Contenuto principale della pagina Menu di navigazione Modulo di ricerca su uniPi Modulo di ricerca su uniPi

Lavoratori e prodotti di Orti EticiMangiare verdura fa bene alla salute. Ma a volte anche produrla ha effetti positivi.
A San Piero a Grado da qualche anno è attivo “Orti Etici” un progetto sperimentale di agricoltura sociale nato dalla collaborazione dell’Università di Pisa con Biocolombini, un’azienda agricola biologica della zona, e con la cooperativa sociale Ponteverde.

Il progetto ha avuto la Menzione Speciale Innovazione al concorso nazionale ESEMPI "Esperienze di Sviluppo Eccellenti per Metodi e Prassi Innovative", promosso dal Ministero delle Politiche Agricole.

Cosa vuol dire “agricoltura sociale”?
“In una certa misura è un concetto che abbiamo introdotto noi con il progetto “Social Farming”, finanziato dal VI Programma Quadro dell’Unione Europea - afferma il professor Francesco Di Iacovo – Il termine descrive quelle pratiche agricole che offrono servizi civili per la collettività, ad esempio sostenendo il recupero socio-riabilitativo e l’inserimento lavorativo di persone svantaggiate e con “bassa capacità contrattuale” (dovuta ad es. a disabilità mentale e fisica, detenzione, tossicodipendenza)”.

Orti Etici è un esperimento economico innovativo: nei tre ettari che l’Università ha messo a disposizione lavorano 5 o 6 persone, seguite da un tutor della cooperativa Ponteverde, e producono porri, bietole, finocchi, pomodori, fragole, cavoli e insalate per un valore di circa 40.000 euro l’anno.

 I prodotti vengono distribuiti tramite la rete dei Gruppi di Acquisto Solidale, gruppi di consumatori che sostengono l’agricoltura biologica locale sperimentando forme di economia diverse da quelle dominanti.

Il progetto è del tutto autofinanziato. Funziona perché risponde ad esigenze e necessità di ognuno dei partner partecipanti: l’università aveva dei terreni a disposizione, ma non aveva il personale per lavorarli, Biocolombini aveva necessità di terreni da coltivare per la crescente domanda dei Gruppi di acquisto, la cooperativa Ponteverde aveva bisogno di nuovi percorsi di formazione in cui inserire gli utenti.

L’incontro è stato produttivo ed efficace: nei suoi tre anni di vita il progetto ha offerto formazione per 30 persone, 3 persone hanno trovato lavoro e sono stati prodotti 400 quintali di ortaggi per i membri dei gruppi di acquisto. Il tutoraggio della cooperativa sociale e le spese necessarie alla coltivazione sono a carico dell’azienda Biocolombini, a cui va il ricavato della vendita. L’Università dal canto suo può offrire attività formative qualificate ai suoi studenti e ha la possibilità di fare ricerca nel campo dell’agricoltura multifunzionale.

“Nel periodo di crisi in cui ci troviamo- continua Di Iacovo - il progressivo ridursi delle risorse pubbliche ha effetti drammatici nelle zone rurali, che devono fare fronte ad un taglio drastico dei servizi sociali. In questo contesto le aziende agricole possono offrire servizi di inclusione sociale e, più in generale, servizi alle persone molto validi”.

Le aziende agricole toscane già lo fanno già adesso. Nel 2003 erano attivi 60 progetti che hanno favorito inserimento per 1200 persone, di fatto quasi una ASL “in ombra”, a cui poi si sono aggiunte nuove esperienze. Più tardi sono cominciati ad arrivare i riconoscimenti formali: la Società della Salute della Valdera, ad esempio, riconosce formalmente l’Agricoltura sociale, la Società della Salute di Pisa ha progetti già attivi in tale direzione, e anche altri territori toscani si stanno muovendo. La Regione Toscana è stata la prima a varare una legge regionale nel 2010, ed a prevedere nel Piano di Sviluppo Rurale aiuti alle aziende che adeguano le strutture per offrire servizi alla persona.

BietolaLe persone che lavorano ad “Orti Etici” sono selezionate dai servizi sociali (il SerT, il Servizio per le Tossicodipendenze, il Dipartimento di Salute Mentale, gli UEPE, Uffici per l’esecuzione Penale Esterna) e seguono dei percorsi che durano circa 6 mesi.

“Lavorare in un’azienda agricola è particolarmente efficace per chi si confronta con diverse forme di disagio  – afferma Di Iacovo - Il rapporto con le piante e con gli animali all'interno di processi produttivi veri dal punto di vista professionale ed economico, permette a persone in difficoltà di operare e mettersi alla prova senza esporsi al giudizio diretto delle persone e di progredire nella percezione della propria autostima, del proprio valore. D’altra parte lavorare all’aperto, a contatto con la natura, offre particolari opportunità. Come mi ha detto una volta un responsabile della Cooperativa Agricola il Forteto, una comune storica che ospita minori inviati dal Tribunale dei minori, la campagna è un posto dove si può urlare il proprio disagio e nessuno ti dice niente”.

La ricerca in corso, oltre a studiare modelli di innovazione sociale e di mediazione della conoscenza (in questo caso agricola e sociale) serve anche a definire dei criteri utili a valutare in maniera obbiettiva l’impatto che questi percorsi hanno sugli utenti e su tutti i soggetti coinvolti, in modo da avere degli strumenti validi per scegliere che interventi adottare nei diversi casi.

Il modello dell’agricoltura sociale sta già espandendosi ulteriormente: ad esempio nel campo dei servizi all’infanzia, con la realizzazione di agri asili, oppure con l’offerta di servizi ad anziani o adulti in situazione di difficoltà temporanea.

Ne hanno parlato:
Il Tirreno Pisa
Repubblica Firenze.it
InToscana.it
Il Tirreno Pisa.it
Pisa Informa Flash
Ansa.it
Il Tirreno

Si svolgerà venerdì 28 ottobre 2011, nell'Aula Magna di Scienze politiche, la giornata di studio dal titolo "Disagio territoriale. Il destino dei piccoli comuni di montagna", che mira ad approfondire questo argomento di tragica attualità, con un'attenta analisi della situazione italiana e più in particolare con riferimento a casi tipici della Toscana, della Calabria e della Sardegna. L'iniziativa è promossa dal gruppo di ricerca che fa capo al professor Mario Aldo Toscano, ordinario di Storia e teoria sociologica.

La decadenza dei piccoli comuni di montagna appare sempre più come una perdita sociale di eccezionale gravità con implicazioni forti dal punto di vista del presidio territoriale, della conservazione degli insediamenti, della difesa di antiche comunità storicamente importanti.

Alla giornata di studio parteciperanno eminenti studiosi dell'Università di Pisa e giovani ricercatori del dipartimento di Scienze politiche e sociali – Antonella Cirillo, Claudia Damari, Silvia Cervia – oltre all'onorevole Ermete Realacci, presidente onorario di Legambiente, a Franca Biglio, presidente dell'Associazione nazionale piccoli comuni, e a esperti di altre università e istituzioni testimoni delle realtà locali esaminate.

Il convegno si annuncia particolarmente significativo sia per i risvolti politici e programmatici che riguardano il territorio, sia per la promozione della visione di una nuova integrazione tra città e montagna nel quadro di un'etica del territorio da ricostruire, come emerge dallo studio compiuto dal gruppo pisano e pubblicato dalla casa editrice "Le Lettere" di Firenze con il titolo "Derive territoriali. Cronache dalla montagna del disagio".

Il 21 ottobre è morto, nella sua casa di Firenze, Antonio Cassese, l'insigne giurista, laureato a Pisa e poi docente di diritto internazionale nella nostra università. Il professor Antonio Cassese aveva dedicato la propria attività scientifica ai grandi temi del diritto internazionale pubblico e del diritto interno in materia internazionale, con particolare attenzione alla problematica dei diritti umani in tutte le sue molteplici articolazioni, meritando di essere annoverato tra i massimi esperti mondiali della materia. 

Il 22 febbraio 2010 il professor Antonio Cassese aveva ricevuto in Sapienza il "Campano d'Oro", massimo riconoscimento dell'Alap, l'Associazione laureati dell'Ateneo pisano, a cui era intervenuto con un ricordo degli anni pisani e un'appassionante conversazione sulla giustizia penale internazionale. Qui di seguito pubblichiamo il contributo già apparso sul n. 31 della rivista Athenet, ripreso dalla rassegna periodica dell'Associazione laureati dell'Ateneo pisano, Il rintocco del Campano.


Il ricordo degli anni pisani

Antonio CasseseVi ringrazio profondamente per le tante parole di affetto e per questa indimenticabile giornata. Troppe lodi mi sono state rivolte; è vero però che la mia attività è sempre stata intensa: per me non esiste quella che Hegel chiamava la domenica della vita. Ho un'indole frenetica e sono convinto che ci si debba sempre adoperare per migliorare il mondo che ci circonda. Desidero in questa sede ricordare insieme a voi i miei anni pisani. A 17 anni partii dalla natia Salerno per entrare in quello che si chiamava allora Collegio Medico Giuridico (l'antenato dell'attuale Scuola Superiore Sant'Anna), passando per un severissimo esame. Venni ascoltato da una commissione di sette docenti tra cui il già anziano Lorenzo Mossa, il quale volle (lui docente di Diritto commerciale) che gli illustrassi nel dettaglio le tragedie di Shakespeare. Iniziò così la mia avventura pisana, immerso in una sorta di doppia vita tra gli esami di diritto in Sapienza e le lezioni di storia e filosofia alla Scuola Normale, cui era annesso il citato Collegio. Era vicedirettore della Normale il giovane professore Tristano Bolelli, eminente glottologo che faceva le veci del direttore Ettore Remotti (un professore di materie scientifiche a Genova, non molto conosciuto ma simpatico), successore di Luigi Russo (quest'ultimo allontanato dalla Scuola non appena terminata la prima fase del dopoguerra). Bolelli ci disse chiaro e tondo: "Qui non si fa più politica e si studia il tedesco". Ovviamente tutti noi studiammo a fondo il tedesco, ma continuammo a impegnarci nella politica, divisi tra cattolici e comunisti. Anche la vita della Facoltà fu per me molto interessante e formativa. Avevamo contatti quotidiani coi professori, quasi tutti fuori sede che al termine della loro carriera passavano da un incarico a Pisa per stabilirsi poi all'università di Roma (ricordo insigni giuristi come Massimo Severo Giannini, Giuseppe Sperduti, Franco Pierandrei, Gino Gorla, Ugo Natoli, Paolo Frezza e tanti altri). La temperie culturale giuridica di quegli anni era all'insegna del più rigoroso formalismo, quasi che il diritto fosse materia astratta, separata dalla realtà. Due aneddoti in proposito. Una volta, mentre studiavo nell'aula del "Seminario Giuridico", ebbi la ventura di sentire nella stanza attigua Massimo Severo Giannini chiedere ad un suo collega, il grande processualcivilista Andreoli, cosa ne pensasse de L'Ordinamento giuridico di Santi Romano; Andreoli da vero formalista rispose: "Quel libro?... È un romanzo!". In altra occasione parlavo entusiasticamente al Professor Frezza, nostro Preside, delle mie letture di Thomas Mann e Carl Schmitt. Frezza mi colpì molto con questa osservazione: "Cassese, questi suoi pruriti culturali mi sorprendono". Io invece desideravo aprirmi oltre il campo limitato del diritto, a discipline lontane dalla "dogmatica giuridica" che invitavano a "sporcarsi le mani" nelle concretezze della vita politica e sociale, come la materia del diritto costituzionale. Scelsi infatti per la tesi (con Sperduti) un argomento in realtà più politico che giuridico, L'autodeterminazione dei popoli, tema che mi ha accompagnato sino ad oggi. In realtà la mia formazione deve moltissimo agli anni pisani, che mi hanno insegnato il rigore nello studio, consentendomi poi di razionalizzare fenomeni apparentemente disomogenei, magmatici e oscuri. Anzi, questa mia formazione pare che abbia indirettamente favorito - cosa invero singolare - la brillante carriera giornalistica di Tiziano Terzani, che nel 1961 si laureò in diritto internazionale. Io commentai criticamente la sua tesi con molte postille - questo me lo ricordò lui stesso quando, un anno prima della sua scomparsa, ebbi la fortuna di assistere a una sua conferenza - e in una lettera di accompagnamento al manoscritto gli suggerivo di contenere il suo stile ricco ed esuberante, perché (scrivevo citando Kant) "La scienza deve essere arida". Queste parole (a quanto poi ebbe a riferirmi Tiziano) gli fecero comprendere con chiarezza che non avrebbe dovuto spendere ulteriormente la sua vita sui codici. Pisa mi offrì anche la possibilità di partecipare a un "cenacolo di dotti" composto quasi esclusivamente da ex normalisti che si riunivano periodicamente presso una tavola calda in Corso Italia. Qui conobbi Luigi Blasucci, Sebastiano Timpanaro, Cesare Cases, Carlo Ripa di Meana e molti altri. La cucina era modesta ma ascoltavo le conversazioni di questi grandi studiosi imparando moltissimo.


La giustizia penale internazionale


Antonio CassesePer il diritto, la giustizia penale internazionale è un fenomeno alquanto nuovo e di grande fascino. Tutto nacque all'indomani della seconda guerra mondiale coi processi di Norimberga e di Tokio. Churchill aveva proposto di passare per le armi le alte autorità politiche, militari ed amministrative del nazismo (circa diecimila persone); Roosevelt prima e Truman poi vollero invece che gli addebiti fossero verificati per il tramite di un processo, sia per un'irrinunciabile esigenza di giustizia che per consentire la raccolta accurata di documenti e testimonianze a futura memoria sulle barbarie dei regimi totalitari. Durante la guerra fredda la giustizia penale internazionale rimase del tutto bloccata a causa della contrapposizione dei due blocchi antagonisti, ma successivamente si è avuto il fiorire dei tribunali penali internazionali. Nel 1993 si è insediato il tribunale per la ex Jugoslavia, e nel 1994 quello per il Ruanda; dal 2002 è operativa la Corte penale internazionale all'Aja. Questi organi si occupano di crimini di guerra, crimini contro l'umanità, genocidio eccetera; il tribunale per il Libano che attualmente presiedo si dedica invece al fenomeno del terrorismo. Cos'è la giustizia penale internazionale, e perché è così importante? Prima i rapporti erano esclusivamente tra stati, vale a dire che, se uno stato violava una norma di diritto internazionale, l'altro stato danneggiato poteva ricorrere alle "sanzioni " nei confronti dello stato danneggiante, che era tenuto al risarcimento dei danni. Un esempio Italia-Grecia: nel 1923 venne ucciso a Corfù, da terroristi greci, il generale italiano Tellini. Mussolini reagì duramente facendo bombardare Corfù e lo stato greco fu tenuto a versare una consistente somma all'Italia a titolo di risarcimento danni. Oggi, invece, la giustizia penale internazionale va, per così dire, al cuore del problema, punendo non lo stato, ma l'individuo fisico che si è macchiato della contravvenzione di una norma internazionale, e più precisamente della violazione di diritti umani (ad esempio genocidio). La violazione dei diritti umani integra oggi un crimine internazionale, la cui repressione viene attuata non obbligando lo stato in cui detta violazione avviene al pagamento di una somma di denaro, ma catturando e punendo i responsabili morali (mandanti) o materiali (carnefici) di quel crimine. Si squarcia così il velo della sovranità statuale per consentire alla comunità internazionale di individuare i rei di crimini internazionali e processarli. È stato il caso, tra gli altri, di Pinochet (Cile), Milosevic (Serbia), Taylor (Liberia), Karadzic (Bosnia), al- Bashir (Sudan). La creazione dei tribunali penali internazionali è un passo da gigante nella lotta a questi crimini, ma patisce ancora forti limitazioni e contraddizioni. La principale limitazione è costituita dall'assenza di una polizia giudiziaria internazionale, che riduce moltissimo l'autonomia della Corte, la quale per eseguire un mandato di cattura deve necessariamente rivolgersi alla polizia dello stato nel cui territorio il criminale si trova. La contraddizione invece è questa: proprio quei cinque stati che sono membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell'ONU - che ha la funzione di salvaguardare la pace e la sicurezza - sono i maggiori produttori e venditori mondiali di armi e dunque alimentano le guerre. Di fronte a questo scenario, il nostro compito è quello di trasmettere un messaggio di ottimismo alle giovani generazioni. Proprio nelle aule di questo Ateneo ho appreso due valori fondamentali: il rigore della scienza e la sensibilità per i grandi problemi della realtà sociale e le sue ingiustizie. Rigore e sensibilità che non devono riferirsi soltanto allo studio e alla conoscenza, ma anche all'approfondimento e alla preservazione dei più alti principi etici a cui l'Università deve educare i giovani. È nostro compito trasmettere ai giovani quello che Hegel chiamava entusiasmo dello spirito, una tensione continua all'operosità e all'impegno, senza cedere alla pigrizia e al sonno di una comoda ma passiva domenica della vita.

Lunedì 26 Settembre alle 17.00, alla Libreria Feltrinelli, in Corso Italia 50 a Pisa, si svolgerà l'incontro "Cittadini e Istituzioni. Istruzioni per l'uso", una discussione a partire dal volume "Il Vademecum delle Istituzioni" di Saulle Panizza e Elettra Stradella edito dalle Edizioni PLUS-Pisa University Press. Interverranno Maria Chiara Carrozza, direttore della Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa,
Eugenio Ripepe, preside della facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Pisa,
 Alberto Vannucci, docente di scienza politica della facoltà di Scienze politiche dell'Università di Pisa. Saranno presenti gli autori. In caso di maltempo l'incontro avverrà presso la sede della Biblioteca Centrale del Comune di Pisa (Palazzo Pretorio, Lungarno Galilei 42).

Sabato 24 settembre, alle ore 11, nell'Auditorium del Palazzo dei Congressi, in via Matteotti 1, avrà luogo la cerimonia di consegna dei diplomi a 270 allievi dei master in Auditing e controllo interno, Auditing e controllo di gestione, Bilancio e amministrazione aziendale, Economia aziendale e management, Finanza e controllo di gestione, Governance e strategia aziendale e Management delle aziende sanitarie. La consegna sarà preceduta dal saluto del prorettore per la Didattica, Paolo Mancarella, del preside della facoltà di Economia, Dianora Poletti, e di Roberto Sbrana, direttore del dipartimento di Economia aziendale.

I master hanno un bacino di utenza nazionale e internazionale, come testimonia la presenza in aula di numerosi laureati di nazionalità europea, provenienti da Regno Unito, Irlanda e Albania, ma anche extra-europea, provenienti da Canada, Cuba e Uruguay. Tra i punti di forza dei master vi è sicuramente il consolidato rapporto con le imprese, ne sono testimonianza le sinergie con prestigiose associazioni professionali e il supporto di primarie società industriali e finanziarie, la qualità della formazione che si realizza con il supporto di metodologie e piattaforme tecnologiche avanzate e che si avvale di contributi provenienti dal mondo accademico e di numerosi interventi di manager e professionisti, la rete di relazioni che si è costituita negli anni tra gli allievi, e infine, la vocazione all'internazionalizzazione.

Il master MBA in Business Administration, giunto alla sua terza edizione, si svolge interamente in lingua inglese e ha visto la partecipazione di 26 allievi provenienti da 16 paesi diversi (Austria, Azerbaijan, Canada, Croatia, Danimarca, Ecuador, India, Indonesia, Iran, Italia, Libano, Macedonia, Messico, Russia, Taiwan, Turchia); si tratta di young graduates con breve esperienza lavorativa di circa 2 anni, con ottima conoscenza di più lingue e con forte propensione all'internazionalizzazione ed alla mobilità territoriale.

Sono prossime le scadenze per le iscrizioni alle nuove edizioni dei Master in auditing e controllo di gestione (30 settembre), Management aziendale (30 settembre), Auditing e Controllo interno (5 ottobre per i full-time e 20 ottobre per i part-time), Management delle aziende sanitarie (21 ottobre), Finanza e controllo di gestione on line (2 novembre).

Complessivamente sono 8 le borse di studio messe a concorso dall'INPDAP (Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell'amministrazione pubblica) a favore dei figli e orfani di dipendenti della pubblica amministrazione e dei figli e orfani di pensionati INPDAP che intendano partecipare al master promosso dal dipartimento di Economia aziendale "E. Giannessi" dell'Università di Pisa, master che ha ricevuto la certificazione Inpdap 2011-2012. Le borse di studio sono rivolte a chi è interessato a partecipare agli orientamenti full time "Auditing & Goverance" e "Controllo di gestione e finanza aziendale.

La domanda all'Inpdap per la borsa di studio deve essere presentata entro il termine di iscrizione al master, rispettando la scadenza di seguito indicata: entro il 5 Ottobre 2011 per coloro che sono interessati agli orientamenti full time.

Maggiori informazioni allo 050 3157346, Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo., oppure sul sito www.masteraudit.it

Charles Klopp insegna cultura e letteratura italiana moderna e contemporanea presso la Ohio State University. Ha al suo attivo numerosi saggi su temi di letteratura italiana, pubblicati negli Stati Uniti, in Europa, Canada e Messico. Autore di una monografia su Gabriele D'Annunzio (Boston, 1988), ha tradotto in inglese Con gli occhi chiusi di Federigo Tozzi (New York, 1990) e curato un volume di saggi sulla cultura e la letteratura triestina dal 1719 al 2007 (New York, 2008).

klopp_copwebIl libro di Charles Klopp, "La zebrata veste. Memorie e lettere di detenuti politici italiani", per i tipi della Felici editore di Pisa, recentemente presentato dal prof. Adriano Prosperi e dall' avv. Ezio Menzione alla Limonaia, aveva visto la luce in inglese già da diversi anni per la Toronto University Press, con il titolo "Sentences. The Memoirs and Letters of Italian Political Prisoners from Benvenuto Cellini to Aldo Moro", e colpiva per la approfondita attenzione dedicata da un autore non italiano ad un tratto caratteristico e peculiare della storia italiana, cioè il gran numero di uomini di cultura e di politici che erano passati attraverso una porta del carcere, e che, indossando la "zebrata veste" -l'espressione, volutamente ironica, è di Mario Alicata-, avevano lasciato traccia nella letteratura, nella filosofia, nella storia della cultura stessa, con testi che si caratterizzavano per essere scritti nelle condizioni, assai peculiari e drammatiche, della detenzione carceraria. Esisteva certamente una percezione della questione, molti conoscevano e conoscono, ad esempio, le Lettere e i Quaderni dal carcere di Antonio Gramsci; meno diffusa era la consapevolezza del peso della cultura italiana, nelle e dalle carceri, nella storia moderna e contemporanea. Questo è il primo elemento di pregio del lavoro di Charles Klopp. Adriano Prosperi, presentandolo, lo ha definito efficamente "una storia d'Italia attraverso gli sguardi dal carcere". Talvolta succede che le analisi più ampie e le visioni più innovative sulla storia d'Italia provengano da intellettuali e studiosi non italiani

Il libro di Klopp, nella versione originale, aveva però avuto una diffusione limitata qui da noi, anche se era stato inserito da storici come Claudio Pavone nella bibliografia della voce "Lettere dal carcere" del Dizionario del Fascismo Einaudi. La sua traduzione si presentava quindi come una operazione culturale, significativa quanto impegnativa. È importante ricordare il grande spirito di collaborazione e di disponibilità da parte della Toronto University Press, e l'impegno del Corso di Laurea Specialistica in Traduzione del nostro Ateneo, per l'impegno della allora presidente di quel corso di laurea prof.ssa Marcella Bertuccelli, che ha indicato due giovani, allora laureande ora laureate, Monica Amoroso e Chiara Ceccarelli, che, con la loro preziosa collaborazione alla traduzione, hanno svolto il tirocinio del loro corso.

Charles Klopp, che è professore di Italiano e di Francese alla Ohio State University, utilizza con grande finezza l'approccio disciplinare proprio, e lavora con grande capacità critica sui testi prodotti in detenzione. I testi carcerari, per il contesto dal quale sono prodotti, vanno analizzati in relazione stretta con la condizione di restrizione e di controllo nella quale gli autori operano. Chi sono i veri destinatari della scrittura carceraria? Quali sono gli intenti di chi, in vincoli, cerca, scrivendo, in qualche modo di sfuggire ad essi? Si può veramente scavalcare i muri della prigione e riuscire a comunicare intensamente e veramente con i propri cari lontani e con i propri compagni di idee? "La zebrata veste" ci presenta un repertorio vastissimo -anche se inevitabilmente non completo- degli intellettuali italiani che han dovuto sperimentare la prigione e per ciascuno di essi descrive con grande intensità e acume i modi con i quali si è tentata la sopravvivenza al carcere, quali siano state le strategie messe in atto per combattere la condizione carceraria e uscirne, se non fisicamente, almeno con le parole e le idee, o comunque avendo dato un senso alla persecuzione politica, alla propria identità di detenuti politici. L'autore, in video conferenza da Columbus, ha confessato di aver scritto il testo guidato da grande passione, ma anche il lettore è portato, da pagine intense e sorvegliate, in stretto contatto e compartecipazione con i protagonisti di quel mondo detentivo. I detenuti politici, come ha osservato Ezio Menzione, si impegnano con grande energia per costruire e difendere una propria identità in quanto detenuti politici. In effetti ciascuno di loro lo fa sia con strumenti propri personali, costruendo progetti di cultura -come sono stati poi i Quaderni dal Carcere o la corrispondenza dal carcere di Ernesto Rossi- o cercando in molti modi di mantenere i contatti o con le organizzazioni esterne al carcere o con il progetto politico nel quale erano impegnati.

Le generazioni di detenuti politici (o ad essi assimilabili), spaziano dal Rinascimento all'epoca dei Lumi, con Cellini, Tasso, Casanova, per poi infittirsi in epoca risorgimentale, nella quale l'opera, quasi un best seller, di Silvio Pellico attira però le riscritture di compagni di prigionia del Pellico allo Spielberg, e le successive opere dei molti che i regimi della Restaurazione punivano con il carcere duro. L'Italia unita porta nelle sue carceri socialisti, anarchici, sovversivi di varia estrazione, tra i quali Andrea Costa, Filippo Turati, Anna Kuliscioff, mentre la stagione più affollata è quella del fascismo, che riempie le sue carceri di oppositori, di varia estrazione politica, tra i quali il leader comunista Antonio Gramsci. Un cervello, si disse, al quale si doveva impedire di funzionare: ma il politico sardo pagò con la vita tale malevolo intento, lasciandoci però un capolavoro appartenente a pieno titolo alla cultura nazionale. Le testimonianze dei detenuti della lotta armata si affacciano nel libro, ma Klopp sceglie di concludere con un capitolo dedicato ad Aldo Moro che, nella sua anomala ma non per questo meno tragica detenzione, pone in essere strategie estreme di sopravvivenza e di comunicazione, che però, come si sa, non lo salveranno.

Ogni libro ha una sua storia e talvolta una sua ispirazione. Questo progetto di traduzione e di curatela, oltre che dal grande interesse per il libro in inglese, è stato alimentato dalla conoscenza diretta della condizione carceraria concreta acquisita in anni di frequentazione del carcere Don Bosco come responsabile del Polo Penitenziario Universitario. Gli studenti detenuti del Polo, altri allora detenuti come Adriano Sofri, ma anche il personale e i volontari impegnati a vari livelli, hanno creato i presupposti, quasi il contesto ambientale, per una attenzione ed una riflessione che si è tradotta poi nel progetto che ha portato a questo libro. Conoscere il carcere -e la storia, la letteratura, come le scienze sociali, politiche e giuridiche, sono irrinunciabile strumento di conoscenza- è il necessario presupposto per affrontare oggi la "questione carcere", una delle più scottanti ed urgenti in questo nostro Paese.

Mauro Stampacchia

Charles Klopp, La zebrata veste. Lettere e memorie di detenuti politici italiani, Felici Editore, 2011
A cura di Mauro Stampacchia
Traduzione di Monica Amoroso, Chiara Ceccarelli, Mauro Stampacchia

Scheda del volume 


Mercoledì 21 settembre alle 11.00, nell'Auditorium del Palazzo dei Congressi (con ingresso dalla facoltà di Economia) si terrà il tradizionale "Incontro con le matricole". La preside Dianora Poletti e alcuni docenti rivolgeranno un saluto di benvenuto ai nuovi iscritti e illustreranno la struttura e l'organizzazione didattica della facoltà, con specifico riferimento agli insegnamenti dei semestri comuni a tutti i corsi di laurea triennale.

Saranno inoltre fornite informazioni sul funzionamento del Centro servizi informatici, del Centro bibliotecario, del Laboratorio multimediale e sui numerosi altri servizi che la Facoltà mette a disposizione dei propri studenti: tra questi, la libreria "Universo libro" e il Centro-stampa, che offrono sconti sul materiale librario e sulle fotocopie, il Punto-salute, presso il quale vengono rese attività di tipo medico-consultoriale, la biglietteria automatica ferroviaria e il bancomat interno. All'incontro sarà presente il prorettore ai rapporti con gli studenti Rosalba Tognetti.

L'evento verrà ripreso e trasmesso da RadioEco, la web radio di facoltà gestita dagli studenti. Per maggiori informazioni è possibile rivolgersi a Michela Vivaldi (tel. 050-2216371; e-mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.).

Locandina del ciclo di incontriUndici incontri per raccontare i 150 anni di storia dell’unità di Italia dal punto di vista del lavoro e delle sue organizzazioni: è l’obbiettivo ambizioso di un ciclo organizzato dalla Camera del Lavoro, dal Dipartimento di storia e dalla Fondazione Di Vittorio.

L’inaugurazione si è tenuta venerdì 16 in una sala che si è riempita pian piano, con un pubblico misto di studenti e quadri del sindacato.
Di questi tempi il tema dell’unità di Italia è estremamente attuale, al di là delle celebrazioni, di un’attualità che forse era difficile da immaginare qualche anno fa.

Gian Franco Francese, segretario della Camera del Lavoro di Pisa, nel suo intervento introduttivo ha ricordato che Bossi ha da poco affermato che l’Italia va a picco e che il futuro è la Padania . “Troppo tempo abbiamo sorriso di questi atteggiamenti” afferma Francese “il 150° dell’unità non è un momento liturgico, ma deve essere un’ occasione per riflettere su una storia a cui il movimento operaio ha dato un contributo decisivo.”

Francese ha ricordato come le battaglie di emancipazione del sindacato siano state sempre legate all’affermarsi della democrazia in Italia: dallo sciopero generale proclamato a Milano nel 1904 per l’eccidio di Buggerru in Sardegna, agli scioperi del marzo ’43 che prepararono la resistenza, al ruolo di Di Vittorio nella Costituente, alle lotte degli anni 70 degli operai del Nord per lo sviluppo del meridione, fino all’impegno contro la mafia dopo le stragi dei primi anni novanta.Il ciclo di incontri, ha affermato Francese, è un’occasione per il dialogo tra sindacato, mondo accademico e città, ed è anche un ‘occasione di formazione per il gruppo dirigente della Camera del Lavoro.

Ma in che senso la riflessione storica può essere utile e formativa per un sindacato, e più in generale per i cittadini?
Luca Baldissara, del Dipartimento di Storia, ha cominciato il suo intervento ricordando quando, alla vigilia del suo primo giorno di scuola, il nonno, vecchio militante socialista, lo aveva portato davanti alla scuola per dirgli quanto fosse importante lo studio per l’emancipazione e la libertà di tutti.
Sulla scuola campeggiava la scritta “Historia magistra vitae”.
Ma la storia non insegna nulla, ha affermato provocatoriamente Baldissara: gli storici non hanno capacità previsionali, non possono dare ricette per il futuro. Possono però fornire ragioni sul presente, possono aiutare a inquadrare i fenomeni attuali all’interno di un movimento più ampio, di cui si possono comprendere le radici e valutare i diversi possibili esiti. La riflessione storica serve a dare coscienza e consapevolezza del nostro essere parte di un processo di mutamento.

Il ciclo di seminari, rivendica Baldissara, è stato organizzato a bella posta nella seconda metà dell’anno, quando ormai la foga celebrativa si è un po’ attenuata. Purtroppo l’occasione di riflettere sulla nostra storia è andata in gran parte perduta: c’è stato un fiorire di retorica apologetica e celebrativa, dovuta anche al folclore leghista, che ha fatto sì che i balconi si riempissero di tricolori (un chiaro segnale politico), e che si oscurasse la riflessione seria, in primo luogo sulla questione del lavoro.

Il caso italiano, ha affermato Baldissara, è particolare rispetto ad altri paesi dell’occidente europeo perché la sua storia è caratterizzata da una forte conflittualità sociale a ondate.
Ciò è spia di un problema strutturale del nostro paese: una non piena rappresentanza del mondo del lavoro, una mancata legittimazione da parte delle classi dirigenti per la rappresentanza politica del mondo del lavoro.
Il ciclo di seminari vuole essere un’occasione per ragionare con più freddezza su questi temi.

Gli incontri, ha affermato Pasquale Cuomo del Dipartimento di Storia, ripercorrono l’evoluzione del tessuto sociale ed economico italiano, dedicando attenzione particolare al ruolo del sindacato, che ha spesso dovuto supplire alla funzione non sua di rappresentanza anche politica del mondo del lavoro.
Nel programma verranno poi sempre considerate due questioni che sono costanti della storia d’Italia, lo sfruttamento del lavoro femminile da una parte, e l’emigrazione dall’altra, legata al problema dell’urbanizzazione selvaggia e al mutamento del paesaggio delle nostre città nella seconda metà del secolo scorso.

Ha concluso l’incontro Adolfo Pepe, direttore della Fondazione Di Vittorio, con l’intervento più direttamente politico della giornata. Pepe ha insistito sull’attenzione alla dimensione metanazionale che il sindacato deve avere oggi per non perdere la propria funzione. Dato che la nostra sovranità nazionale è fortemente limitata dalle scelte dei governi francese e soprattutto tedesco, il sindacato deve confrontarsi con gli altri sindacati europei ma anche prepararsi a trattare con i governi che effettivamente decidono.

Gli undici incontri toccheranno le fasi cruciali della storia italiana postunitaria, le prime organizzazioni sindacali dell’’800 (è il tema del prossimo incontro il 29 settembre), la Grande Guerra, il biennio rosso, il fascismo, la resistenza, gli anni sessanta, la conflittualità degli anni settanta, le sconfitte degli anni 80, le trasformazioni degli anni 90.
Il ciclo si chiuderà il 16 dicembre con l’incontro “Crisi, trasformazioni sociali e lavoro. Quale sindacato per il XXI secolo?” a cui interverrà la segretaria generale della CGIL Susanna Camusso.

Programma del ciclo di incontri

Saulle Panizza è professore ordinario di Diritto costituzionale presso la facoltà di Scienze politiche dell'Università di Pisa. Curatore di Ragazzi, che Costituzione! (2006, 2009), per le Edizioni Plus ha tra l'altro curato, insieme a Roberto Romboli, L'attuazione della Costituzione (2002, 2004, 2006) e scritto l'Introduzione a La Costituzione italiana(2004, 2006, 2008, 2010). Elettra Stradella è borsista di ricerca presso la Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa (Istituto DIRPOLIS) e docente di Diritto dell'informazione e di Diritto degli enti locali nell'Università di Pisa. Per le Edizioni Plus ha curato Diritto alla salute e alla "vita buona" nel confine tra il vivere e il morire. Riflessioni interdisciplinari (2011) e l'Appendice a Problemi attuali delle libertà costituzionali, a cura di Emanuele Rossi (2009).


Copertina VademecumLa scelta di realizzare "Il Vademecum delle Istituzioni. Guida alle funzioni e agli organi della Repubblica" nasce da una duplice ma unitaria esigenza, sempre più avvertita, mi pare, a vari livelli: promuovere la divulgazione in ambito giuridico, e insieme favorire all'interno di una platea, varia, di non specialisti, la conoscenza delle istituzioni e delle procedure democratiche che caratterizzano il nostro sistema.

Mentre negli ambiti scientifici "tradizionali", penso a quelli delle cosiddette scienze sperimentali, la divulgazione è ormai considerata parte integrante dell'impegno dei ricercatori, volto a rendere trasparenti e conoscibili i risultati delle ricerche, anche di quelle più "di frontiera", e a sensibilizzare l'opinione pubblica sul valore e l'utilità sociale della ricerca stessa, in altri ambiti, come quello giuridico, permane un certo scetticismo, almeno da parte di alcuni, verso l'impegno dell' "accademia" a favore di una alfabetizzazione giuridica popolare, e di una apertura del diritto a linguaggi inclusivi come quelli dell'immagine o del fumetto, oltre che ad un lessico meno tecnico.

D'altra parte oggi non possiamo restare indifferenti di fronte alla scarsa, quando non inesistente, conoscenza delle caratteristiche fondamentali dell'organizzazione politica e istituzionale del Paese che riguarda in maniera crescente i più giovani, ma non solo.

Con il Vademecum abbiamo voluto allora tentare di offrire una prima, possibile, risposta al bisogno di conoscenza delle regole che lo stato attuale del rapporto tra cittadini e istituzioni in Italia rende particolarmente urgente, secondo una ispirazione, non lo si nasconde, che guarda alla diffusione della cultura civica e dei valori costituzionali come obiettivo di "pedagogia" repubblicana. Il Vademecum traduce la convinzione che l'Università possa e debba contribuire allo sviluppo di una cittadinanza attiva e consapevole.

E lo fa cercando di rendere la conoscenza delle Istituzioni repubblicane chiara e comprensibile a tutti, affrontando "la materia" con uno stile agile e al tempo stesso rigoroso, studiato appositamente per facilitare la lettura e la comprensione dei temi trattati nel rispetto della correttezza scientifica che si richiede ad una autentica divulgazione.

L'originalità dell'opera sta in particolare nell'impostazione scelta, che accosta testi sintetici, schemi, tabelle, un ricco apparato iconografico e vignette, seguendo un ritmo preciso, che si ripete per i vari aspetti analizzati, guidando il lettore e accompagnandolo.

Infatti ogni sezione è introdotta da una tavola rappresentativa dell'organo o dell'argomento presentato, e si conclude con alcuni riferimenti e curiosità di carattere storico, una verifica delle conoscenze acquisite che passa per il confronto con una vignetta dove è presente un errore (il "Vediamo se ho capito"), e una rappresentazione grafica delle sedi delle Istituzioni descritte (la "Geografia delle istituzioni") con sintetiche informazioni generali (siti internet e recapiti di riferimento). Inoltre ogni argomento all'interno delle sezioni è sviluppato mediante una scheda di testo e una scheda grafica. Il tutto è arricchito da strisce di fumetto originali, in cui due giovani personaggi, in viaggio nella conoscenza delle Istituzioni repubblicane, si confrontano sulle varie questioni esaminate. Non è un caso che abbiamo selezionato, per la creazione del fumetto, due giovanissimi studenti torinesi, lei disegnatrice, lui sceneggiatore, vincitori del Torino Comics 2011, che hanno dimostrato particolare entusiasmo nel mettere alla prova i loro talenti con il tema delle istituzioni e delle regole democratiche.

Ultimo elemento che mi preme sottolineare: quello dell'attenzione verso la dimensione europea. Ogni sezione del testo contiene una parte in cui si lancia "uno sguardo" all'Europa, con schede di testo e grafiche che analizzano i rapporti tra diritto italiano e diritto europeo, cercando di fornire alcune indicazioni di base sulle caratteristiche delle istituzioni comunitarie e sul loro funzionamento.

Elettra Stradella
 

Per saperne di più:
Il Vademecum delle Istituzioni. Guida alle funzioni e agli organi della Repubblica (con la Prefazione del Presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini), Edizioni Plus, Pisa University Press, 2011
Scheda del volume 

 


Questo sito utilizza solo cookie tecnici, propri e di terze parti, per il corretto funzionamento delle pagine web e per il miglioramento dei servizi. Se vuoi saperne di più, consulta l'informativa