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Trattamento del linfedema: a Pisa il primo autotrapianto di linfonodi robot-assistito
A Pisa, per la prima volta in Europa, è stato eseguito con successo nei giorni scorsi, nel Centro multidisciplinare di Chirurgia robotica dell’Aoup, un autotrapianto di linfonodi robot-assistito (con da Vinci Xi) per trattare un linfedema post-traumatico alla gamba su una donna colpita 20 anni fa, accidentalmente, da un colpo di fucile da caccia che aveva reciso l’arteria femorale provocandole una riduzione della vascolarizzazione e del drenaggio linfatico, con conseguente accumulo di linfa che il suo organismo non riusciva a riassorbire. Il linfedema è infatti una grave patologia, che può insorgere in seguito a trattamento oncologico (es. tumori al seno o ginecologici) o eventi traumatici, che determina un progressivo aumento di volume e peso degli arti interessati, con pesante impatto sulla qualità della vita.
Ad oggi erano poche le soluzioni chirurgiche praticabili fino all’intervento innovativo – precedenti analoghi ci sono solo negli Usa e a Taiwan – eseguito a Pisa da un’equipe multidisciplinare, che ha visto come protagonisti i professori Emanuele Cigna (a sinistra nella foto), chirurgo plastico esperto in tecniche ricostruttive microchirurgiche, a cui la paziente si era rivolta per una valutazione clinica, e Luca Morelli (a destra nella foto), chirurgo generale, esperto in chirurgia robotica, entrambi professori associati dell’Università di Pisa.
Dopo un’attenta valutazione del caso è stato programmato un autotrapianto di linfonodi prelevati dall’addome, secondo una tecnica messa a punto a Taiwan, in uno dei migliori centri a livello mondiale per il trattamento del linfedema e dove sia il professore Cigna che i suoi dottorandi, i dottori Alberto Bolletta e Luigi Losco, anch’essi parte dell’equipe chirurgica, avevano effettuato un periodo di formazione.
L’intervento è durato 6 ore, nelle sale operatorie ad altissima tecnologia del Centro multidisciplinare di Chirurgia robotica diretto dalla professoressa Franca Melfi, ed è consistito nel trapiantare un segmento vascolare circondato dai suoi linfonodi, prelevato dalla regione addominale, a livello della gamba traumatizzata per ripristinarne il drenaggio linfatico. Affinché il tessuto linfonodale rimanesse vitale è stato necessario riconnetterlo ai vasi sanguigni della regione in cui doveva essere trapiantato, attraverso il confezionamento di delicate suture microchirurgiche per le quali ci si è avvalsi del microscopio operatorio e di altri sofisticati strumenti ad alta definizione usando fili quasi invisibili a occhio nudo. La funzionalità del tessuto trapiantato è stata verificata mediante l’iniezione di un colorante a fluorescenza il cui assorbimento è stato registrato dalla telecamera del robot.
Il trapianto linfonodale ha quindi avuto successo, il decorso post-operatorio non ha presentato problematiche e la paziente è stata regolarmente dimessa. “Questo caso presentava un elevato livello di complessità in quanto gli esiti di un trauma così esteso, con un’importante alterazione del supporto vascolare della gamba, rendevano l’esecuzione di qualsiasi procedura chirurgica rischiosa per la sopravvivenza dell’arto” – spiega il professore Cigna -. Già normalmente questo tipo di interventi sul linfedema vengono eseguiti in pochi centri specializzati ma la particolarità di questo caso lo rende unico nel suo genere. Siamo felici, in un periodo come questo, con la sanità italiana sotto stress per la pandemia da Covid-19, di poter dare il messaggio che il trattamento delle altre malattie non solo non viene dimenticato, ma può avvalersi delle migliori professionalità e tecnologie”. “Dedichiamo questo successo – conclude il professore Morelli - al professore Franco Mosca, recentemente scomparso, da sempre all’avanguardia nelle innovazioni chirurgiche e nella cura dei pazienti e convinto sostenitore del progetto con la Fondazione Arpa”.
(Fonte: Ufficio stampa AOUP)
I reperti in legno dell’insediamento preistorico di Biskupin al centro del progetto StAr
Ci saranno i resti lignei provenienti dal villaggio preistorico di Biskupin, in Polonia, al centro di uno studio che coinvolge anche ricercatrici del Dipartimento di Chimica e Chimica industriale dell’Università di Pisa. Ha infatti da poco avuto inizio il progetto StAr - Development of Storage and assessment methods suited for organic Archaeological artefacts - che ha l’obiettivo di studiare strategie di stabilizzazione chimico-fisica di reperti archeologici di natura organica, quali legno e cuoio, nel periodo immediatamente successivo allo scavo.
Il progetto, finanziato nell’ambito JPI Cultural Heritage, l’iniziativa europea di programmazione congiunta su patrimonio culturale e cambiamenti globali, è coordinato da ARC-Nucléart di Grenoble in Francia e vede tra gli altri partner il Museum of Cultural History dell’Università di Oslo (Norvegia) e il Museo archeologico di Biskupin. Il gruppo di ricerca dell’Università di Pisa è costituito da Erika Ribechini, coordinatrice dell’unità, Jeannette J. Lucejko, Francesca Modugno e Maria Perla Colombini.
Nella foto il team di ricerca, da sinistra: prof.ssa Erika Ribechini, prof.ssa Francesca Modugno, prof.ssa Maria Perla Colombini, dott.ssa Jeannette Lucejko, dott.ssa Alessia Andreotti.
Nel corso del progetto saranno dunque studiati reperti in legno rinvenuti a Biskupin, un importante sito archeologico polacco nel quale sono stati ritrovati consistenti resti lignei di un insediamento umano fortificato risalente all'età del bronzo (VIII sec. a.C.) e oggi anche sede dell’omonimo museo archeologico. “La stabilizzazione di materiali organici è fondamentale al fine di avere il tempo necessario per individuare e applicare i migliori e più idonei trattamenti di conservazione – spiega la professoressa Ribechini – La nostra unità di ricerca avrà il ruolo di sviluppare, validare e applicare metodologie innovative per la caratterizzazione dei reperti archeologici come legno e cuoio, e la valutazione del loro stato di degrado prima, durante e dopo la loro stabilizzazione e l’applicazione di protocolli conservativi”.
Biskupin, il sito archeologico polacco nel quale sono stati ritrovati consistenti resti lignei di un insediamento umano fortificato risalente all'età del bronzo (VIII sec. a.C.) e oggi anche sede dell’omonimo museo archeologico.
Per raggiungere gli obiettivi del progetto saranno utilizzate tecniche analitiche strumentali all’avanguardia, come quelle basate su pirolisi accoppiata alla gas cromatografia e spettrometria di massa (Py-GC/MS) e sull’analisi dei gas evoluti (EGA-MS), anche grazie a una strumentazione recentemente acquisita dal Centro per l'Integrazione della Strumentazione scientifica dell'Università di Pisa (CISUP), nonché metodi analitici basati su cromatografia in fase gassosa o liquida accoppiata alla spettrometria di massa (GC/MS e LC-ESI-Q-ToF-MS). “Queste tecniche consentono di studiare il legno archeologico a livello molecolare dando informazioni sulla presenza delle macromolecole (lignina, cellulosa e emicellulosa) che lo costituiscono e sul loro grado di ossidazione e depolimerizzazione, fornendo le basi chimiche per la scelta dei migliori metodi di stabilizzazione e conservazione”, conclude la professoressa Ribechini.
I reperti lignei rinvenuti a Biskupin (Polonia) nel 1936 e oggi oggetto di studio.
Il gruppo di ricerca dell’Università di Pisa ha una vasta esperienza nello studio e caratterizzazione di legno archeologico come dimostrato dai numerosi progetti e collaborazioni sviluppate su questa tematica. Ha infatti partecipato allo studio del legno delle navi antiche di Pisa, di legni rinvenuti a Ercolano e quelli che costituiscono la collezione di Oseberg (Norvegia) risalenti all’epoca vichinga.