Secondo posto al Premio Innovazione Toscana 2018 per IngeniArs, spin off dell'Università di Pisa, che si è classificata nella sezione Start Up Innovative con il progetto H2020 "SIMPLE-SpaceFibre IMPLementation design and test Equipment". La competizione ha visto coinvolte ben 58 realtà tra micro, piccole, medie e grandi imprese, che hanno partecipato al premio che sostiene e valorizza la ricerca, l’innovazione tecnologica e digitale delle imprese, promuove l’iniziativa giovanile e il potenziale innovativo del territorio. L'iniziativa è promossa da Consiglio Regionale della Toscana, Anci Toscana, Confindustria Toscana, Rete Imprese Italia Toscana, Unioncamere Toscana.
Il progetto di IngeniArs premiato consiste nello sviluppo di sistemi elettronici altamente innovativi per testare a terra e implementare a bordo di satelliti il protocollo di comunicazione di ultima generazione SpaceFibre dell'Agenzia Spaziale Europea. Con questo progetto sono state anche vinte la fase 1 e la fase 2 del programma H2020 SME Instrument promosso dalla Comunità Europea.
Dal 5 all’8 dicembre si sono riuniti al Cairo i direttori delle circa 50 missioni archeologiche che operano attualmente nella cosiddetta area MENA, “Middle East and North Africa”.
Per l’Università di Pisa ha partecipato la professoressa Marilina Betrò, egittologa e direttrice della Missione Archeologica Italiana a Dra Abu el-Naga (Luxor), invitata a tenere una delle key-lectures di apertura, presso la sede del Ministero delle Antichità Egiziane, alla presenza del Ministro delle Antichità Egiziane Khaled el-Enany, dell’Ambasciatore d’Italia Giampaolo Cantini e di un numeroso pubblico.
Il titolo del suo intervento è stato “1828-2018: 190 years of Italian Egyptological and Archaeological Research at Thebes”: con il 1828 arriva infatti in Egitto la spedizione franco-toscana, guidata da Jean-Francois Champollion e Ippolito Rosellini, la prima impresa egittologica scientifica.
“Incidentalmente, il 1828 segna anche l’inizio dell’attività archeologica in Egitto dell’Università di Pisa – commenta sorridendo Marilina Betrò – visto che Rosellini era professore presso il nostro ateneo. Un’occasione dunque per sottolineare l’antichità e il prestigio del nostro impegno in Egitto”.
Un impegno che è poi continuato con gli scavi e le ricerche di molti illustri docenti pisani, da Evaristo Breccia a Edda Bresciani e che oggi prosegue Marilina Betrò con il suo gruppo di brillanti giovani collaboratori.
L’incontro, articolato in quattro intense giornate, è stato organizzato dal Centro Archeologico dell’Istituto Italiano di Cultura al Cairo per discutere, insieme ai colleghi delle Università e del Ministero delle Antichità egiziani, molte tematiche, oggi di interesse nevralgico per l’archeologia nell’area MENA: “Which archaeology, today?”, “Multidisciplinary Archaeology: technologies and applied sciences”, “Archaeology, conservation and accessibility to the archaeological sites”, “Capacity building of the Italian archaeological expeditions: the engagement for training”, questi alcuni dei temi toccati nelle animate tavole rotonde del workshop.
Una mostra di pannelli sulle attività di ciascuna delle missioni che operano in Egitto ha accompagnato il convegno ed è stata inaugurata nei bei locali dell’Istituto di Cultura Italiana al Cairo nella serata del 5 dicembre.
La conoscenza del Sessantotto pisano si arricchisce di una nuova banca dati che descrive oltre 20 mila documenti, dando conto della ricognizione effettuata su più di 20 tra archivi pubblici e privati, pisani e non solo. Il database è il principale risultato di due borse di ricerca volute e finanziate dall'Università di Pisa nell'ambito del ciclo di iniziative su "Pisa e il '68" e affidate alle giovani storiche Chiara Dogliotti e Cinzia Leopizzi. L'esito della ricognizione archivistica sarà presentato durante il convegno "1968: Pisa, Italia. Immagini e documenti per una storia del Sessantotto", in programma alla Gipsoteca di arte antica giovedì 13 e venerdì 14 dicembre. Con loro e con i due curatori scientifici, i professori dell'Ateneo pisano Luca Baldissara e Alessandro Breccia, parteciperanno alcuni dei principali studiosi italiani del '68, a partire da Peppino Ortoleva, dell'Università di Torino, che terrà una relazione su "Il Sessantotto negli anni Sessanta", e Michele Battini, dell'Università di Pisa, che parlerà de "Il Sessantotto tra democrazia rappresentativa e democrazia diretta".
Giovedì pomeriggio, alle ore 19, in Gipsoteca sarà inoltre proiettato in anteprima assoluta il video documentario dal titolo "Cartoline dal Sessantotto. Pisa e gli anni della contestazione", realizzato dal regista Lorenzo Garzella con interviste ai protagonisti, foto e filmati di archivio.
Guarda il trailer del film.
Il database sul Sessantotto pisano, liberamente accessibile, ha censito più di 20 mila documenti, ognuno supportato da una descrizione particolareggiata con categorie e parole chiave utili per approfondire la ricerca. Oltre ad alcuni importanti archivi privati, sono stati esaminati gli archivi di numerosi centri pubblici, pisani e non solo: l'Università di Pisa e la Scuola Normale Superiore, la Biblioteca Franco Serantini, l'Archivio di Stato, la Prefettura, la Procura della Repubblica, il Comune, l'Archivio Storico Diocesano, la Camera del Lavoro, le ACLI, la Casa della Donna, l'Ufficio Scolastico Regionale per la Toscana di Pisa (già Provveditorato agli Studi), l'Istituto Tecnico Statale Commerciale e per Geometri “Antonio Pacinotti” e il Liceo Classico “Galileo Galilei” (accorpati nell’unico Istituto di Istruzione Superiore “Galieli-Pacinotti”), il Liceo Scientifico “Ulisse Dini”, il Museo Piaggio e la Camera del Lavoro di Pontedera, l'Archivio Centrale di Stato, il Centro di Documentazione di Lucca, l'Archivio Movimenti di Genova, l'Archivio “Parri” di Bologna, il Centro Studi Movimenti di Parma.
Pensato per offrire uno strumento agli studiosi e più in generale a tutti coloro che vorranno conoscere in profondità il sessantotto pisano, il database fa emergere alcuni temi che appaiono centrali nella riflessione storiografica sul tema: dal rapporto tra operai e studenti al contributo degli studenti cattolici, dall’influenza delle principali istituzioni universitarie e amministrative pisane sull’elaborazione teorica del movimento studentesco alla conflittualità operaia tra organizzazioni sindacali e movimenti di base, fino a evidenziare le differenze e le affinità con altri casi italiani.
La ricerca delle dottoresse Dogliotti e Leopizzi, con il coordinamento dei professori Baldissara e Breccia, e lo stesso convegno del 13 e 14 dicembre, fanno parte del programma "Pisa e il '68", con cui l'Università, il Comune, la Biblioteca Franco Serantini, il Cinema Arsenale e la Scuola Normale Superiore hanno approfondito il contesto del '68 a 50 anni di distanza. Il ciclo è stato aperto nel febbraio del 2017 da un incontro sulle "Tesi della Sapienza" e si è sviluppato attraverso momenti di riflessione su aspetti e protagonisti di quella stagione, rassegne cinematografiche, spettacoli teatrali e appuntamenti espositivi. A fine maggio e inizio giugno si è svolto inoltre il convegno internazionale dal titolo "1968-2018. Cinquant'anni dopo. Il Sessantotto nella storia". Obiettivo generale del progetto è quello di promuovere, con la necessaria distanza storica e critica, e con ricerche inedite, momenti di conoscenza su un periodo che ha visto la città e l’Università di Pisa al centro del panorama nazionale e mettere a confronto generazioni diverse e diversi modi di rilettura e comprensione della storia.
Sabato 8 dicembre sono state inaugurate due nuove sale del Museo Multimediale delle Rocche e Fortificazioni di Barga (Lucca) che hanno così compeltato l’intero percorso museale. La prima è dedicata a quattro personaggi importanti per la Valle del Serchio: Matilde di Canossa, Castruccio Castracani, Paolo Guinigi, e Ludovico Ariosto; la seconda alle carte storiche della zona.
Il progetto del Museo è stato affidato nel 2013 al Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere dell’Università di Pisa, dove si è costituito un gruppo di ricerca coordinato dalla professoressa Sandra Lischi e composto da Marco Bigliazzi, Andreina Di Brino, Gianluca Paoletti, e Giuseppe Cassaro. Alla realizzazione delle nuove sale hanno inoltre collaborato Raffaele Savigni dell’Università di Bologna (Matilde di Canossa), Gianni Boccardi (Castruccio Castracani), Jean-Claude Maire Vigueur dell’Università di Roma (Paolo Guinigi) e Maria Cristina Cabani dell’Università di Pisa (Ariosto).
La professoressa Lischi tiene il suo intervento all'inaugurazione del Museo
“In stretta collaborazione con la committenza – spiega Sandra Lischi - abbiamo costruito un percorso insieme conoscitivo ed attraente, che consente ai visitatori di viaggiare virtualmente nella Valle del Serchio, esplorando diversi aspetti storici, ambientali e storico-artistici, grazie a immagini in movimento, a dispositivi interattivi, all’uso di testi e di musiche”.
Molte le autorità presenti all’inaugurazione tra cui il sindaco di Barga Marco Bonini, Patrizio Andreuccetti, sindaco di Borgo a Mozzano e presidente dell'Unione dei Comuni e il sindaco di Coreglia Valerio Amadei. Nell’occasione il museo è stato intitolato a Laura Risaliti, funzionaria della Comunità Montana Media Valle del Serchio recentemente scomparsa che ha contribuito in maniera determinante alla realizzazione del Museo.
Il Museo Multimediale delle Rocche e Fortificazioni rimarrà aperto al pubblico nei giorni 8 e 9 dicembre con orario 15,00/19,00.
Nuovo appuntamento con l’eccellenza per l’Università di Pisa che ha celebrato sabato 24 novembre la nuova edizione del PhDay2018, la Giornata dedicata ai dottorati di ricerca dell’Ateneo. Tra i molti eventi in programma, il conferimento di sei premi per insignire le tesi di dottorato più meritevoli che sono state discusse nell’ultimo anno, una per ciascuna area del sapere. Gli elaborati sono stati selezionati in base a parametri quali l’originalità e l’innovazione dei risultati conseguiti, la rilevanza nel settore di riferimento e l’impatto di internazionalizzazione delle ricerche condotte.
Sei nuove speranze della ricerca, quattro donne e due uomini, quattro toscani e due siciliani, questi i loro nomi e il frutto delle loro fatiche. Edoardo Battaglia, dottore in Ingegneria dell’informazione, è stato premiato per la tesi "Touch on the Go: Wearable Haptics for Sensing and Augmented Perception"; Rossella Bruno, dottoratasi in Fisiopatologia clinica, ha visto premiata la sua tesi "Analysis and validation of new biomarkers for the diagnosis of malignant pleural mesothelioma"; Regina Fichera, dottoressa di ricerca in Scienze dell’antichità e archeologia, è risultata la migliore nel settore umanistico con una tesi dal titolo "Il miracolo nelle biografie dei filosofi neoplatonici della tarda antichità (IV-VI sec. d.C.)". Gli altri tre vincitori sono Anna Grassi, la più giovane (è nata nel 1989), per la tesi in Fisica "Collisionless shocks in the context of laboratory astrophy", smentendo ancora una volta – se ce ne fosse stato bisogno – pregiudizi sempre difficili da superare sul rapporto tra donne e discipline scientifiche; Patrizia Pacini Volpe, dottoratasi in Scienze politiche, con l’elaborato " Anatomia della prigione. Aspetti politico-sociali della condizione carceraria in Italia e in Francia"; e Alberto Vangelisti, dottore in Scienze agrarie, alimentari e agro-ambientali, per la tesi "Transcriptome analysis of plants-fungus interaction: RNA-seq approach on sunflower (Helianthus annus L.) mycorrhizal roots".
La premiazione, effettuata dal rettore Paolo Mancarella con la delegata ai Dottorati di ricerca, Marcella Aglietti, e i ventitré coordinatori dei dottorati con sede presso l’Ateneo (ma ve ne sono altri 10 attivi in convenzione con altri Atenei) è avvenuta nell’ambito della Cerimonia di consegna dei diplomi ai circa 220 nuovi dottori di ricerca di quest’anno.
In foto da sinistra, Grassi (la mamma della premiata), Pacini Volpe, Fichera, Vangelisti, Mancarella, Battaglia, Aglietti, Bruno.
giornata si è avviata con l'inaugurazione dell'anno dottorale dell'Università di Pisa, alla presenza di molti degli oltre 700 immatricolati, dei quali 260 solo per il primo anno. La Giornata s’intitolava “La ricerca cambia la vita”, e il valore dell’esperienza costruita durante il proprio percorso dottorale è stato testimoniata da quattro ex-allievi che, conseguito il titolo di laurea o di dottore di ricerca presso l’Ateneo pisano, hanno poi proseguito il proprio cammino accademico e professionale all’insegna del successo e della massima gratificazione personale, in Italia e nel mondo.
Così Alessandro Launaro, classe 1979 ed ex dottorando in Storia Antica, ha raccontato com’è diventato uno dei massimi specialisti al mondo di storia dell’Italia Romana: oggi professore all'Università di Cambridge, Direttore in Studi Classici al Gonville and Caius College e a capo, insieme a Martin Millet, di un progetto di ricerca archeologica nella città romana di Interamna Lirenas. Non da meno il dottor Piergiorgio Morosini, che dopo aver conseguito il dottorato in Diritto privato a Pisa è diventato il magistrato che ha presenziato l’udienza preliminare del processo sulla c.d. “Trattativa Stato-Mafia” e, dal 2014 al 2018, membro del Consiglio Superiore della Magistratura. Il dottorato di ricerca conseguito nel 1997 in Ingegneria dell’Informazione dell’Università di Pisa è stato invece il viatico che ha permesso a Riccardo Marian di assurgere, dopo le sue ricerche al CERN e aver fondato l’azienda Yogitech, al titolo di Intel Fellow e al ruolo di Chief Functional Safety Technologist per tutto il gruppo Internet of Things di Intel Corporation. Di esempio anche il caso della dottoressa Francesca Iezzi, laureatasi in Matematica presso l’Ateneo pisano e dal 2017 presso l'Università di Edimburgo, dove coordina l’ambito della divulgazione scientifica. Quattro modelli d’ispirazione e di motivazione per i giovani ascoltatori.
In foto da sinistra, Marian, Mancarella, Iezzi, Aglietti; Morosini e Launaro.
Il programma ha inoltre previsto numerosi seminari e workshop dedicati alle opportunità di formazione specificamente pensate per i dottorandi, oltre a laboratori di ricerca, panel session e spazi informativi a cura dell’Ufficio dottorati e dall’Associazione dottorandi e dottori di ricerca italiani.
"L’Università di Pisa - ha ricordato il rettore Mancarella - sta puntando molto sui dottorati di ricerca, con un investimento superiore rispetto ad altri atenei di analoghe dimensioni e pari alla ragguardevole somma di oltre 5 milioni di euro per il solo 2019. La valorizzazione del dottorato ha visto altri riconoscimenti importanti, come la riforma dello Statuto, con l’attribuzione di un posto per i rappresentanti dei dottorandi nel massimo organo di governo accademico, la creazione della borsa in memoria di Giulio Regeni e la realizzazione nel prossimo semestre di oltre 20 moduli di didattica trasversale in conformità ai più alti parametri della formazione di terzo livello nell’ambito della ricerca italiana ed internazionale".
E’ la parola pace piuttosto che vittoria a ricorrere di più nei diari e nelle lettere dei militari della Grande Guerra. E gli aggettivi che ricorrono maggiormente per descrivere i soldati sono povero, buono o stanco, mentre solo in secondo piano compaiono attributi come valoroso o prode. E’ dunque una retorica antieroica quella che si ritrova nelle parole dei soldati, tant’è che come grande assente c’è il verbo uccidere: i soldati muoiono, ma non uccidono.
Sono queste alcune delle considerazioni che emergono a conclusione di “Voci della Grande Guerra”, un progetto finanziato dalla Presidenza Consiglio dei Ministri nell’ambito delle celebrazioni centenario del primo conflitto mondiale e realizzato dall’Università di Pisa in collaborazione con l’Istituto di Linguistica Computazionale CNR, l’Università di Siena e l’Accademia della Crusca.
Il lavoro congiunto di storici e linguisti computazionali ha portato alla creazione di un archivio digitale consultabile on line (www.vocidellagrandeguerra.it), il più grande mai realizzato, che costituisce una base unica per capire come gli italiani hanno sentito e raccontato la guerra e comprendere altresì come il conflitto abbia mutato profondamente la lingua italiana.
Le world cloud di aggettivi e verbi riferiti a soldati
“Grazie all’uso di tecniche avanzate di linguistica computazionale, web semantico e visualizzazione dell’informazione è possibile interrogare l’archivio digitale in modo semplice ed efficace in modo da far conoscere e apprezzare la polifonia delle voci dell’Italia in guerra - ha spiegato Alessandro Lenci del dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica dell’Università di Pisa – la voce ufficiale della propaganda, ma anche quella dei soldati e degli ufficiali, degli intellettuali e del popolo, del consenso del dissenso, degli uomini e delle donne”.
L’intero corpus va dal 1914 al 1918 e comprende diari, lettere e testi provenienti dalla Biblioteca nazionale centrale di Firenze, dal Museo storico italiano della guerra di Rovereto e dal Museo storico di Trento, Atti parlamentari pubblici e sedute dei Comitati segreti della Camera, articoli di giornalisti come Luigi Barzini, orazioni interventiste di Gabriele D’Annunzio e lettere di soldati di varie provenienze geografiche ed estrazioni sociali.
“Per la prima volta sono dunque riunite e consultabili insieme in un ambiente digitale fonti documentali molto diverse – conclude Lenci - Si tratta di un patrimonio a disposizione dei ricercatori e di una risorsa per i cittadini e gli studenti per conservare la memoria storica della Grande Guerra e di chi da diverse prospettive l’ha vissuta”.
I testi del corpus sono stati infatti usati come fonte per la sceneggiatura della pièce teatrale “Il Cannone non fa Bum. Voci della Grande Guerra” per la regia di Franco Farina, con la partecipazione di Alice Bachi, Giorgio Vierda e la compagnia teatrale studentesca di Pisa Nosòdi. Lo spettacolo è stato presentato presso l’Accademia della Crusca il 5 novembre e verrà successivamente replicato nelle scuole nell’ambito di iniziative per la diffusione della memoria storica della Grande Guerra.
'Nel 1947 ottocento ebrei salparono da Migliarino verso Israele spacciandosi come turisti americani'
Si è tenuto venerdì 16 novembre nell'Auditorium di Piazza Bonaparte a San Miniato l'incontro dal titolo "I sommersi, i salvati, i salvatori. Ritratti, racconti e pensieri sulle leggi razziali". L'appuntamento, seguito da circa 300 partecipanti, in gran parte studenti e insegnanti delle ultime classi delle scuole superiori di San Miniato, è stato organizzato nell'ambito della rassegna "San Rossore 1938", promossa dall'Università di Pisa e sostenuta dalla Fondazione Cassa di Risparmio di San Miniato.
La mattinata si è aperta con il saluto del presidente della Fondazione CRSM, Gianfranco Rossi, cui è seguita la proiezione di "Phoebe Miranda", un breve film di Massimo Martella che raccoglie la testimonianza di una donna toscana, allora ragazzina, sopravvissuta alle persecuzioni razziali e vittima delle leggi firmate nel 1938. Sono quindi intervenuti il professor Fabrizio Franceschini, docente di Linguistica italiana dell'Università di Pisa e direttore del Centro interdipartimentale di studi ebraici "Michele Luzzati", e il giornalista e scrittore Alfredo De Girolamo.
Nel suo intervento il professor Franceschini ha raccontato un episodio inedito avvenuto nel luglio 1947 sulla spiaggia di Migliarino e rimasto a lungo segreto. Nel quadro dell'operazione "Alyah Bet" coordinata da Ada Sereni, circa ottocento ebrei, scampati ai campi di sterminio, giunsero clandestinamente da Milano e dal Lazio a Migliarino a bordo di trentasette corriere. Facendosi passare per stravaganti turisti americani, furono infine traghettati sulla nave Raffaelluccia e partirono verso Israele.
"Gli ottocento ebrei - ha ricordato il professor Franceschini - si diressero verso la tenuta Salviati di Migliarino: i guardacaccia, che ne custodivano l'ingresso, furono rabboniti a forza di sorrisi femminili, cioccolata e sigarette americane, e i profughi furono fatti passare appunto per stravaganti turisti americani, desiderosi di vedere dalla spiaggia l'aurora sui monti vicini. Dopo aver attraversato la tenuta, giunsero al mare e furono caricati sulla nave".
"La tenuta di Migliarino – ha concluso il direttore del Centro interdipartimentale di studi ebraici dell'Ateneo pisano – è a qualche chilometro di distanza dall'allora tenuta reale di San Rossore. Questa storia bella e segreta riscatta dunque, in qualche modo, il territorio macchiato da Vittorio Emanuele III con la firma della prima legge razziale, il 5 settembre 1938, appunto a San Rossore".
Ha festeggiato venti anni di attività il Centro Interdisciplinare di Scienze per la Pace (Cisp) dell'Università di Pisa, che studia e promuove le condizioni per trasformare pacificamente i conflitti, ridurre le violenze e costruire una pace sostenibile. Lo ha fatto con un incontro tenuto, venerdì 16 novembre, nell'Auditorium del Centro "Le Benedettine". Dopo i saluti del rettore Paolo Mancarella, sono intervenuti la direttrice del Cisp, Enza Pellecchia, e i professori Giorgio Gallo, Fabio Tarini e Pierluigi Consorti, che hanno diretto il Centro negli scorsi anni. Nel corso della mattinata sono anche intervenuti gli ex rettori Luciano Modica e Marco Pasquali e la prorettrice vicaria Nicoletta De Francesco per portare la loro testimonianza dei rapporti con il Centro, la presidente dei corsi di laurea in Scienze per la pace, Eleonora Sirsi, e i professori Simone D’Alessandro e Alessandro Breccia. L'incontro si è chiuso con le testimonianze di tante e tanti che nel corso di questi anni hanno collaborato a vario titolo con il Centro, contribuendo a renderlo un apprezzato protagonista degli studi per la pace.
Pubblichiamo di seguito una riflessione della professoressa Enza Pellecchia, direttrice del Cisp, sulla storia e sulla mission del Centro.
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Il Centro Interdisciplinare di Scienze per la Pace (CISP)
A metà degli anni '90, alcuni docenti dell'Università di Pisa provenienti da discipline diverse e da diverse esperienze iniziavano a progettare l'istituzione di un centro di ricerca focalizzato sui temi della pace.
Le idee riguardo ai modi in cui poter sviluppare l'iniziativa nel mondo accademico erano ancora confuse, ma un elemento era già ben chiaro: la consapevolezza che il mondo accademico non poteva continuare a serbare indifferenza verso i problemi della pace e della guerra.
La motivazione nasceva anche da una lettura di ciò che stava accadendo a livello internazionale.
Con la fine della guerra fredda, si era diffusa l'aspettativa dei cosiddetti "dividendi della pace", ovvero l'idea che molte delle enormi risorse fino ad allora usate per apparati militari avrebbero potuto finalmente essere utilizzate per affrontare i grandi problemi che l'umanità aveva davanti, il problema della fame e della salute nei paesi cosiddetti in via di sviluppo, le crescenti disuguaglianze economiche, i sempre più urgenti problemi ambientali. Dopo soli pochi anni appariva invece chiaro che le spese militari non erano state significativamente ridotte, che la povertà era ancora la norma per la maggioranza della popolazione mondiale, che le disuguaglianze erano in crescita anche nei paesi ricchi, che nuove guerre producevano in misura crescente sofferenze fra la popolazione civile, morti ed esodi forzati, ed inoltre che l'interventismo militare degli stati occidentali stava crescendo.
In questo scenario diventava sempre più evidente il ruolo di primo piano giocato dalla tecnologia e dalle scienze (tutte, da quelle della natura a quelle umane).
Tuttavia l'idea vecchia, ma persistente, della neutralità della scienza costituiva un ottimo alibi per non porsi domande né sul senso e la finalità delle ricerche né sull'origine dei finanziamenti alla ricerca.
Da qui l'idea che fosse necessario inserire il discorso sulla pace non tanto genericamente all'interno dell'università con qualche iniziativa circoscritta, ma su un più preciso duplice piano: in generale, nel contesto della vocazione primaria dell’Accademia; specificatamente, all'interno di tutte le discipline in essa coltivate.
Da qui anche la scelta del nome del nuovo Centro, nato nel 1998 con la missione di studiare e promuovere le condizioni per trasformare pacificamente i conflitti, ridurre le violenze e costruire una pace sostenibile.
Si sarebbe potuto fare riferimento agli "Studi sulla Pace" oppure alle "Scienze della Pace"; è stato invece scelto il meno immediato "Scienze per la Pace", per esprimere la consapevolezza del fatto che la Pace non potesse essere l'oggetto di una nuova disciplina che si collocasse a fianco delle altre. Rinchiudere il discorso sulla pace all'interno degli stretti confini di una disciplina accademica rischia infatti di sterilizzarlo, di ridurne la capacità di incidere e di cambiare la realtà.
Una cultura di pace
E’ tuttavia essenziale chiarire il senso della parola "pace", anche attraverso il suo opposto, individuato nella violenza, piuttosto che nella guerra. Uno studio critico della violenza è fondamentale all'interno di un discorso scientifico sulla pace.
Questo discorso è molto ampio, perché involge la violenza diretta (violenza fisica, palese, ma anche forme più sottili di violenza, come l'isolamento, l'emarginazione, il non riconoscimento dell'altro a causa della sua diversità etnica, religiosa, sessuale, ...) e la violenza strutturale (condizioni di oppressione e discriminazione che – anche in tempo di pace apparente - sono insite nelle strutture sociali, economiche, politiche e culturali).
Siamo convinti che per costruire la pace sia necessario studiare i conflitti. La visione del CISP è quella di operare sui conflitti in chiave nonviolenta, trasformandoli in opportunità per costruire legami sociali pacifici, cooperativi e duraturi, evitando sempre il ricorso alla violenza, che può facilmente degenerare in guerra.
In sintonia con questa idea di pace che si oppone alla violenza, potremmo definire cultura di pace una cultura della convivialità e della condivisione, fondata sui principi di libertà, giustizia e democrazia, di tolleranza e solidarietà. Una cultura che rifiuta la violenza, cerca di prevenire i conflitti all'origine e di risolvere i problemi attraverso il dialogo ed il negoziato. Infine, una cultura che assicura a tutti il pieno godimento di tutti i diritti e dei mezzi per partecipare pienamente allo sviluppo endogeno della società.
In questa accezione, la latitudine dell'idea di pace è evidentemente molto ampia e coinvolge la società nel suo complesso, a livello locale ed a livello internazionale. Disuguaglianze, sviluppo e sottosviluppo, povertà, sostenibilità, convivenza fra culture e religioni diverse, sono tutti aspetti essenziali di un discorso sulla pace.
Le Scienze per la Pace
Nel progetto del Cisp, l'inserimento del discorso sulla pace all'interno del mondo universitario si muove lungo due direzioni distinte ma complementari.
La prima direzione va dalle discipline verso la pace. In che modo le nostre conoscenze, le nostre competenze scientifiche possono contribuire ad una diffusione della cultura della pace, ed a realizzare le condizioni perché la pace possa essere la condizione normale della società umana?
La seconda direzione segue invece il percorso contrario, dalla pace verso le diverse discipline: la pace come una lente, una nuova prospettiva attraverso cui guardare il modo con cui facciamo ricerca, i paradigmi che usiamo, per poterli mettere in discussione.
Quanto detto ha una immediata conseguenza, la interdisciplinarità, o, come qualcuno preferisce chiamarla, la transdisciplinarità. Le diverse discipline non possono né contribuire alla pace né farsi da essa mettere in discussione da sole. Sono necessari il dialogo e un continuo scambio. La pace diventa allora il punto di snodo in cui le discipline si incontrano, si confrontano, riconoscono il ruolo e l'importanza delle reciproche prospettive e collaborano, in certi casi arrivando a vere e proprie contaminazioni interdisciplinari, in una sorta di affascinante “meticciato” scientifico.
Enza Pellecchia
Direttrice del CISP
Nella foto in alto: da sinistra, Enza Pellecchia, Pierluigi Consorti, Giorgio Gallo e Fabio Tarini.
Nella foto al centro: Paolo Mancarella e Enza Pellecchia.
Nella foto in basso: da sinistra, Nicoletta De Francesco, Luciano Modica e Marco Pasquali.
Il tempo e la storia, tra innovazioni e persistenze, tra progressi e crisi, e la percezione del cambiamento nell'area dell'Europa mediterranea sono i temi generali intorno ai quali il dipartimento di Civiltà e forme del sapere dell'Università di Pisa ha costruito il suo "progetto di eccellenza". Il dipartimento è stato infatti una delle 180 migliori strutture selezionate in tutta Italia dal ministero, ottenendo un finanziamento di oltre 8 milioni di euro per il quinquennio 2018–2022.
Martedì 13 novembre la Gipsoteca di Arte Antica ha ospitato una giornata di presentazione alla comunità universitaria e alla città intera del progetto di eccellenza, che ha come titolo: "I tempi delle strutture. Resilienze, accelerazioni e percezioni del cambiamento nello spazio euro-mediterraneo". Dopo i saluti del rettore Paolo Mancarella, dell'assessore comunale con delega alle Politiche integrate con le università, Paolo Pesciatini, e del direttore del dipartimento, Pierluigi Barrotta, sono intervenuti i referenti delle quattro linee di ricerca del progetto: Marilina Betrò per l'area antica, Giuseppe Petralia per l'area medioevale, Cinzia Maria Sicca per l'area moderna e Alberto Mario Banti per l'area contemporanea. Erano inoltre presenti i professori Simone Collavini, vice direttore del dipartimento, e Federico Cantini, responsabile della Commissione comunicazione dello stesso dipartimento.
In Gipsoteca sono stati anche esposti, e lo saranno fino al 17, alcuni poster che illustrano le varie attività collegate al progetto.
All'interno delle quattro linee di ricerca gli studiosi del dipartimento esamineranno specifici momenti e processi caratterizzati dalla compresenza dei due aspetti, della resilienza e dell'accelerazione, colti nelle diverse forme della loro relazione.
- L'area antica vuole indagare le dinamiche di espansione e i processi di crescita negli Early States e negli imperi del mondo antico, differenziando geograficamente e cronologicamente. Nel concreto la ricerca si rivolgerà all'identificazione dei fenomeni di crescita facendo uso di "misuratori", alla cui definizione è imprescindibile il contributo dell'indagine archeologica.
- L'area medioevale mira a ripensare la nozione di Rivoluzione feudale, indagando l'individuazione di un fattore decisivo nel riconfigurare il sistema delle strutture delle società medievali dopo l'anno Mille. L'asincronia delle trasformazioni, le diverse opzioni fra rapide e accelerate innovazioni ed evoluzioni graduali, la percezione variabile dei contemporanei del carattere rivoluzionario dei cambiamenti fanno del tema un buon caso di studio delle tematiche generali: il cambiamento storico tra resilienze e accelerazioni; la percezione del mutamento e il suo influsso sui processi storici.
- La terza linea ha l'obiettivo generale di restituire la complessità dei processi di cambiamento in età moderna, utilizzando i due strumenti costituiti dalla polarità accelerazione/resilienza e dalla dimensione della percezione del cambiamento. Essere moderni significa già essere consapevoli della diversità storica di un'epoca che, entro certi limiti, si contrappone al passato e ciò comporta un mutamento nel rapporto tra tempo storico e tradizione, una trasformazione nella direzione dello sguardo verso il futuro. Per studiare questa trasformazione di concetti e paradigmi ci si propone di elaborare un "Lessico europeo del cambiamento", dedicato alle idee chiave che definiscono in età moderna il rapporto con il tempo e la storia.
- La quarta linea di ricerca incentra la sua attenzione sulla comunicazione e la propaganda in età contemporanea. Mira in particolare a riflettere sul progressivo affermarsi della società di massa, con la costruzione di un campo comunicativo che si articola attorno a quattro fondamentali strutture: quelle tecnologiche e comunicative, con una sequenza continua di innovazioni mediatiche; quelle istituzionali, con modalità pubblicamente regolate di presa di parola; quelle discorsive e simboliche; quelle infine ideali, legate a ideologie e valori, con i relativi conflitti e mutamenti.
"Questo progetto di ricerca - ha commentato il direttore Pierluigi Barrotta - impegnerà tutto il dipartimento, a cui si sono recentemente aggiunti docenti di elevata qualifica internazionale grazie al finanziamento del MIUR. Sempre in vista dello svolgimento del progetto, saranno dati 32 assegni di ricerca con cui attrarre i migliori giovani ricercatori dall'Italia e dall'estero. I risultati della ricerca saranno via via pubblicati in una collana curata dalla casa editrice accademica Carocci di Roma. La qualifica di dipartimento di eccellenza conferma il profilo internazionale della tradizione umanistica propria dell'Università di Pisa".
Nella foto in alto: da sinistra, Pesciatini, Mancarella e Barrotta.
Nella foto nel mezzo: da sinistra, Collavini, Sicca, Cantini, Barrotta, Banti, Betrò, Petralia.
È attiva da alcune settimane la Consigliera di fiducia dell'Università di Pisa, che ha il compito di prevenire e contrastare discriminazioni e molestie nei luoghi di lavoro e di studio. Questa nuova figura di garanzia è stata istituita all'inizio dell'anno, dopo il passaggio negli Organi dell'Ateneo, ed è stata individuata al termine della procedura di selezione e nomina nell'avvocata Chiara Federici, che ha iniziato a svolgere la sua attività dai primi giorni di ottobre e che durerà in carica per tre anni.
Le funzioni, i compiti e gli obiettivi della Consigliera di fiducia sono stati illustrati lunedì 12 novembre, in rettorato, dalla stessa avvocata Federici, insieme alla prorettrice vicaria, Nicoletta De Francesco, che ha anche la delega sulle questioni di genere, e alla presidente del Comitato Unico di Garanzia (CUG), Elettra Stradella.
Il ruolo della Consigliera di fiducia è stato disciplinato da uno specifico Regolamento emanato dal rettore Paolo Mancarella nel dicembre scorso, su proposta del CUG, dando risposta all'esigenza ampiamente condivisa di dotare l’Ateneo di un importante strumento di gestione dei conflitti e di garanzia del benessere lavorativo. Tutte le persone appartenenti alla comunità universitaria possono così rivolgersi alla Consigliera per ottenere supporto contro discriminazioni e molestie, oltre che a difesa del rispetto della loro dignità, intimità e onore.
La Consigliera, in piena autonomia e nel rispetto della riservatezza di tutte le persone coinvolte, presta la sua assistenza, consulenza e attività di ascolto a tutela di chi si ritenga vittima di discriminazioni o molestie e si adopera per la soluzione del caso. Può inoltre acquisire testimonianze e accedere a eventuali atti amministrativi inerenti il caso in esame, proporre incontri a fini conciliativi e di mediazione, e, comunque, può suggerire azioni utili ad assicurare un ambiente di lavoro rispettoso della libertà, eguaglianza e dignità delle persone coinvolte.
La Consiglierà riceve su appuntamento, in condizioni tali da garantire il pieno rispetto della riservatezza, attraverso un contatto mail all’indirizzo Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
“L’istituzione della Consigliera di fiducia - ha sottolineato la professoressa Stradella - è stata fortemente voluta dal CUG per colmare un vuoto nel nostro Ateneo. Una risoluzione del Parlamento Europeo del 1994 già delinea il ruolo di questa figura, ma l’Unione Europea è intervenuta, anche successivamente, a orientare le istituzioni verso l’adozione di questo concreto strumento di difesa del rispetto della dignità delle persone nei luoghi di lavoro. Voglio segnalare che alla Consigliera possono rivolgersi tutte e tutti coloro che studiano e lavorano all’Università di Pisa, qualsiasi sia la loro tipologia di rapporto, anche quando operino temporaneamente nelle strutture dell’Ateneo. Questo è importante perché le persone che più spesso subiscono comportamenti discriminatori e abusi di potere sono le più giovani, che si trovano in condizioni di subordinazione gerarchica o che sono nelle prime fasi della carriera, con posizioni precarie”.
“Abbiamo voluto assegnare alla Consigliera un ruolo importante - ha concluso la professoressa De Francesco - mettendola in relazione sia, ovviamente, con il CUG, sia con la Commissione etica, alle cui sedute può essere chiamata a partecipare. Il suo operato si pone in attuazione del nostro Codice etico che sanziona molte delle condotte che potrebbero diventare oggetto di attenzione della Consigliera, dalle prassi discriminatorie, agli abusi di posizione, fino ai favoritismi, e sancisce i principi ai quali l’azione della Consigliera si ispirerà, basti pensare all’eguaglianza, alla parità di trattamento e alla valorizzazione del merito. Siamo certe che questa figura sarà efficace, perché ha la concreta possibilità di intervenire chiamando e ascoltando i protagonisti delle vicende che le vengono presentate, nonché di accedere ai documenti relativi ai casi, e, con i suoi compiti di conciliazione e mediazione, contribuirà a favorire un clima di lavoro sereno e collaborativo all’interno della nostra comunità accademica".
Nella foto in basso: da sinistra, Chiara Federici, Nicoletta De Francesco e Elettra Stradella.