Contenuto principale della pagina Menu di navigazione Modulo di ricerca su uniPi Modulo di ricerca su uniPi

Giulia BecattiPisana, 27 anni da compiere a giugno, Giulia Becatti ha vinto una borsa di studio di diecimila dollari intitolata ad Amelia Earhart, l’aviatrice statunitense del secolo scorso diventata simbolo di emancipazione femminile. Dopo la laurea in ingegneria aerospaziale, la dottoranda dell’Università di Pisa è attualmente al Jet Propulsion Laboratory della Nasa ad Altadena in California per portare avanti le sue ricerche sulla propulsione elettrica spaziale dei satelliti con cui ha vinto il premio. Giulia Becatti va così ad aggiungersi alle oltre mille donne nel mondo che, dal 1938 ad oggi, hanno ottenuto la borsa “Amelia Earhart” per meriti accademici e comprovata capacità di studio.

“Dopo il premio vinto lo scorso anno a un’altra nostra allieva, Selena Ghio, siamo molto orgogliosi di questo nuovo riconoscimento – commenta il professore Giovanni Mengali dell’Università di Pisa – tutti i nostri cicli di dottorato sono caratterizzati da una costante e significativa presenza donne, con picchi del 50% degli immatricolati, il che testimonia il notevole contributo femminile alla ricerca in un settore, come quello dell'ingegneria, in cui gli studenti maschi sono di gran lunga prevalenti in termini numerici”.

Il premio Amelia Earhart è conferito da Zonta International, un’organizzazione che ogni anno bandisce 30 borse di studio da assegnare a studentesse iscritte ai corsi di dottorato in ingegneria o scienze aerospaziali proprio per favorire la presenza femminile in ambiti più tradizionalmente maschili.

L’associazione Zonta International si occupa del miglioramento della qualità della vita delle donne. Le 30,000 socie presenti in 67 paesi diversi costituiscono una rete internazionale di professioniste e donne in carriera che dedicano tempo e talento a progetti internazionali e nella loro comunità locale per l’emancipazione femminile.

"Il nostro Ateneo ha uno stretto e duraturo legame con Zonta International di cui fanno parte diversi nostri ex-studenti e studentesse - conclude la professoressa Maria Vittoria Salvetti dell'Università di Pisa che fa parte anche dell'associazione - Daniela Pedrini, la prima dottoranda pisana a vincere la borsa ‘Amelia Earhart’ nel 2013 e 2014 per i suoi studi nel campo della propulsione spaziale, è attualmente presidente del primo club elettronico italiano di Zonta, l'e-club of Italy. Ci auspichiamo quindi che la partecipazione dei nostri studenti e laureati possa ulteriormente crescere, e per maggiori informazioni invitiamo tutti gli interessati a scrivere a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.".

 

sviluppo_piante.jpgBiodegradabili, ma non innocue per l’ambiente, tanto da causare anomalie e ritardi nella crescita delle piante. E’ questo quanto emerge da uno studio sulle buste compostabili condotto da un team di biologi e chimici dell’Università di Pisa. La ricerca pubblicata su “Ecological Indicators”, rivista tra le più rilevanti nel settore delle scienze ambientali, ha esaminato l’impatto sulla germinazione delle piante delle più comuni buste di plastica per la spesa. In particolare l’analisi ha riguardato le tradizionali shopper non-biodegradabili realizzate con polietilene ad alta densità (HDPE) e quelle di nuova generazione, biodegradabili e compostabili, realizzate con una miscela di polimeri a base di amido.

I ricercatori hanno esaminato gli effetti fitotossici del lisciviato, ossia della soluzione acquosa che si forma in seguito all’esposizione delle buste agli agenti atmosferici e alle precipitazioni. Da quanto è emerso, entrambe le tipologie di shopper rilasciano in acqua sostanze chimiche fitotossiche che interferiscono nella germinazione dei semi, con la differenza che i lisciviati da buste non-biodegradabili agiscono prevalentemente sulla parte aerea delle piante mentre quelli delle buste compostabili sulla radice.

“Nella maggior parte degli studi condotti finora sull’impatto della plastica sull’ambiente, gli effetti delle macro-plastiche sulle piante superiori sono stati ignorati – spiega il professore Claudio Lardicci dell’Ateneo pisano – la nostra ricerca ha invece dimostrato che la dispersione delle buste, sia non-biodegradabili che compostabili, nell’ambiente può rappresentare una seria minaccia, dato che anche una semplice pioggia può causare la dispersione di sostanze fitotossiche nel terreno. Da qui l’importanza di informare adeguatamente sulla necessità di smaltire correttamente questi materiali, considerato anche che la produzione di buste compostabili è destinata a crescere in futuro e di conseguenza anche il rischio abbandonarle nell’ambiente”.

Il gruppo di lavoro che ha realizzato lo studio pubblicato su “Ecological Indicators” è composto da sei fra docenti, ricercatori e studenti dell’Università di Pisa. Il professore Claudio Lardicci e la dottoressa Elena Balestri del dipartimento di Biologia si occupano di conservazione, gestione e recupero degli ecosistemi costieri. Nel corso delle loro ricerche hanno rilevato la presenza di buste negli ambienti naturali, specialmente spiagge e fondali marini. Da qui lo spunto per approfondire la questione, vista la mancanza di studi scientifici sugli effetti delle macroplastiche sulle piante. Fanno parte del team anche la professoressa Anna Raspolli Galletti e la dottoressa Sara Fulignati del dipartimento di Chimica e Industriale, scienziate impegnate in progetti di ricerca sulla “green chemistry” e sui temi della ecosostenibilà. Lo studio è stato inoltre parte del progetto di ricerca di dottorato in Biologia della dottoressa Virginia Menicagli e della tesi di laurea in Biologia Marina della dottoressa Viviana Ligorini.

Un team di studenti dell’Università di Pisa ha conquistano il podio di Manuthon, una maratona non-stop di 30 ore dove ragazzi e ragazze da tutta Italia si sono sfidati a colpi di idee d’impresa innovative. La gara, promossa da AITeM (Associazione Italiana Tecnologie Manifatturiere), si è svolta il 17 e 18 maggio a Napoli, presso il campus San Giovanni dell’Università Federico II.

studenti_unipi_manuthon_web.jpg

Gli studenti UNIPI a Manuthon

Francesco Bertini, Matteo Chesini, Giulio Fioretti e Chiara Pretini sono arrivati secondi in assoluto, vincendo anche la sfida lanciata da Cosberg, una delle aziende del settore manifatturiero che hanno partecipato alla manifestazione. I quattro studenti del corso di laurea magistrale in ingegneria gestionale dell’Ateneo pisano, seguiti dal professore Gino Dini e della dottoressa Michela Dalle Mura, sono riusciti a raggiungere il risultato grazie ad una idea per analizzare i guasti in ambiente industriale tramite l’impiego dell’intelligenza artificiale, il tutto completato dallo sviluppo di un ‘business model’ e di un’interfaccia per un’app.


Il contest in corso

 

Immagine1.jpgMa fra i giovani brillanti che hanno partecipato alla gara di Napoli c’erano anche altri due team di studenti di ingegneria gestionale dell’Ateneo pisano. Lara Bicchielli, Fabio Carbone, Giulia Lambardi, Claudia Lorenzini si sono confrontati con il problema di utilizzare in modo ottimale un sistema di taglio laser a 5 assi. La loro idea è stata quella di progettare due piattaforme rotanti sincronizzate in modo da ridurre drasticamente i tempi di lavorazione e aumentare la produttività, il tutto mantenendo la compattezza della macchina, la semplicità e la sicurezza per l’operatore.

Fabrizio Formica, Marco Moretti, Jacopo Rinaldi e Iacopo Scrima si sono infine focalizzati sullo sviluppo del concetto di “integrazione” tra processo di assistenza post vendita e industria 4.0 cercando di risolvere il problema tempistico della gestione dei guasti. Nello specifico hanno proposto la realizzazione di una piattaforma in grado di scambiare i dati automaticamente in modo da implementare una manutenzione predittiva.
“La competizione – conclude il professor Dini – è stata un ottimo banco di prova per i nostri studenti che hanno così potuto applicare a casi specifici la loro preparazione con risultati che premiano la qualità degli studi nella nostra Università”.

 

Plants are often defined as the green lungs of our planet and yet in order to produce new leaves and flowers they need only a little oxygen.  This discovery comes from an international study recently published in “Nature” and carried out by researchers from the University of Pisa, Aachen, Copenhagen, Heidelberg and the Sant’Anna School of Advanced Studies.

“The identification of this capacity in plants,” explains Francesco Licausi, an associate professor of plant physiology at the University of Pisa and coordinator of the research, ”may have multiple applications, among which, for example, is the selection of species capable of resisting  against environmental stress that reduces oxygen, such as high temperatures or floods, but also for more futuristic scenarios such as space farming, where the conditions of microgravity, in fact, reduce the transport of oxygen.”

 

Immagine B_web.jpg

Photo of the measurement of the oxygen level in the meristem of the tomato plant (Solanum lycopersicum) using a microscopic probe. (Author Daan Welts); Graphic representation of the measurement of the oxygen level in the meristem of the tomato plant (Solanum lycopersicum) using a microscopic probe. (Author Agnieszka Bochyńska)

The researchers were able to identify this mechanism in plants by measuring the levels of oxygen in an area of around a few hundred cells, called ‘plant shoot meristems‘ using a combination of microscopic electronic and biotechnological sensors. In this way, they were able to see that the levels of oxygen drop drastically precisely in those tissues responsible for the production of new leaves and flowers where a protein which is sensitive to oxygen, called ZPR2, acts.

 

Confocal micography of the Arabidopsis inflorescence meristem, the plant used as the model of study. The cellular walls are coloured blue, the young floral buds are marked with a green fluorescent protein while the production centre of the stem cells is distinguished by fluorescent red. (Author Daan Welts)

This discovery follows those made in past years by the same team of researchers and represents a big step forward in understanding how the production of new organs is linked to environmental parameters, therefore influencing growth and productivity.

“Preserving hypoxic conditions in order to maintain pluripotency is not specific to plants: numerous types of stem cells, including human stem cells, share this prerequisite,” concludes Daan A. Weits, a Dutch researcher at PlantLab in the Sant’Anna School of Advanced Studies, and the principal investigator of the research project. “This similarity is astonishing, considering how far apart plants and animals are from the point of view of evolution, even though they both represent the apex of the evolution of multicellular life on our planet.”

 

 

 

Dal 15 al 18 maggio si è svolta nel Mugello romagnolo l'escursione del Gruppo per la Floristica, Sistematica ed Evoluzione della Società Botanica Italiana, organizzata dall'Università di Pisa. Scopo dell’iniziativa, che si svolge ogni anno in regioni italiane differenti, è quello di contribuire alla conoscenza della distribuzione della flora spontanea di territori poco conosciuti.

partecipanti.JPG

I partecipanti all'escursione


In particolare l'escursione di quest’anno è stata organizzata dal dottor Francesco Roma-Marzio dell’Orto e Museo Botanico in stretta collaborazione con il professore Lorenzo Peruzzi e il dottor Marco D'Antraccoli del Dipartimento di Biologia. Ventisei in tutto i partecipanti fra rappresentanti di otto università (Calabria, Camerino, Marche, Napoli, Reggio Calabria, Roma, Salerno, Tuscia), di altri enti di ricerca e appassionati.
Il nutrito gruppo di botanici si è mosso, spesso suscitando la curiosità degli abitanti della zona, in varie località nelle altre valli dei fiumi Sillaro, Santerno e Senio, tra i comuni di Firenzuola e di Palazzuolo sul Senio (città metropolitana di Firenze).

Dalle numerose piante raccolte sono stati predisposti campioni d'erbario (piante essiccate, conservabili nel tempo come campioni museali), che saranno studiati ed identificati nei prossimi mesi. Lo stesso gruppo di studiosi si ritroverà a Pisa nel febbraio 2020, per un workshop che permetterà di risolvere alcune criticità di identificazione e per arrivare successivamente a una pubblicazione scientifica collettiva.

Le piante sono spesso definite come i polmoni verdi del nostro pianeta eppure per produrre nuove foglie e fiori hanno bisogno di poco ossigeno. La scoperta arriva da uno studio internazionale appena pubblicato su Nature e condotto dai ricercatori dell’Università di Pisa, Acquisgrana, Copenhagen, Heidelberg e della Scuola Superiore Sant’Anna.

“L’identificazione di questa capacità delle piante – spiega Francesco Licausi, professore associato di fisiologia vegetale all’Università di Pisa e coordinatore della ricerca – può avere molteplici applicazioni, fra cui ad esempio la selezione di specie capaci di resistere a stress ambientali che riducono l’ossigeno, come le alte temperature o le inondazioni, ma anche per scenari più avveniristici come le coltivazioni nello spazio, dove le condizioni di microgravità riducono appunto il trasporto di ossigeno”.

 

Immagine B_web.jpg

Fotografia della misurazione mediante sonda microscopica dei livelli di ossigeno all’interno del meristema della pianta di pomodoro (Solanum lycopersicum) (autore Daan Weits) e sua rappresentazione grafica (autrice Agnieszka Bochyńska)


Armati di una combinazione di sensori microscopici, di tipo elettronico e biotecnologico, i ricercatori sono arrivati a individuare questo meccanismo nelle piante misurando i livelli di ossigeno in una regione di circa poche centinaia di cellule, definita ‘meristema del germoglio’. In questo modo, hanno potuto osservare che i livelli di ossigeno calano drasticamente proprio nei tessuti responsabili della produzione di nuove foglie e fiori dove agisce una proteina sensibile all’ossigeno, chiamata ZPR2.

Questa scoperta segue quelle fatte negli anni passati dalla stessa squadra di ricercatori e rappresenta un notevole passo avanti nella comprensione di come la produzione di nuovi organi sia legata a parametri ambientali, influendo quindi su crescita e produttività.

 

Micrografia confocale del meristema dell’infiorescenza di arabidopsis, la pianta utilizzata come modello di studio. Le pareti cellulari sono colorate in blu, i giovani abbozzi fiorali sono marcati con una proteina fluorescente verde mentre il centro di produzione delle cellule staminali è distinto da fluorescenza rossa. (autore Daan Weits)



“Il mantenimento di condizioni ipossiche per mantenere pluripotenza non è specifico delle piante: numerosi tipi di cellule staminali, incluse quelle umane, condividono infatti questo requisito – conclude Daan A. Weits, ricercatore olandese al PlantLab della Scuola Sant'Anna e primo firmatario della ricerca – Questa similarità è stupefacente, considerando quanto piante e animali sono distanti da un punto di vista evolutivo, sebbene entrambi rappresentino i vertici evolutivi della vita multicellulare sul nostro pianeta”.

---
Pubblicazione:
Daan A. Weits, Alicja B. Kunkowska, Nicholas C. W. Kamps, Katharina M.S. Portz, Niko K. Packbier, Zoe Nemec-Venza, Christophe Gaillochet, Jan U. Lohmann, Ole Pedersen, Joost T. van Dongen, Francesco Licausi

An apical hypoxic niche sets the pace of shoot meristem activity
Nature, 15 May, DOI: 10.1038/s41586-019-1203-6

 

 

Artificial intelligence can be used to solve one of the most complicated ‘puzzles’ which have occupied archaeologists since time immemorial, namely recognising and piecing together thousands of pottery fragments which regularly come to light during excavations. This is the result of ArchAIDE, a project coordinated by the MAPPA Laboratory of the Department of Civilizations and Forms of Knowledge of the University of Pisa which has led to the development of an innovative App based on the system of automated recognition and neural networks which makes use of technology similar to that used in the investigative field for facial recognition.

The project funded by the European Union under the H2020 programme lasted for three years from 2016 until May 2019, and engaged 35 researchers, IT experts, designers and video makers from nine universities, research centres and firms in 5 different countries (Italy, Germany, Great Britain, Israel and Spain).


test_app_3_ArchAIDE.jpg


“During archaeological investigations, thousands of pottery fragments are found. These were produced in the most diverse eras from prehistoric times to the present day, and which, like the pieces of a puzzle, when joined together, can offer a myriad of information about life in distant times,” says Professor Letizia Gualandi from MAPPALab at the University of Pisa. “At present, this operation is extremely time consuming and requires the expertise of specialists and so, for reasons of time or space, it is almost always impossible to catalogue all the pottery uncovered.”

The goal of the App from the ArchAIDE project is precisely to solve these problems, as it was developed to be a simple and effective field tool. It will be sufficient to photograph fragments using mobile devices (smartphones or tablets), for them to be recognised and the data shared in real time thus creating an archive which can be used by any researcher, academic or enthusiast wherever they are.

“At the moment the system has a level of accuracy of around 75% and uses two different neural networks which were specially created,” explains Francesca Anichini, project manager of ArchAIDE. “The first recognises the designs on the pottery fragment and the second recognises the ‘profile’ identifying the shape it belongs to. As well as recognising pottery, the App allows us to have dynamic information on our smartphones which up till now was only available from dozens of paper catalogues, quickening the work of archaeologists.”

 

The project team

The App will be presented to the public for the first time during the international conference ‘ArchAIDE. Archaeorevolution is now’ which will be held as the final event of the project on 13th and 14th May at the Centro Congressi Le Benedettine at the University of Pisa (Piazza San Paolo a Ripa D’Arno, 16).

“The more data which is added to the system, the more accurate recognition is, so for this reason,” concludes Francesco Anichini, “the goal is now  to spread the use of the App and increase the contents by involving numerous other subjects both public and private at Italian and international level alongside the project partners.” 

 

 

Usare l’intelligenza artificiale per risolvere uno dei “puzzle” più complessi che impegna gli archeologi da sempre, ovvero riconoscere e mettere insieme le migliaia di frammenti ceramici che emergono abitualmente durante gli scavi. E’ questo il risultato di ArchAIDE, un progetto europeo coordinato dal Laboratorio MAPPA del Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere dell’Università di Pisa che ha portato alla realizzazione di una innovativa App basata su sistemi di apprendimento automatico e reti neurali che sfruttano una tecnologia simile a quella utilizzata in ambito investigativo per il riconoscimento facciale.

La App sarà presentata per la prima volta al pubblico durante la conferenza internazionale “ArchAIDE. Archaeorevolution is now” che si svolge a conclusione del progetto il 13 e 14 maggio al Centro Congressi Le Benedettine dell’Università di Pisa (Piazza San Paolo a Ripa D’Arno, 16). Durato tre anni, dal 2016 al 2019, e finanziato dall’Unione Europea sul programma H2020, il progetto ArchAIDE ha coinvolto oltre 35 fra ricercatori, informatici, designer, video makers provenienti da nove tra università, centri di ricerca e aziende di cinque paesi diversi (Italia, Germania, Gran Bretagna, Israele, Spagna).


test_app_3_ArchAIDE.jpg

Il test della App


“Durante le indagini archeologiche vengono ritrovati migliaia di frammenti ceramici prodotti nelle epoche più diverse, dalla preistoria ai giorni nostri, quasi come tessere di un puzzle che, se ricostruito, può fornire moltissime informazioni sulla vita nelle epoche passate – racconta la professoressa Letizia Gualandi del MAPPALab dell’Ateneo pisano - attualmente, però, questa operazione è molto lunga e richiede competenze molto specialistiche e così, per motivi di tempo o di spazio, risulta quasi sempre impossibile catalogare tutte le ceramiche ritrovate”.

Inconvenienti che però la App del progetto ArchAIDE promette di risolvere proprio perché pensata come uno strumento da campo semplice ed efficace. Basterà infatti scattare una foto con un dispositivo mobile (smartphone o tablet) per riconoscere il frammento e quindi condividere in tempo reale i dati, creando così un archivio che potrà essere utilizzato da qualunque ricercatore, studioso o appassionato in qualunque luogo si trovi.
“Al momento il sistema funziona con una accuratezza intorno al 75% sfruttando due diverse reti neurali create appositamente – spiega Francesca Anichini dell’Ateneo pisano, project manager di ArchAIDE - la prima riconosce la decorazione del frammento e la seconda il “profilo” individuando la forma a cui appartiene”.

 

Una rappresentanza del team del progetto



Oltre a riconoscere la ceramica, la App permette inoltre di avere sul proprio smartphone informazioni dinamiche che fino ad oggi erano contenute solo in decine di cataloghi cartacei statici velocizzando moltissimo il lavoro degli archeologi.

“Più dati si immettono nel sistema, più diventa accurato il riconoscimento, per questo motivo – aggiunge Francesca Anichini – l’obiettivo adesso è diffondere l’uso della App coinvolgendo, accanto ai partner del progetto, numerosi altri soggetti pubblici e privati sia a livello italiano che internazionale”.

Insieme all’Università di Pisa, hanno partecipato al progetto il Cnr-Isti, le università di Tel Aviv (Israele), York (Gran Bretagna), Barcellona (Spagna), Colonia (Germania), due aziende spagnole (“Baraka Arqueologos” ed “ElementsCentre De Gestió i Difusió De Patrimoni Cultural”) e l’italiana Inera srl.

 

L'Università di Pisa, tra le primissime in Italia, ha conferito la prima laurea magistrale in Informatica con curriculum in Intelligenza artificiale. Il neolaureato, che ha riportato la votazione di 110/110 e lode, si chiama Vlad Alexandru Pandelea ed è nato nel 1994 a Onesti in Romania. Con la supervisione dei professori Davide Bacciu, ricercatore senior del dipartimento pisano di Informatica, e Erik Cambria, associato della Nanyang Technological University di Singapore, ha discusso una tesi sullo sviluppo di un agente conversazionale, cioè un software in grado di interagire con l'uomo sostenendo un dialogo in linguaggio naturale, comprendendo le richieste e le intenzioni dell'umano e fornendo risposte coerenti con queste ultime.

laureaAI1

In particolare, la tesi di Pandelea ha riguardato il primo agente conversazionale che integra informazione derivata dall'audio della domanda in aggiunta alla sua trascrizione. Lo studio mostra come l'aggiunta dell'informazione audio sia essenziale per comprendere meglio le intenzioni e la disposizione emotiva dell'uomo e, di conseguenza, per ottenere un'interazione uomo-macchina più precisa e soddisfacente.
La tesi è stata sviluppata in collaborazione con la Nanyang Technological University di Singapore, nella cui sede il neolaureato ha trascorso tre mesi a inizio 2019, con il supporto del Bando Tesi all'Estero e dell'Azienda Regionale per il Diritto allo Studio Universitario.

Vlad Alexandru Pandelea aveva già conseguito all'Università di Pisa la laura triennale in Informatica con una tesi che applica tecniche di intelligenza artificiale ai dati di un gioco online, avendo come supervisori i professori Davide Bacciu e Vincenzo Gervasi. Prima di andare a Singapore, lo studente aveva frequentato per tre mesi l'Università di Linkoping, in Svezia, grazie a una borsa Erasmus.

laureaAI2

La laurea magistrale in Informatica si suddivide in quattro curriculum: a quello in Artificial Intelligence si aggiungono infatti gli altri in Data and Knowledge: Science and Technologies, in ICT Solutions Architect e in Software: Programming, Principles and Technologies. L’obiettivo comune è di fornire una formazione che unisce gli aspetti metodologici e scientifici di natura fondazionale con una visione del valore della sperimentazione innovativa verso le potenzialità offerte dalle nuove tecnologie abilitanti, come appunto nel caso dell'Intelligenza artificiale. Tutti i curriculum hanno una decisa caratterizzazione internazionale, con la presenza di molti studenti stranieri, tra i più preparati e motivati, che scelgono l'Ateneo pisano e in particolare il dipartimento di Informatica per il prestigio e per la capacità di rispondere in pieno alle attuali esigenze formative.

Nel porgere le congratulazioni al neolaureato, il rettore Paolo Mancarella, che ha partecipato alla discussione della tesi come presidente della Commissione, ha evidenziato la capacità di promuovere innovazione didattica da parte dell'Ateneo in molti ambiti disciplinari e in particolare nell’informatica, settore che quest'anno festeggia i 50 anni dall'istituzione del corso di laurea, primo in Italia.

"I diversi curriculum della laurea magistrale in Informatica - ha aggiiunto il professor Gian-Luigi Ferrari, direttore del dipartimento di Informatica - forniscono il bagaglio scientifico, tecnologico e culturale per comprendere le reali opportunità delle tecnologie innovative, combinando la prospettiva scientifica con quella tecnologica grazie all’insieme delle competenze presenti nel nostro dipartimento. Mi complimento con Vlad Alexandru Pandelea, che nel suo percorso di studi ha saputo utilizzare al meglio tali competenze e le opportunità fornite dall'Ateneo prima con l'esperienza Erasmus in Svezia e poi con il supporto alla realizzazione della tesi nell'Università di Singapore, di riconosciuta eccellenza".

Dai limoni e dagli aranci della storica Certosa di Pisa sono nati dei prodotti unici, una crema viso antirughe con elevate proprietà antiossidanti e olii agrumati di oliva buoni, salutari e sostenibili. A produrli a livello di prototipo è stata da una equipe di ricercatori dell’Università di Pisa composta da Angela Zinnai, Francesca Venturi e Laura Pistelli del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali, e Luisa Pistelli e Guido Flamini del Dipartimento di Farmacia, insieme ai giovani collaboratori di entrambi i dipartimenti. Il lavoro è stato svolto nell’ambito del progetto interregionale marittimo italo francese “Mare di Agrumi” da poco giunto a conclusione.

 

mare_agrumi.jpg


“Grazie al criotrattamento delle bucce o della polpa degli agrumi, seguendo un processo basato sull’impiego del freddo – spiega Angela Zinnai – siamo riusciti a preservare e massimizzare le proprietà sensoriali e nutrizionali dei composti ad elevato valore nutraceutico contenuti in queste materie prime per creare degli oli e dei succhi di particolare valore salutistico che poi abbiamo utilizzato per realizzare, in via sperimentale, dei prodotti alimentari e cosmetici”.

In particolare, per arricchire la crema di proprietà antiossidanti e prolungarne la conservazione i ricercatori hanno utilizzato l’estratto dei semi dell’arancio amaro. Per quanto riguarda invece gli olii di oliva agrumati, le analisi hanno evidenziato la presenza di buone quantità di carotenoidi, tirosolo e naringenina, sostanze che hanno proprietà antinfiammatorie e antistaminiche, utili per contrastare i radicali liberi, potenziare il sistema immunitario e ridurre il colesterolo e la glicemia.

 

Campioni Crema_mareagrumi.jpg

 Campioni di crema prodotti


“Gli oli di oliva agrumati” potrebbero sostituire il burro e gli olii vegetali raffinati nelle produzioni dolciarie e gastronomiche, ma possono anche essere consumati in caso di regimi alimentari particolari legati a scelte etiche o a problemi di salute - continua Angela Zinnai – infatti oltre a far bene si tratta di prodotti molto gradevoli al gusto ideali per esempio nella cottura del pesce, nella preparazione dei dolci o per condire a crudo”.

Nell’ambito del progetto, l’utilizzo degli agrumi della Certosa di Calci è andato di pari passo con la valorizzazione di altri agrumeti storici del territorio come quelli nelle Ville della Lucchesia o di Massa Carrara, di cui sono ancora allo studio le particolari proprietà.

“Uno degli obiettivi del progetto era di arrivare a produrre un marchio legato agli agrumi del territorio – conclude la professoressa Luisa Pistelli – arrivati ora alla fine della prima fase, per accedere ai nuovi finanziamenti, stiamo cercando giovani aziende del territorio che lavorino nella coltivazione o trasformazione degli agrumi che vogliano partecipare con noi”.

Questo sito utilizza solo cookie tecnici, propri e di terze parti, per il corretto funzionamento delle pagine web e per il miglioramento dei servizi. Se vuoi saperne di più, consulta l'informativa