulle abilità mnesiche e pragmatiche degli apprendenti che ha portato a primi interessanti risultati.
La ricerca sperimentale continuerà anche nei prossimi anni, con l’obiettivo di riuscire a capire i meccanismi che sono alla base delle difficoltà attestate nell’apprendimento della lingua straniera da parte di studenti con dislessia evolutiva e di trovare le strategie e le metodologie più adatte per superarle. «I positivi risultati ottenuti dai partecipanti alla prima edizione sono senza dubbio incoraggianti e ci spingono a continuare in questo lavoro, dove è prezioso il contributo e il sostegno dei colleghi di tutti i dipartimenti che accolgono studenti con DSA e degli uffici preposti che ci hanno sempre fornito un grande aiuto», concludono Cappelli e Noccetti.
Gli studenti interessati possono rivolgersi allo Sportello DSA (a questo link i contatti) o alle docenti per avere informazioni.
L'Università e la città di Pisa celebrano i 50 anni delle Tesi della Sapienza, un documento simbolo di un momento cruciale di elaborazione politico-culturale, oltre che di approfondimento su tematiche più strettamente universitarie, che è considerato il punto d’avvio delle elaborazioni, delle proposte e delle proteste che sfociarono da lì a pochi mesi nel movimento del 1968. Lo fanno con un incontro aperto a tutti i cittadini, che si terrà nella sede della Gipsoteca di Arte Antica alle 16.30 di venerdì 10 febbraio, proprio in concomitanza con la data di pubblicazione delle Tesi, che furono elaborate durante l'occupazione del Palazzo della Sapienza tra il 7 e l'11 febbraio 1967.
L'iniziativa, che metterà a confronto studiosi e testimoni di quel periodo, sarà aperta dall'introduzione degli storici Michele Battini (Università di Pisa) e Giampaolo Borghello (Università di Udine). Seguirà una tavola rotonda allargata a voci e testimonianze, volutamente diverse, che ripercorreranno l'esperienza di quei giorni: Vittorio Campione e Gian Mario Cazzaniga, indicati tra i principali ispiratori delle Tesi, Gliuliana Biagioli, che era tra gli studenti che avevano occupato la Sapienza, e Raffaello Morelli, all'epoca esponente della cultura liberale. A moderare il dibattito ci sarà Bruno Manfellotto, editorialista del gruppo "L'Espresso". Nel corso dell'incontro, inoltre, sarà proiettato il video dal titolo "I giorni della Sapienza. Appunti per un documentario" che riunisce filmati storici, a cura di Lorenzo Garzella e Nicola Trabucco. La giornata vede anche la partecipazione del Cinema Arsenale, con la proiezione serale del film "Qualcosa nell'aria" di Olivier Assayas, che aprirà il ciclo "Intorno al '68". Per l'occasione, l'Ateneo ha deciso di ripubblicare le Tesi, in un quaderno edito dalla Pisa University Press.
La giornata dedicata alle Tesi della Sapienza è stata presentata in una conferenza tenuta in Rettorato lunedì 30 gennaio, alla quale hanno partecipato il prorettore vicario Nicoletta De Francesco, il sindaco Marco Filippeschi, la delegata per la diffusione della cultura dell'Ateneo, Sandra Lischi, l'assessore comunale alla Cultura, Andrea Ferrante, il direttore della Biblioteca Franco Serantini, Franco Bertolucci, e lo storico Alessandro Breccia.
I relatori hanno ricordato che l'incontro del 10 febbraio sarà seguito da un ciclo di iniziative tese ad approfondire il contesto del '68, curate in modo coordinato da Università, Comune, Biblioteca Franco Serantini, Cinema Arsenale e da altri eventuali partner. In programma ci sono riflessioni su aspetti e protagonisti del '68 a Pisa e in Italia e vari appuntamenti cinematografici, teatrali ed espositivi, per arrivare tra fine 2017 e inizio 2018 a un convegno di studi che mirerà a inserire il '68 nella complessiva storia contemporanea italiana e mondiale, approfondendo in modo specifico il ruolo di Pisa. Il convegno, che sarà curato da un gruppo di studiosi dei dipartimenti di Civiltà e Forme del Sapere e di Scienze politiche, nasce su iniziativa dei professori Luca Baldissara, Michele Battini e Alessandro Breccia.
Le iniziative ideate e gestite dai diversi enti, con le loro specificità, saranno affiancate e contrassegnate da un logo che, con una grafica ispirata al periodo, evoca i vari anni, dal 66 al 69, per indicare l’arco di tempo abbracciato dalle attività.
"L’Ateneo di Pisa - ha detto il prorettore vicario, Nicoletta De Francesco - ritiene importante promuovere, con la necessaria distanza storica e critica, momenti di conoscenza (non celebrativi, né nostalgici) su un periodo che ha visto la nostra città e la nostra Università come protagonisti centrali e in molti casi anticipatori e pionieristici. L’augurio è quello di poter attivare una riflessione feconda, che, anche attraverso una varietà di sguardi, discipline e arti, vada oltre la specifica occasione della ricorrenza e metta a confronto generazioni diverse e diversi modi di rilettura e comprensione della nostra storia".
"Cinquant'anni dopo - ha continuato il sindaco Marco Filippeschi - c'è da riflettere su una vicenda importante della nostra storia contemporanea maturata a Pisa. Ma dalla memoria dobbiamo anche trarre qualche spunto guardando al futuro, in una stagione di straordinari cambiamenti, d'incertezze e di regressioni. In particolare sulla partecipazione politica e sociale dei giovani, che è un grande tema, molto stimolante".
“È importante ricordare un passaggio così significativo della storia recente partendo da un evento che ha contribuito ad avviarlo proprio a Pisa – ha concluso l’assessore Andrea Ferrante – il quadriennio che va dal ’66 al ’69 ha rappresentato non solo per la nostra città un momento di decisiva trasformazione. È giusto dedicare, anche con metodo critico, una approfondita riflessione a quegli anni visti dall’epoca di oggi”.
Ne hanno parlato:
Tirreno
QN
Nazione Pisa
PisaInformaFlash.it
GoNews.it
Pisa24.info
ToscanaNovecento.it
PisaToday.it
La professoressa Marcella Aglietti, ordinario di Storia delle istituzioni politiche al dipartimento di Scienze politiche dell'Università di Pisa e delegata del rettore per il Dottorato di ricerca, è stata eletta Accademica Corrispondente per l'Italia della Real Academia de la Historia di Spagna, una tra le maggiori onorificenze che uno storico possa ricevere in quel paese. La Real Academia, nata agli inizi del Settecento, è paragonabile per prestigio all’Accademia italiana dei Lincei, anche se il suo ambito di attività riguarda esclusivamente la conoscenza storica.
Marcella Aglietti si è laureata in Scienze politiche all’Università di Pisa nel 1994 e ha conseguito il perfezionamento in Storia moderna e contemporanea alla Scuola Superiore Sant’Anna. Fin da allora, conduce le sue ricerche tra le maggiori biblioteche ed archivi spagnoli grazie a borse di studio e a finanziamenti ottenuti nell’ambito di progetti nazionali e internazionali, in collaborazione con il Consejo Superior de Investigaciones Científicas e, più recentemente, anche della Universidad Complutense di Madrid.
Studiosa di storia istituzionale e politica in età moderna e contemporanea, la professoressa Aglietti si è dedicata, tra l’altro, ad approfondire i processi di emigrazione delle nobiltà tosco-spagnole durante l’epoca granducale e la storia parlamentare di Spagna tra Ottocento e inizi Novecento.
Tra la fine del Duecento e l’inizio del Trecento la filosofia fece ritorno in Italia dopo un’eclissi durata più di settecento anni. Decisiva fu l’apertura a Bologna dei nuovi corsi di logica e filosofia per gli studenti di medicina. "La filosofia in Italia al tempo di Dante” (il Mulino, 2016) racconta la storia di questa straordinaria e fortunata stagione culturale, ricostruendo il mondo intellettuale di filosofi, medici, letterati e predicatori che agivano in un paesaggio cittadino vivace e complesso, tra aule universitarie, corti signorili e biblioteche conventuali.
Curatori del volume sono Gianfranco Fioravanti, professore all’Università di Pisa insignito dell'Ordine del Cherubino, e Carla Casagrande professoressa di Storia della filosofia medievale all’Università di Pavia. Anticipiamo qui un estratto a loro firma della prefazione.
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In questo volume non si parla di una filosofia ‘italiana’. Anche a voler accettare i criteri con cui oggi si ripresenta la non nuova tesi dell’esistenza di uno o più caratteri peculiari del pensiero italico, tali da differenziarlo dalle grandi correnti del pensiero europeo nell’età moderna, essi non sarebbero applicabili al periodo di tempo, peraltro piuttosto limitato, di cui qui si tratta. Esso prende comunque in considerazione un fatto di assoluta novità: il ritorno in Italia della filosofia entro coordinate spazio temporalmente determinate dopo una assenza durata più di sette secoli. E poiché, anche aderendo alla idea della impersonalità del pensiero bisogna ammettere che la attività del filosofare comporta l’esistenza di attori storicamente identificabili ne deriva che nel nostro caso il ritorno della filosofia si è tradotto nell’apparizione sulla scena storico culturale italiana di una figura, quella del filosofo che fino ad allora era rimasta nelle pagine di enciclopedisti altomedievali come reperto ‘archeologico’ di un passato senza ritorno.
Il libro individua l’inizio della vicenda nel passaggio ad un insegnamento bolognese, avvenuto nel 1295, di un maestro laureato a Parigi: Gentile da Cingoli. Questo piccolo evento è effettivamente iniziale (il corso di Gentile è il primo corso specifico di filosofia tenuto nello Studio bolognese) ma è anche fortemente emblematico della storia che inaugura. La fiducia nella capacità della ragione, l’autonomia di un lavoro filosofico mai subordinato né propedeutico ad altri saperi, l’uso di rigorose procedure dimostrative: questa l’idea di filosofia che Gentile porta con sé da Parigi e che resterà, pur con accenti diversi quella cui si ispireranno i filosofi bolognesi che nei decenni seguenti formeranno una vera e propria scuola e si definiranno orgogliosamente nei confronti della teologia come “layci et seculares.” Di questo gruppo di ‘intellettuali’ strutturato sulla relazione maestro-allievo, del loro rapportarsi alle altre figure del contesto universitario e cittadino (medici e giuristi), del loro modo particolare di fare filosofia, dei problemi fondamentali per loro e da loro affrontati parla appunto questo libro.
Carla Casagrande e Gianfranco Fioravanti
Il 10 gennaio è scomparso Graziano Arrighetti, professore emerito di Letteratura greca dell’Università di Pisa.
Nato a Firenze nel 1928, tra il 1947 e il 1951 ha studiato presso l'Università di Pisa e la Scuola Normale Superiore. È stato allievo di Giorgio Pasquali. Tra il 1951 e il 1953 si è perfezionato presso l’Istituto italiano per gli studi storici. Dal 1956 ha insegnato presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Pisa, prima come assistente in Grammatica greca e latina, poi dal 1969 come professore ordinario di Letteratura greca, fino al pensionamento nel 2001.
Nell’anno accademico 2006/2007 è stato nominato Professore emerito. È stato direttore dell'ex Istituto di Filologia greca dal 1976 al 1978 e direttore del dipartimento di Filologia classica dal 1986 al 1988. Nel 1981 è stato insignito dell’Ordine del Cherubino.
Tra le sue edizioni più volte ristampate si ricordano quella delle Opere di Epicuro e di Esiodo. Tra i suoi principali interessi scientifici c'era anche la Papirologia, materia che per lui era una passione, oltre che un insegnamento a cui si è dedicato per molti anni.
Nel 1998 è stato nominato socio dell’Accademia delle Scienze di Göttingen e membro dell’Institute for Advanced Study di Princeton.
La salma del defunto sarà esposta alla Misericordia in via Pietrasantina (dalle 8 alle 19.45) fino al giorno dei funerali, che si terranno venerdì 13 gennaio, alle ore 10.30, presso lo stesso cimitero della Misericordia di via Pietrasantina.
Qui di seguito pubblichiamo un ricordo di Mauro Tulli, professore di Lingua e Letteratura greca del nostro Ateneo.
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È scomparso il 10 gennaio Graziano Arrighetti, allievo di Giorgio Pasquali, ascoltato nei seminari della Scuola Normale, professore di Letteratura Greca nel nostro Ateneo, membro dell’Accademia di Göttingen, emerito presso il Dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica. Il suo nome per lo più è ricordato per l'edizione di Epicuro presso Einaudi, del 1960 e del 1973, l'edizione che ancor oggi costituisce la base canonica, in ogni paese, per la ricerca su Epicuro. Palese risultato di tecnica impeccabile nel rapporto con tradizione antica e tradizione indiretta, l'edizione consente di uscire dal materiale assemblato da Usener per capire la produzione di Epicuro senza l'ombra spesso deformante proiettata nei secoli dalla scuola e dalla tradizione ostile. La vasta bibliografia su Epicuro ne dipende in modo sistematico e le pur non poche scoperte posteriori vi trovano la trama ineludibile di riferimento. La produzione di Epicuro ha stimolato la ricerca di Graziano Arrighetti anche nel periodo ultimo. Ne deriva più di un fondamentale saggio sul Peri Physeos e la militanza nel CISPE, il Centro di Napoli che gestisce il prezioso patrimonio di Ercolano ha spesso alimentato la ricostruzione del pensiero di Filodemo, nella tensione fra ortodossia e adeguamento al contesto culturale.
Ma il magistero di Giorgio Pasquali doveva dare frutti ben più grandi: filologia e storia. L'edizione di Satiro, la Vita di Euripide, è del 1964, volume XIII degli “Studi Classici e Orientali”. Corredata da un ampio commento, l'edizione costituisce l'inizio del rapporto di Graziano Arrighetti con la biografia greca, in particolare con la biografia del Peripato. Il gusto di Satiro e già di Cameleonte o di Ermippo per il possibile rispecchiamento della biografia di un autore nelle opere che offre, l’immagine di Euripide vestito di stracci perché vestito di stracci è il suo Telefo, nasce dalla concezione della mimesis, che ha spazio in Aristotele, che affiora già in Platone, che si annida nella commedia di Aristofane, che forse ha origine proprio nella svolta impressa da Esiodo al maturare della poetica, dopo l’Odissea, con il proemio della Teogonia, con la scena dell'investitura.
Un cammino verso la produzione arcaica, percorso per intero da Graziano Arrighetti con decine di contributi, con la rivendicazione ai protagonisti della tradizione classica di un impegno creativo sviluppato con fiera coscienza in funzione paideutica: contributi che alimentano il manuale sulla letteratura greca pubblicato nel 1989 da Laterza e che permettono di scorgere nella voce di Graziano Arrighetti un’espressione matura del neoumanesimo europeo. Il suo primo volume per la collana da lui diretta, pubblicato nel 1987, ne offre la rielaborazione critica, non certo la raccolta, e qui produzione poetica, erudizione, biografia s’intrecciano, per un panorama organico quanto esteso nel tempo, che da Omero giunge al commento di Didimo su Demostene. Ma, di nuovo verso la produzione arcaica: del 1998 è l'Esiodo, l'edizione per la "Pléiade" di Einaudi e Gallimard, con commento e saggi di valore imprescindibile, frutti di un lungo impegno che delinea di Esiodo il profilo di un autore pensoso, lontano da ogni tecnica d'improvvisazione, pronto invece per la riflessione sul testo di Omero, raffinatissima e decisiva per la produzione greca.
In palese, naturale intervallo con la ricerca su Epicuro, su Esiodo, sulla biografia e sulla mimesis, il confronto con la storia della filologia, le pagine su Wilamowitz, Schwartz, Usener, Jacoby, Comparetti, Gigante: al culmine il congresso di Roma, organizzato nel 1985 presso il CNR, con interventi di protagonisti assoluti della filologia mondiale. Nel periodo ultimo la ricerca di Graziano Arrighetti ci ha donato contributi con ritmo, se possibile, più serrato. Campo forse per eccellenza la concezione della storia, la ricerca sul rapporto fra la produzione poetica e il mito, nella prassi e nella teoria. Pindaro, il Pindaro frequentato per capire la dialettica fra la forza innovativa e il peso della convenzione. Ma soprattutto Platone, il Platone del Timeo e del Crizia, o la concezione di Aristotele nella Poetica, la concezione che guida nell'Athenaion Politeia la ricostruzione del passato.
Di nuovo decine di contributi costellano il cammino di Graziano Arrighetti e il suo secondo volume per la collana da lui diretta, pubblicato nel 2007, ne offre la rielaborazione critica, non certo la raccolta. È un'eredità intellettuale di altissimo profilo che senza dubbio lascerà un'ampia traccia nella storia degli studi e resterà per generazioni di allievi quale nutrimento di vita.
Mauro Tulli
Dal 23 dicembre il Museo della Grafica di Palazzo Lanfranchi ospita un'esposizione dedicata all'artista pisano Giuseppe Viviani, a cinquant’anni dalla grande mostra, postuma, che gli fu dedicata nel 1966 al Giardino Scotto. In mostra una trentina di incisioni, provenienti dal “Gabinetto disegni e stampe” dell’Università.
A gennaio, invece, un’altra porzione dell’allestimento sarà aperta presso la Chiesa della Spina, lungo un immaginario percorso alla scoperta di Viviani e della città. All’interno della piccola chiesa gotica sarà possibile ammirare alcune tele del Viviani pittore.
«Offriamo ai viaggiatori contemporanei un tracciato lungo il quale riscoprire le opere del pittore, e assaporare le bellezze della nostra città, permettendo loro di ammirare i nostri Lungarni – dichiara l’assessore alla Cultura Andrea Ferrante -. Siamo convinti che il potenziale di Pisa non si esaurisca nei suoi monumenti più famosi, ma si propaghi anche nel suo bellissimo paesaggio urbano».
Viviani, nasce a San Giuliano nel 1898, e vive la sua vita a Pisa. Nei suoi quadri sono rappresentati: «La topografia e il paesaggio campestre e urbano di Marina di Pisa, e in estensione lungocosta le più rade ambientazioni da Boccadarno a San Rossore a Tombolo e Viareggio, ambienti poi battuti certo con maggiore frequenza da Viviani cacciatore» spiega Nicola Micieli. Proprio la caccia fu all’origine della sua passione per i cani, raffigurati ripetutamente dall’artista. Viviani ha anche rappresentato la città, seppur in maniera particolare, come ci racconta Stefano Renzoni: «La Pisa ritratta da Viviani – non Marina, non la campagna indecifrata, ma la città – è sempre stata quella contratta nello spazio fisico e simbolico dei monumenti di piazza del Duomo. ( ... ) Qualche muro, con la bicicletta con i freni a bacchetta appoggiata e in agguato, e uomini che verrebbe voglia di chiamare come spaesati». La critica, in maniera unanime, ha rimarcato il profondo pessimismo esistenziale che s’inferisce dalle opere dell’autore, una visione della vita influenzata dalla biografia dell’autore che perse il padre all’età di due anni. Al pessimismo si aggiungeva una certa timidezza, tantoché lui stesso si definiva “timido come i bovi”. Quando arrivò il successo nel dopoguerra, non si scompose; anzi, la conquistata stabilità economica, gli permise di dedicarsi solamente alla sua arte e alla caccia. Nel 1948 ottenne la cattedra di Incisione presso l’Accademia di belle Arti di Firenze e quando morì, nel 1965, le sue opere avevano ormai acquisito fama nazionale.
L’organizzazione di “Viviani” è sostenuta anche da Palazzo Blu che vanta un’ampia collezione di litografie dell’artista pisano, e quindi incoraggia manifestazioni che approfondiscano la conoscenza di quest’artista. Inoltre, Palazzo Blu e Palazzo Lanfranchi costituiscono i due grandi poli culturali di Mezzogiorno e perciò lavorano in stratta collaborazione. L’organizzazione dell’allestimento “Viviani” è supportata anche da Fondazione Arpa.
L’allestimento è fortemente voluto da Comune di Pisa e Università di Pisa. Gli ultimi due enti gestiscono assieme Palazzo Lanfranchi, che è divenuto negli anni il punto d’incontro della cultura cittadina con quella universitaria. Proprio il Museo della Grafica, ospitato a Palazzo Lanfranchi, ospita le esposizioni personali di altri due artisti, nativi di Pisa e legati indissolubilmente alla città. La prima è “Quotidiane Rarefazioni” che raccoglie trenta acqueforti di Fabrizio Pizzanelli; la seconda, “Senza clamore e dissonanze”, è dedicata all’architetto Roberto Mariani. A queste si aggiungerà “Viviani”, andando a creare un trittico sull’arte pisana che abbraccia molteplici espressioni figurative: l’architettura, l’incisione e la pittura.
Sul legame tra l’allestimento odierno e la mostra del 1966, Alessandro Tosi, direttore scientifico del Museo della Grafica, afferma: «L’evocazione di quel ritrovato e corale abbraccio, commosso e consapevole, tra Pisa e il mondo vivianesco ha il valore di una memoria condivisa su cui provare a immaginare e proporre, negli spazi di maggiore valenza simbolica, ulteriori percorsi».
Dopo il festival il libro: nasce così “Una gigantesca follia. Sguardi sul Don Giovanni” (Ets, 2016) curato dalle professoresse Maria Antonella Galanti, Sandra Lischi e Cristiana Torti.
Il volume raccoglie le molte riflessioni e conversazioni sul mito del grande seduttore che, dall’ottobre del 2014 a tutto il 2015, hanno animato il festival nato dalla collaborazione fra Università di Pisa e Teatro Verdi. Anticipiamo qui alcuni passi dall’introduzione al volume.
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Sì, è stata “una gigantesca follia” quella di collegare teatro, università e città, in vari luoghi e in vari modi, sulle tracce delle diverse sollecitazioni e dei tanti echi del “Don Giovanni Festival”. Una follia che ci ha impegnato, divertito, appassionato nell’organizzare, nel far dialogare, nel creare relazioni fra enti, istituzioni, intellettuali, artisti, pubblico.
Il libro si articola in tre sezioni: la prima dedicata al mito del seduttore e di Don Giovanni in particolare, nelle sue varie declinazioni filosofiche e psicologiche. La seconda dedicata alle origini letterarie e filosofiche e agli echi successivi; la terza, infine, incentrata sul riverbero che questo personaggio-mito ha avuto nell’ambito iconografico, scenografico, cine-televisivo, e in tutte quelle rappresentazioni mediatiche che hanno dato spazio alla creatività. Chiudono il volume la ricognizione sul Don Giovanni a teatro e quella sul percorso didattico nelle scuole.
Nel testo sono raccolti i saggi di vari studiosi attorno alla figura di Don Giovanni e al suo mito, che raggiunge il proprio apice con la rappresentazione mozartiana, ma si innesta su differenti versioni precedenti, popolari e colte, e si irradia nel futuro, mostrandosi vitale ancora oggi. Si tratta di un mito profondo e perciò perdurante, che abbiamo scelto come perno attorno al quale individuare percorsi formativi estesi.
L’incontro tra università e comunità territoriale può riguardare gli aspetti politici e sociali, l’ambiente e il territorio urbano, le tematiche strettamente scientifiche o quelle legate alla cura di sé in senso psichico e biologico e alla prevenzione sanitaria, ma anche il mondo letterario, artistico e musicale. A quest’ultima dimensione appartiene il volume, e soprattutto il dialogo a più voci portato avanti con passione e coinvolgimento.
La ricerca universitaria diventerebbe asfittica e autoreferenziale se non si legasse anche ai bisogni del territorio e della società tutta. E’ dunque anche eticamente doveroso, per chi opera nell’ambito accademico, restituire al mondo in termini di conoscenza gli stimoli e le opportunità di studio e di ricerca che dal mondo stesso ha ricevuto. Proprio questo abbiamo provato a fare.
Maria Antonella Galanti
Sandra Lischi
Cristiana Torti
“Storia della letteratura russa. Dalla rivoluzione d'ottobre a oggi” (Carocci, 2016) è il nuovo libro di Guido Carpi, professore di Slavistica al dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica. Un volume che arriva dopo il primo del 2010, “Storia della letteratura russa. Da Pietro il Grande alla Rivoluzione d'ottobre” sempre edito da Carocci.
Il nuovo libro traccia l’evoluzione della letteratura russa dopo la cesura storica della rivoluzione del 1917 da cui scaturiscono tre filoni principali - la letteratura ufficiale, quella "sotterranea" (poi samizdat) e quella dell'emigrazione – sino ad arrivare alla crisi dell'esperimento sovietico nel 1991 che ha segnato un altro punto di svolta e ha innescato un processo di ulteriore ridefinizione tuttora in corso. Presentiamo qui, a firma di Guido Carpi, l’incipit dell’introduzione del volume.
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Il libro del comunismo. Un secolo tondo dalla rivoluzione d'Ottobre e un quarto di secolo dalla fine dell'esperimento di civiltà a cui quella rivoluzione aveva dato inizio: una doppia "data rotonda" che impone la necessità di tirare qualche somma su cosa sia stata la cultura letteraria sovietica e quale il suo lascito. Quali che siano le persistenze simboliche di tale passato, «il libro del comunismo giace oggi aperto. Ora che in esso non si deve vivere, è diventato possibile leggerlo» (Dobrenko, 2000, p. 639): se per decenni si è discettato dell'esperienza sovietica per assegnare patenti o imprimere marchi d’infamia, oggi possiamo affrontarla come oggetto di indagine epistemica, in tutto il suo carattere complesso e contraddittorio, ché quegli è tra gli stolti bene abbasso, che senza distinzione afferma o nega.
Tanto le motivazioni che l'impianto concettuale di fondo sono qui le stesse esposte nell'Introduzione al volume in cui trattavo la cultura letteraria russa nel corso del periodo imperiale (2010): «L'interesse della letteratura russa», – ha osservato Sveltana Aleksievič questo 7 dicembre nella sua Lectio per il Nobel, – «sta nel fatto che essa sola può narrare l'esperimento unico attraverso cui è passato un immenso paese».
Càpita che una generazione di intellettuali pensi se stessa come coronamento di un'epoca, come ultima parola di una lunga tradizione culturale, e allo stesso tempo intuisca confusamente di essere già distribuita ai blocchi di partenza di un'epoca nuova. Per alcuni mesi i processi di sviluppo organico della cultura paiono arrestarsi e confondersi: allo spartiacque fra due cicli storici, gli attori stanno ballando su un reticolo che li setaccerà, scindendo i composti esistenti e creando aggregazioni nuove, e ai loro destini futuri imprimerà traiettorie impensabili fino al giorno prima. Ed essi non vorranno prenderne atto, e penseranno di poter giudicare il presente con le categorie del proprio passato, finché la nuova realtà non si sarà imposta imperiosa alle loro coscienze.
Guido Carpi
È stato inaugurato nell’Edificio E dell'Area Pontecorvo l’anno accademico dottorale dell’Università di Pisa, con un incontro rivolto ai dottorandi del primo anno finalizzato a sviluppare una riflessione sul ruolo della ricerca nel contesto nazionale e internazionale, condividendo nello stesso tempo le informazioni tra giovani studiosi di discipline diverse e raccogliendo indicazioni sul percorso da intraprendere.
L’incontro è stato aperto dai saluti del rettore Paolo Mancarella e dall’introduzione della professoressa Marcella Aglietti, delegata al Dottorato di ricerca. Subito dopo è intervenuto il professor Fernando García Sanz, della Escuela Española de Historia y Arqueología di Roma, che ha tenuto una lectio magistralis dal titolo “Clerici vagantes: la ricerca come professione internazionale”.
Nella seconda parte dell'iniziativa sono stati illustrati il contesto normativo, gli aspetti procedurali e le opportunità del percorso formativo del dottorato, terminando successivamente con domande e approfondimenti moderate da Mauro Bellandi, dirigente della Direzione Didattica e servizi agli studenti.
Ne hanno parlato:
Tirreno Pisa
Nazione Pisa
Nazione Pisa (13/12)