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Comunicati stampa

È una piccola lente adesiva in materiale siliconico e, se fatta aderire alla camera di uno smartphone, può funzionare come un microscopio ingrandendo fino a 100 volte. Progettata nei laboratori del Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione dell’Università di Pisa, questa lente è il frutto di uno studio realizzato dagli scienziati pisani in collaborazione con l’Università della California S. Diego apparso su Advanced Functional Materials che introduce un deciso cambio di paradigma: i ricercatori hanno sfruttato le proprietà di cristalli fotonici in silicio nanostrutturato, che fungono da filtri ottici, per costruire un dispositivo in cui lente e filtro diventano una cosa sola.
“Nella nostra società c’è una crescente richiesta di strumenti analitici semplici, rapidi e affidabili, per esempio per valutare rapidamente la presenza di batteri in cibi o su ferite – afferma Giuseppe Barillaro, docente di elettronica al Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione dell’Università di Pisa – Non sempre è possibile farlo in laboratorio con un microscopio, che ha costi elevati ed è difficile da trasportare. Il nostro sistema permette di compiere la stessa operazione ovunque, e al costo di un centesimo. Questo grazie a un cambiamento radicale nel modo di pensare e progettare dispositivi ottici”.
Nei microscopi tradizionali infatti le lenti servono principalmente come elemento di raccolta della luce, che poi viene manipolata grazie a filtri ottici. Questo richiede una progettazione e una lavorazione piuttosto complesse, che si traducono in costi elevati dei dispositivi.
“Il materiale siliconico che compone la lente - prosegue Barillaro - viene deposto in forma di goccia sul filtro ottico, che ha una particolare nanostrutturazione che ricorda le “ali di una farfalla”. Il filtro, semi-poroso, si integra con il materiale siliconico deposto sopra, e la sua struttura fa in modo che questo assuma spontaneamente forma e funzione di una lente, evitando lavorazioni complesse e semplificando tutto il dispositivo, dal momento che raccolta, filtraggio della luce e ingrandimento avvengono nel medesimo sistema ottico”.
La lente così ottenuta è autoadesiva, e può trasformare molto semplicemente un comune smartphone in un microscopio a fluorescenza altamente affidabile. Le applicazioni in campo medico sono estremamente rilevanti, sia per la medicina ospedaliera che per quella praticata in paesi, come quelli del sud del mondo, dove il trasporto di apparecchiature è difficile.
“D’ora in poi per le analisi di campioni biologici che necessitano di microscopia cellulare – conclude - sarà sufficiente una lente e un semplice apparecchio di lettura, come può essere uno smartphone, rendendole più facili e meno costose. Il sistema è di particolare interesse specie in quei campi in cui la velocità di analisi, e quindi di azione, diventa cruciale, come il rilevamento della presenza di batteri nelle ferite, un tipo di analisi che con i metodi tradizionali richiede circa 24 ore, con conseguenti ritardi nel trattamento, che si traducono in tempi e costi maggiori. Con il nostro sistema, applicando allo smartphone una lente apposita, è possibile determinare la presenza di batteri direttamente sul posto”.

 

Il professore Francesco Forti, ordinario di Fisica sperimentale all’Università di Pisa, è il nuovo segretario nazionale dell’Unione degli Scienziati Per Il Disarmo (USPID). L’elezione è avvenuta lo scorso 16 novembre e il professore, che succede a Diego Latella del CNR-ISTI (Pisa), rimarrà in carica per i prossimi quattro anni con il compito di coordinare le attività dell’Unione e delle sue cinque sezioni territoriali di Bari, Bologna, Genova, Pisa e Trento.
L’USPID è un’associazione di scienziati e ricercatori costituita nel 1983 con l’obiettivo di contribuire al disarmo generale e controllato attraverso studi e analisi che comprendono anche l’impatto ambientale e i costi umani dello sviluppo e della diffusione degli armamenti. Cinquantasette anni originario di Livorno, Francesco Forti si occupa principalmente dello studio delle interazioni fondamentali nelle collisioni elettrone-positrone, ed attualmente collabora con il laboratorio KEK (Tsukuba, Giappone).
“E’ essenziale che gli scienziati si assumano la responsabilità di contribuire al processo di disarmo e che mettano a frutto le proprie competenze per la promozione di soluzioni pacifiche dei conflitti - ha commentato Forti – l’USPID nel nostro Ateneo collabora già con il CISP, il Centro Interdisciplinare Scienze per la Pace, e vari altri dipartimenti”.
A livello nazionale e internazionale, l’USPID coopera con molti enti attivi sui temi del disarmo, e in particolare con Pugwash Conferences on Science and World Affairs, che ha ricevuto il Premio Nobel per la pace nel 1995 e la International School On Disarmament And Research on Conflicts (ISODARCO), fondata nel 1986 da Edoardo Amaldi e Carlo Schaerf. L’USPID organizza inoltre periodicamente seminari e convegni scientifici, di particolare rilievo è l’appuntamento biennale con il Convegno Internazionale di Castiglioncello giunto quest’anno alla 18esima edizione.

 

Giovedì 28 novembre alle 11, alla Gipsoteca di Arte Antica (Piazza S. Paolo All'Orto, 20) si tiene l’incontro “Fumetti ed egittologia: disegnare la storia”, con Walter Venturi, uno dei più apprezzati fumettisti italiani, autore di un volume dedicato all’egittologo Giovanni Battista Belzoni edito dalla Sergio Bonelli Editore.
L’incontro è organizzato dall’associazione studentesca “VOLO - Viaggiando Oltre L’Orizzonte” nell’ambito di un progetto di comunicazione e divulgazione sull’antico Egitto condotto con la supervisione del professore Gianluca Miniaci dell’Università di Pisa.
Venturi, che da anni disegna per la Sergio Bonelli Editore tavole come quelle di “Tex” e “Zagor”, parlerà di come il fumetto possa essere utilizzato nei campi della divulgazione e della didattica. L’esordio di Venturi come autore completo è stato infatti proprio con “Il Grande Belzoni”, un volume dedicato a uno dei padri dell’egittologia all’inizio dell’Ottocento. Belzoni, figura che ha ispirato anche George Lucas nell’ideazione del personaggio di Indiana Jones, fu infatti protagonista di storiche imprese quali la scoperta della tomba di Seti I, dell’ingresso nella Piramide di Chefren, del trasporto del colosso di Ramesse II al British Museum e della liberazione dalla sabbia del tempio maggiore di Abu Simbel.

 

È una piccola lente adesiva in materiale siliconico e, se fatta aderire alla camera di uno smartphone, può funzionare come un microscopio ingrandendo fino a 100 volte. Progettata nei laboratori del Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione dell'Università di Pisa, questa lente è il frutto di uno studio realizzato dagli scienziati pisani in collaborazione con l’Università della California S. Diego apparso su Advanced Functional Materials che introduce un deciso cambio di paradigma: i ricercatori hanno sfruttato le proprietà di cristalli fotonici in silicio nanostrutturato, che fungono da filtri ottici, per costruire un dispositivo in cui lente e filtro diventano una cosa sola.

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“Nella nostra società c’è una crescente richiesta di strumenti analitici semplici, rapidi e affidabili, per esempio per valutare rapidamente la presenza di batteri in cibi o su ferite – afferma Giuseppe Barillaro, docente di elettronica al Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione dell'Università di Pisa – Non sempre è possibile farlo in laboratorio con un microscopio, che ha costi elevati ed è difficile da trasportare. Il nostro sistema permette di compiere la stessa operazione ovunque, e al costo di un centesimo. Questo grazie a un cambiamento radicale nel modo di pensare e progettare dispositivi ottici”.

Nei microscopi tradizionali infatti le lenti servono principalmente come elemento di raccolta della luce, che poi viene manipolata grazie a filtri ottici. Questo richiede una progettazione e una lavorazione piuttosto complesse, che si traducono in costi elevati dei dispositivi.

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“Il materiale siliconico che compone la lente - prosegue Barillaro - viene deposto in forma di goccia sul filtro ottico, che ha una particolare nanostrutturazione che ricorda le “ali di una farfalla”. Il filtro, semi-poroso, si integra con il materiale siliconico deposto sopra, e la sua struttura fa in modo che questo assuma spontaneamente forma e funzione di una lente, evitando lavorazioni complesse e semplificando tutto il dispositivo, dal momento che raccolta, filtraggio della luce e ingrandimento avvengono nel medesimo sistema ottico”.

barillaro2 lenteLa lente così ottenuta è autoadesiva, e può trasformare molto semplicemente un comune smartphone in un microscopio a fluorescenza altamente affidabile. Le applicazioni in campo medico sono estremamente rilevanti, sia per la medicina ospedaliera che per quella praticata in paesi, come quelli del sud del mondo, dove il trasporto di apparecchiature è difficile.

“D’ora in poi per le analisi di campioni biologici che necessitano di microscopia cellulare – conclude - sarà sufficiente una lente e un semplice apparecchio di lettura, come può essere uno smartphone, rendendole più facili e meno costose. Il sistema è di particolare interesse specie in quei campi in cui la velocità di analisi, e quindi di azione, diventa cruciale, come il rilevamento della presenza di batteri nelle ferite, un tipo di analisi che con i metodi tradizionali richiede circa 24 ore, con conseguenti ritardi nel trattamento, che si traducono in tempi e costi maggiori. Con il nostro sistema, applicando allo smartphone una lente apposita, è possibile determinare la presenza di batteri direttamente sul posto”.

francesco fortiIl professore Francesco Forti (foto a destra), ordinario di Fisica sperimentale all’Università di Pisa, è il nuovo segretario nazionale dell’Unione degli Scienziati Per Il Disarmo (USPID). L’elezione è avvenuta lo scorso 16 novembre e il professore, che succede a Diego Latella del CNR-ISTI (Pisa), rimarrà in carica per i prossimi quattro anni con il compito di coordinare le attività dell’Unione e delle sue cinque sezioni territoriali di Bari, Bologna, Genova, Pisa e Trento.

L’USPID è un’associazione di scienziati e ricercatori costituita nel 1983 con l’obiettivo di contribuire al disarmo generale e controllato attraverso studi e analisi che comprendono anche l’impatto ambientale e i costi umani dello sviluppo e della diffusione degli armamenti. Il professor Forti, 57 anni originario di Livorno, si occupa principalmente dello studio delle interazioni fondamentali nelle collisioni elettrone-positrone, ed attualmente collabora con il laboratorio KEK (Tsukuba, Giappone).

“È essenziale che gli scienziati si assumano la responsabilità di contribuire al processo di disarmo e che mettano a frutto le proprie competenze per la promozione di soluzioni pacifiche dei conflitti - ha commentato Forti – l’USPID nel nostro Ateneo collabora già con il CISP, il Centro Interdisciplinare Scienze per la Pace, e vari altri dipartimenti”.

A livello nazionale e internazionale, l’USPID coopera con molti enti attivi sui temi del disarmo, e in particolare con Pugwash Conferences on Science and World Affairs, che ha ricevuto il Premio Nobel per la pace nel 1995 e la International School On Disarmament And Research on Conflicts (ISODARCO), fondata nel 1986 da Edoardo Amaldi e Carlo Schaerf.

L’USPID inoltre organizza periodicamente seminari e convegni scientifici, di particolare rilievo è l’appuntamento biennale con il Convegno Internazionale di Castiglioncello giunto quest’anno alla 18esima edizione.

 

Martedì, 26 Novembre 2019 10:38

'È accaduto, può accadere ancora'

È stato presentato martedì 26 novembre, alle ore 11 nella sala polifunzionale della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli a Milano, alla presenza della Senatrice a vita, Liliana Segre, “Diario di un’infamia”, il libro voluto da Acque Spa in occasione dell’80° della firma delle leggi razziali italiane.

Alla presentazione sono intervenuti Bruno Manfellotto - curatore dell’opera assieme a Fabio Demi - il rettore dell’Università di Pisa, Paolo Maria Mancarella e il presidente di Acque, Giuseppe Sardu. È intervenuta anche la scrittrice Helena Janeczek, premio Strega 2018. Il dibattito è stato moderato da Davide Guadagni

Rivedi il video della diretta

 

Edito dalla Pisa University Press, “Diario di un’infamia” è un libro che rappresenta un buon esempio sia per il contenuto - in quanto riesce a dimostrare come le storie di una città possano diventare emblematiche e di valenza universale - sia perché contribuisce a divulgare e trasmettere la memoria della barbarie, raggiungendo, grazie alla distribuzione di Acque, persone e luoghi che vanno ben oltre quelli propri dell’accademia, allargandosi e aprendosi ad altri ambiti della società.

Nel libro si racconta come la firma, apposta a San Rossore nel 1938, abbia determinato storie come quella del piccolo Guido Cava che all’epoca aveva solo 8 anni e al quale fu impedito di andare a scuola; quella dei coniugi Maria e Francesco Castro il cui amore nasce dopo la tragedia dei campi di sterminio in Germania; quella dell’uccisione di Giuseppe Pardo Roques, capo della Comunità ebraica pisana per arrivare al racconto dell’espulsione di insegnanti e alunni ebrei da tutte le scuole. Per finire con la “Cerimonia del ricordo e delle scuse”, voluta dal rettore dell’Università di Pisa e a cui, nel Palazzo della Sapienza, hanno preso parte tutti i rettori delle università e i rappresentanti delle comunità ebraiche italiane.

È stato assegnato al professor Luca Oneto del dipartimento di Informatica dell’Università di Pisa il premio “Marco Somalvico” per il giovane ricercatore italiano più promettente in area Intelligenza Artificiale. Il premio è bandito con cadenza biennale dell'Associazione Italiana per l'Intelligenza Artificiale e vi possono partecipare coloro che non abbiano compiuto il 37esimo anno di età e che abbiano svolto, nei 5 anni precedenti a quello del bando in corso, attività di ricerca presso enti italiani per almeno 3 anni, anche se non consecutivi. Il professor Oneto ha ritirato il premio nel corso della conferenza annuale dell’associazione che si è tenuta all’Università della Calabria dal 19 al 22 novembre.

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Un momento della premiazione. Luca Oneto è il secondo da destra.

Il premio “Marco Somalvico” è diretto a un giovane ricercatore che abbia svolto la propria attività di ricerca in Italia e che abbia apportato un contributo personale significativo all’intelligenza artificiale, sia esso per il suo aspetto di ricerca di base o per quello di ricerca applicata ad alto contenuto innovativo.

Luca Oneto, nato a Rapallo nel 1986, ha ottenuto la laurea triennale e magistrale in Ingegneria elettronica dall’Università di Genova rispettivamente nel 2008 e nel 2010. Nel 2014 ha conseguito il dottorato nella Scuola di dottorato in Scienze e Tecnologie per l'Informazione e la Conoscenza sempre nell’Ateneo genovese con la tesi “Learning Based On Empirical Data”. Ha lavorato come ricercatore in Ingegneria Informatica presso l’Università di Genova dal 2016 al 2019. Nel 2018 ha fondato la spin-off dell’Università di Genova ZenaByte s.r.l. Attualmente lavora come professore associato in Informatica presso l’Università di Pisa.

Il suo ambito di ricerca primario è la teoria di apprendimento statistico con particolare riferimento agli aspetti teorici di ottimizzazione e stima delle prestazioni dei processi di apprendimento automatico. Inoltre si occupa di problemi di analisi dati con particolare riferimento alla soluzione di problemi reali sfruttando e migliorando i più recenti algoritmi e tecniche statistiche provenienti dal mondo dell’apprendimento automatico.

Migliaia di anni fa in Mesopotamia, per scambiarsi in formazioni di ogni tipo, le lettere si scrivevano su tavolette che poi si inviavano in “buste” di argilla. Tre grandi porzioni di queste “buste” sono parte di un eccezionale ritrovamento, per quantità e stato di conservazione dei reperti, portato alla luce durate una campagna di scavi in Iraq condotta dall’Università di Pisa in collaborazione con l’ateneo di Siena e quello iracheno di al-Qādisiyyah. In particolare gli archeologi hanno trovato un centinaio di frammenti con testi cuneiformi databili all'inizio del II millennio a.C. (fra cui ben otto tavolette intere o quasi) oltre a un ricco repertorio ceramico e a più di novanta “cretule”, cioè blocchetti di argilla con impronte di sigillo o corda applicate a chiusura di contenitori.
Le indagini archeologiche concluse a novembre hanno riguardato Tell as-Sadoum nell’Iraq centro-meridionale. Il sito di 50 ettari, a est di Najaf, su un ramo del fiume Eufrate è stato identificato con Marad, una antica città della Mesopotamia meridionale, la cui storia copre un lungo arco cronologico che va dal Protodinastico (III millennio a.C.) al Neobabilonese (I millennio a.C). In particolare gli scavi hanno riguardato un grande tempio sulla sommità della collina principale e due quartieri, uno residenziale e l'altro produttivo dove sono state rinvenute gran parte dei testi e delle cretule.
“In generale le tavolette testimoniano la ricchezza e vivacità della vita economica e amministrativa delle antiche città della Mesopotamia e ci parlano spesso di transazioni contabili, questioni amministrative e giuridiche – spiega il dottor Anacleto D'Agostino, docente di Archeologia del Vicino Oriente all’Università di Pisa che ha coordinato il progetto – quelle che abbiamo trovato, di epoca Isin-Larsa/antico-paleobabilonese e che sono in corso di studio, contengono contratti di compravendita e lettere, e menzionano i nomi di sovrani, formule di datazione e forse il riferimento ad alcune città”.
“Le tavolette inoltre potevano essere inglobate in “buste”, noi ne abbiamo ritrovate decine di frammenti – continua D'Agostino – cioè dei contenitori in strati sottili di argilla sulla cui superficie esterna era impresso l'argomento delle missive mentre l’impronta dei sigilli, con nominativi o immagini, serviva a vidimare il contenuto e ne garantiva l'autenticità”.
La complessità della civiltà dell’epoca è testimoniata infatti anche dai sigilli, spesso realizzati in pietre semipreziose, di fatto dei contrassegni univoci con cui personaggi importanti e funzionari si firmavano. Le scene che vi sono intagliate riproducono vari temi e sono spesso eseguite con grande attenzione e perizia da abili artigiani. Nelle impronte frammentarie ritrovate durante gli scavi, che datano probabilmente al III millennio a.C., ci sono ad esempio scene in miniatura che rappresentano eroi in lotta con animali selvatici ed esseri fantastici, divinità in trono, un leone che aggredisce una gazzella o capridi rampanti e un elefante.
“Visti gli ottimi risultati di questa campagna e l'importanza dei ritrovamenti – conclude D'Agostino - la prospettiva è di continuare il progetto con una nuova missione sul campo anche nel 2020”.
Le ricerche a Tell as-Sadoum sono parte di un progetto più ampio di scavo, ricognizione e scambio di competenze approvato dallo State Board of Antiquities and Heritage di Baghdad che vede coinvolte le Università di Pisa, Siena e Al-Qādisiyyah, condiretto da Anacleto D'Agostino (Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere, Università di Pisa), Valentina Orsi (Dipartimento di Scienze Storiche e dei Beni Culturali, Università di Siena) e Abbas al-Hussainy (Dipartimento di Archeologia, Università di Al-Qādisiyyah). Alla campagna di scavi 2019 hanno preso parte come responsabile del rilievo topografico e fotogrammetrico il dottor Emanuele Taccola del Laboratorio di Disegno e Restauro del Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere, Università di Pisa, l'archeologo Giacomo Casucci e i rappresentanti dello SBAH iracheno Waleed Abd al Munaam Yasif e Ghassan Adnan Abbas, oltre ai ragazzi e agli operai della città di al-Dīwāniyya e del sobborgo di al-Saniyyeh. La spedizione è stata resa possibile grazie al fondamentale contributo della Fondazione Oriente Mediterraneo.

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