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Carni rosse e salute umana
Il 19 febbraio 2016 il Centro Interdipartimentale di Ricerca NUTRAFOOD – Nutraceutica e Alimentazione per la Salute dell’Università di Pisa organizza il convegno “La carne che mangiamo: quale, come, quando e perché”. L'obiettivo è promuovere un dibattito sulle evidenze scientifiche che hanno portato l’Organizzazione Mondiale della Sanità, attraverso l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC), a classificare la carne rossa come probabile cancerogeno e la carne trasformata come cancerogena per gli esseri umani.
Il professor Marcello Mele, docente del dipartimento di Scienze agrarie, alimentari e agro-ambientali e del Centro NUTRAFOOD dell'Università di Pisa, propone una riflessione sull'argomento, mettendo in evidenza le differenze all'interno della macrocategoria "carni trasformate".
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La carne, in particolare quella denominata "rossa", da anni è al centro di molte discussioni in merito al suo valore nutrizionale e alla possibilità che il suo consumo possa contribuire in maniera significativa ad aumentare il rischio di patologie generative gravi come alcune forme di tumore. Ad alimentare questo clima di sospetto ha contribuito attivamente una recente nota del gruppo di lavoro dell’agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC).
Lo IARC, infatti, ha licenziato un rapporto, allo stato non consultabile, ma riassunto in una breve nota di due pagine pubblicata sulla sezione news della rivista Lancet Oncology, nella quale 22 scienziati hanno ritenuto carcinogenico, relativamente al colon-retto, il consumo di carni rosse conservate e probabilmente carcinogenico quello di carni rosse. Pur riconoscendo l’alto valore nutrizionale delle carni, il responso del panel ha portato lo IARC a classificare le carni conservate nel gruppo 1 (sostanze carcinogeniche per gli umani) e le carni rosse in quello 2A (sostanze probabilmente carcinogeniche per gli umani).
Come membro della comunità scientifica pisana che studia gli alimenti e le loro proprietà nutrizionali e funzionali (organizzata nel centro NUTRAFOOD) non sono rimasto per nulla sorpreso da questa nota dello IARC, in quanto il gruppo di esperti giunge a delle conclusioni sulla base di evidenze scientifiche, prevalentemente originate da studi epidemiologici, che sono note da tempo. Sorprende tuttavia che ancora una volta sia stato ignorato il concetto, più volte ribadito dagli esperti di alimenti, che la definizione di carni rosse e carni trasformate è troppo generica e non aiuta a fare chiarezza sul reale ruolo nutrizionale dei numerosi alimenti che vengono ascritti a queste due macrocategorie.
Solo a titolo di esempio, nella categoria carne trasformata/conservata trovano posto tutti gli alimenti carnei che subiscono un qualche processo di trasformazione e di conservazione. Si va, quindi, dal würstel e la mortadella al salame, alla bresaola e al prosciutto crudo, solo per fare alcuni esempi molto noti. Le caratteristiche chimiche, nutrizionali, funzionali e salutistiche di questi prodotti sono assai differenti, perché molto diversi sono le caratteristiche delle materie prime di partenza, i processi di produzione dell materia prima e di trasformazione e di conservazione utilizzati e gli eventuali additivi utilizzati. Ciononostante nessuno degli studi epidemiologici che supportano le evidenze scientifiche a sostegno della cancerogenità della carne trasformata ha mai provato a distinguere l’effetto dei singoli componenti della macrocategoria “carni trasformate”, facendo passare l’assunto che mangiare 50 g di prosciutto crudo toscano, di Parma o di San Daniele (per citare alcune delle eccellenze DOP italiane) sia esattamente la stessa cosa che mangiare una pari quantità di würstel, dal punto di vista del rischio di tumore al colon retto.
Il concetto di variabilità degli alimenti e di rapporto fra sistemi di produzione del cibo e qualità del cibo sono, in buona sostanza, poco o nulla considerati negli studi epidemiologici ed è convinzione degli esperti del centro NUTRAFOOD che questo aspetto debba essere affrontato in maniera multidisciplinare, nell’interesse di una comunicazione chiara e utile al consumatore per effettuare scelte consapevoli.
Dello stesso avviso è anche l’Associazione Scientifica per le Scienze e le Produzioni Animali (ASPA) che ha recentemente promosso, con il contributo dell’ASSALZOOO, la realizzazione del libro “Alimenti di origine animale e salute”, curato dal professor Giuseppe Pulina dell’Università di Sassari oltre che dal sottoscritto, proprio per meglio comunicare il reale ruolo degli alimenti di origine animale per la salute umana, con l’intento di fare chiarezza sugli aspetti legati alla grande diversità chimica, nutrizionale e funzionale che esiste tra gli alimenti di origine animale, compresa la cosiddetta carne rossa e trasformata.
Con il convegno “La carne che mangiamo quale, come, quando e perché”, il Centro Interdipartimentale di Ricerca NUTRAFOOD – Nutraceutica e Alimentazione per la Salute dell’Università di Pisa vuole contribuire a promuovere un dibattito in merito alla qualità e alla quantità di carni che finiscono sulle nostre tavole, i rischi per la salute che possono derivare dagli eccessi o dalla mancanza di carne, i benefici che provengono da un consumo adeguato e, infine, in quali momenti della vita è particolarmente importante il consumo di carne.
Marcello Mele
Alla ricerca degli oceani scomparsi nel Belucistan iraniano
Si è conclusa la missione scientifica nel Belucistan iraniano dei professori Michele Marroni e Luca Pandolfi, docenti del dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa. I due geologi, assieme al professor Emilio Saccani dell’Università di Ferrara, hanno condotto dal 31 gennaio al 14 febbraio ricerche sulla catena del Makran nella parte centrale del Belucistan, la regione al confine tra il Pakistan e l’Iran.
«L’obiettivo era cercare i resti dei grandi oceani che dal Giurassico al Cretaceo Superiore, tra 160 e 80 milioni di anni fa, erano localizzati ai margini meridionali della placca euroasiatica – spiega il professor Marroni – Questi oceani sono stati successivamente chiusi tramite la subduzione di litosfera oceanica, scomparendo definitivamente e dando luogo alla nascita della catena del Makran. Resti della litosfera oceanica si sono però preservati come rocce metamorfiche e deformate all’interno della catena e proprio questi resti hanno costituito l’obiettivo dei ricercatori pisani. Dallo studio di queste rocce, tramite le analisi di terreno e di laboratorio, sarà possibile ricostruire la storia di questi oceani e quindi conoscere la paleogeografia di questa area, che è tra le meno studiate al mondo».
Il Belucistan è una vasta zona desertica dove si alternano montagne alte fino a 2000 metri a deserti di sabbia. La missione si è svolta dunque in zone difficili sia dal punto di vista dell’accessibilità, che da quello della logistica ed è stata possibile solo grazie all’utilizzo di guide locali e di fuoristrada. Nonostante le difficoltà, è stato possibile raccogliere importanti dati di terreno e numerosi campioni di rocce in aree geologicamente significative.
La missione, che è stata effettuata assieme ai colleghi iraniani Morteza Delavari e Ashgar Dolati, nasce dal recente accordo siglato dal dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa con la Faculty of Geology della Kharazmi University di Teheran e si inquadra nel programma “Darius”, un vasto programma di ricerca finanziato da un pool di compagnie petrolifere che coinvolge numerosi ricercatori sia europei e che mediorientali.
La missione in Belucistan segna l’inizio di una importante collaborazione scientifica tra i due atenei che si inquadra nella progressiva apertura dell’Iran ai rapporti con i paesi della comunità europea, sulla scia della recente visita di Hassan Rouhani, Presidente della Repubblica Iraniana. É prevista la prosecuzione delle ricerche mediante una ulteriore campagna di terreno in Belucistan programmata verso la fine del 2016.
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Nelle foto:
- in alto, Luca Pandolfi (a sinistra) e Michele Marroni al lavoro nel settore a SE della città di Kahunj nel bordo meridionale della depressione desertica di Hamun-e Jaz Murian (provincia di Kerman)
- al centro i depositi eocenici deformati del settore esterno della catena del Makran sovrastano delle palme da dattero, prodotto tipico della provinicia di Kerman
- in basso una visione, da sud verso nord, della parte interna della catena montuosa del Makran fotografata dal settore più rilevato della catena (circa 2000m) 150 km a sud della città di Kahunj.
Ne hanno parlato:
InToscana.it
Greenreport
QuiNewsPisa
Controcampus