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Comunicati stampa

Parte da Pisa UBORA, il progetto di ricerca coordinato dall’Ateneo pisano e finanziato dall’Unione Europea con un milione di euro che punta alla creazione di una piattaforma virtuale tra Europa e Africa, dove i bioingegneri dei due continenti potranno condividere know-how e risorse. Il 16 e 17 gennaio l’Università di Pisa ha ospitato la riunione di lancio del progetto con i rappresentanti di tutti gli enti coinvolti, la Kenyatta University (Kenya), il Royal Institute of Technology (Svezia), la University of Tartu (Estonia), il Technical University of Madrid (Spagna), l’Uganda Industrial Research Institute (Uganda) e l’azienda estone AgileWorks.
Obiettivi e finalità del lavoro sono stati illustrati in un incontro con la stampa da Arti Ahluwalia, docente del Centro di ricerca “E. Piaggio” dell’Università di Pisa e coordinatrice del progetto, dal delegato all’Internazionalizzazione dell’Università di Pisa, Francesco Marcelloni e dal consigliere dell’ambasciata del Kenya in Italia, June Chepchirchir Ruto. «UBORA, che in lingua Swahili vuol dire “eccellenza”, dovrà portare allo sviluppo di soluzioni innovative nell’ingegneria biomedica, con un miglioramento significativo nella formazione in questo campo e nuovi stimoli per l’economia dei paesi coinvolti – ha spiegato la professoressa Ahluwalia - Grazie allo sviluppo di una piattaforma virtuale tra Europa e Africa, potremo condividere nuove soluzioni, basate su tecnologie open source, puntando a una distribuzione più equilibrata di benessere e risorse».
«Da tempo l’Università di Pisa è impegnata nella costruzione di solidi partenariati con diverse università del continente Africano – ha aggiunto il professor Marcelloni – Il nostro Ateneo, grazie alla professoressa Arti Ahluwalia, è stato infatti tra i promotori del Consorzio ABEC, “African Biomedical Engineering Consortium”, il cui scopo è il miglioramento della salute in Africa tramite la formazione di ingegneri biomedici e l'innovazione nelle tecnologie sanitarie. Il progetto UBORA segue esattamente questa filosofia».
Nei due anni del progetto, i partner si occuperanno della progettazione e dell’implementazione di dispositivi medicali basati su tecnologie open source in grado di dare risposte adeguate alle sfide nel campo della salute, con grande attenzione per la specificità del contesto e per i bisogni dei diversi paesi. Le università europee e africane coinvolte, con i loro centri di ricerca tecnologici, combineranno la filosofia dell’open design con le norme di sicurezza basate sulle linee guida europee. Grande spazio sarà dato inoltre alle attività di formazione: seguendo l’esperienza iniziata già da alcuni anni, saranno organizzati corsi e Summer School in cui i bioingegneri di entrambi i continenti potranno imparare a progettare dispositivi medici, efficienti, efficaci, sicuri e progettati per rispondere alle diverse caratteristiche del contesto africano ed europeo.
Come prima iniziativa promossa nell’ambito di UBORA c’è stata la competizione per il design del logo del progetto aperto agli studenti appartenenti alle 4 università partecipanti. Durante le giornate di lancio del progetto è stato premiato il logo creato da Pehr Wessmark, del Royal Institute of Technology (Svezia).

Parte da Pisa UBORA, il progetto di ricerca coordinato dall’Ateneo pisano e finanziato dall’Unione Europea con un milione di euro che punta alla creazione di una piattaforma virtuale tra Europa e Africa, dove i bioingegneri dei due continenti potranno condividere know-how e risorse. Il 16 e 17 gennaio l’Università di Pisa ha ospitato la riunione di lancio del progetto con i rappresentanti di tutti gli enti coinvolti, la Kenyatta University (Kenya), il Royal Institute of Technology (Svezia), la University of Tartu (Estonia), il Technical University of Madrid (Spagna), l’Uganda Industrial Research Institute (Uganda) e l’azienda estone AgileWorks.

Ubora_group_2017.jpg

Obiettivi e finalità del lavoro sono stati illustrati in un incontro con la stampa da Arti Ahluwalia, docente del Centro di ricerca “E. Piaggio” dell’Università di Pisa e coordinatrice del progetto, dal delegato all’Internazionalizzazione dell’Università di Pisa, Francesco Marcelloni e dal consigliere dell’ambasciata del Kenya in Italia, June Chepchirchir Ruto. «UBORA, che in lingua Swahili vuol dire “eccellenza”, dovrà portare allo sviluppo di soluzioni innovative nell’ingegneria biomedica, con un miglioramento significativo nella formazione in questo campo e nuovi stimoli per l’economia dei paesi coinvolti – ha spiegato la professoressa Ahluwalia - Grazie allo sviluppo di una piattaforma virtuale tra Europa e Africa, potremo condividere nuove soluzioni, basate su tecnologie open source, puntando a una distribuzione più equilibrata di benessere e risorse».

«Da tempo l’Università di Pisa è impegnata nella costruzione di solidi partenariati con diverse università del continente Africano – ha aggiunto il professor Marcelloni – Il nostro Ateneo, grazie alla professoressa Arti Ahluwalia, è stato infatti tra i promotori del Consorzio ABEC, “African Biomedical Engineering Consortium”, il cui scopo è il miglioramento della salute in Africa tramite la formazione di ingegneri biomedici e l'innovazione nelle tecnologie sanitarie. Il progetto UBORA segue esattamente questa filosofia».

Nei due anni del progetto, i partner si occuperanno della progettazione e dell’implementazione di dispositivi medicali basati su tecnologie open source in grado di dare risposte adeguate alle sfide nel campo della salute, con grande attenzione per la specificità del contesto e per i bisogni dei diversi paesi. Le università europee e africane coinvolte, con i loro centri di ricerca tecnologici, combineranno la filosofia dell’open design con le norme di sicurezza basate sulle linee guida europee. Grande spazio sarà dato inoltre alle attività di formazione: seguendo l’esperienza iniziata già da alcuni anni, saranno organizzati corsi e Summer School in cui i bioingegneri di entrambi i continenti potranno imparare a progettare dispositivi medici, efficienti, efficaci, sicuri e progettati per rispondere alle diverse caratteristiche del contesto africano ed europeo.

Come prima iniziativa promossa nell’ambito di UBORA c’è stata la competizione per il design del logo del progetto aperto agli studenti appartenenti alle 4 università partecipanti. Durante le giornate di lancio del progetto è stato premiato il logo creato da Pehr Wessmark, del Royal Institute of Technology (Svezia).

UBORA_logo_copia.jpg

 

Ne hanno parlato:
Tirreno Pisa
Nazione Pisa 
PisaInformaFlash.it
Greenreport.it
gonews.it 
Pisanamente.it 
PisaToday.it

Martedì 17 gennaio, alle ore 11.00, al Rettorato dell’Università di Pisa (in Lungarno Pacinotti 43), sarà presentato alla stampa UBORA, il progetto di ricerca coordinato dall’Ateneo pisano e finanziato dall’Unione Europea con un milione di euro, che ha come finalità la creazione di una piattaforma virtuale tra bioingegneri europei e africani.
Nell’occasione saranno presenti Francesco Marcelloni, delegato all’Internazionalizzazione dell’Università di Pisa, Arti Ahluwalia, docente del Centro di ricerca “E. Piaggio” dell’Università di Pisa e coordinatrice del progetto, e June Chepchirchir Ruto, consigliere dell’ambasciata del Kenya in Italia.
Durante la conferenza stampa sarà premiato lo studente vincitore del contest per la creazione del logo del progetto.

Buono e nutriente, il latte di asina amiatina è un sostituto ideale per i bambini allergici al latte vaccino. E’ questo quanto emerge dalle ricerche condotte al dipartimento di Scienze Veterinarie dell’Università di Pisa dove da alcuni anni si studiano le proprietà nutraceutiche di questo alimento e la filiera produttiva legata agli asini Amiatini, una razza autoctona allevata sul territorio Toscano. E proprio su questo tema è in corso il progetto “L.A.B.A.Pro.V.” finanziato dalla Regione Toscana al quale partecipano, oltre all’Ateneo pisano, l’Azienda Ospedaliero Universitaria A. Meyer di Firenze come capofila, l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Lazio e della Toscana ‘M. Aleandri’ e il Complesso Agricolo Forestale Regionale Bandite di Scarlino dove sono attualmente allevati circa 150 asini amiatini.

“Il latte bovino è largamente utilizzato come sostituto del latte materno, ma dal 2 al 7,5% dei neonati è allergico alle proteine del latte vaccino – spiega la professoressa Mina Martini dell’Università di Pisa - un problema non del tutto risolto dai latti industriali che spesso non incontrano il gusto dei bambini per il loro sapore poco gradevole, senza considerare che alcuni di questi prodotti non sono totalmente esenti dal rischio di sensibilizzazione allergica”.

asini amiamtini


Ecco quindi che il latte di asina si presenta come un’alternativa naturale ideale, sia per l’ottima palatabilità, cioè il sapore gradevole, sia perché è ben tollerato dai soggetti allergici al latte vaccino al contrario altri latti alimentari come quello di capra, ovino o bufalino. Dal punto di vista nutrizionale, il latte di asina ha poi un contenuto proteico medio (1,60%) simile a quello del latte umano, caratterizzato dalla bassa quantità di caseine, soprattutto quelle di tipo alfaS ritenute le più allergizzanti. Come il latte materno presenta un alto contenuto di lattosio (7%) che stimola l'assorbimento del calcio con effetti favorevoli sulla mineralizzazione ossea, mentre la presenza elevata di lisozima e lattoferrina favoriscono la riduzione delle infezioni intestinali inibendo l’azione di alcuni batteri.

“C’è infine sottolineare che la possibilità di utilizzare il latte proveniente da un’unica razza, quella amiatina – conclude Mina Martini - garantisce una maggiore costanza nella qualità del prodotto utilizzato e la possibilità, tramite la selezione genetica, di un continuo miglioramento qualitativo”.

Le asine amiantine allevate nel Complesso Agricolo Forestale Regionale Bandite di Scarlino vengono munte giornalmente con un’apposita macchina mungitrice ed il latte raggiunge direttamente, tramite il lattodotto, la sala di trasformazione e conservazione dove viene pastorizzato, imbottigliato e mantenuto a temperatura di refrigerazione. Il Complesso agricolo che ha conseguito l’autorizzazione CE, garantisce la certificazione del processo produttivo nel rispetto dei requisiti igienico sanitari richiesti a livello comunitario ed è pertanto idonea alla vendita in Europa.

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Foto: esemplari di asini amiantini con studenti del Dipartimento di Scienze Veterinarie dell’Università di Pisa (foto di Duccio Panzani)

Ne hanno parlato:
SkyTG24
Repubblica.it
Corriere.it
Panorama.it
InToscana.it
Ansa Salute&Benessere
Ansa Terra&Gusto
Agipress
Il Tirreno Grosseto
La Voce di Rovigo
La Nuova del Sud

Buono e nutriente, il latte di asina amiatina è un sostituto ideale per i bambini allergici al latte vaccino. E’ questo quanto emerge dalle ricerche condotte al dipartimento di Scienze Veterinarie dell’Università di Pisa dove da alcuni anni si studiano le proprietà nutraceutiche di questo alimento e la filiera produttiva legata agli asini Amiatini, una razza autoctona allevata sul territorio Toscano. E proprio su questo tema è in corso il progetto “L.A.B.A.Pro.V.” finanziato dalla Regione Toscana al quale partecipano, oltre all’Ateneo pisano, l’Azienda Ospedaliero Universitaria A. Meyer di Firenze come capofila, l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Lazio e della Toscana ‘M. Aleandri’ e il Complesso Agricolo Forestale Regionale Bandite di Scarlino dove sono attualmente allevati circa 150 asini amiatini.
“Il latte bovino è largamente utilizzato come sostituto del latte materno, ma dal 2 al 7,5% dei neonati è allergico alle proteine del latte vaccino – spiega la professoressa Mina Martini dell’Università di Pisa - un problema non del tutto risolto dai latti industriali che spesso non incontrano il gusto dei bambini per il loro sapore poco gradevole, senza considerare che alcuni di questi prodotti non sono totalmente esenti dal rischio di sensibilizzazione allergica”.
Ecco quindi che il latte di asina si presenta come un’alternativa naturale ideale, sia per l’ottima palatabilità, cioè il sapore gradevole, sia perché è ben tollerato dai soggetti allergici al latte vaccino al contrario altri latti alimentari come quello di capra, ovino o bufalino. Dal punto di vista nutrizionale, il latte di asina ha poi un contenuto proteico medio (1,60%) simile a quello del latte umano, caratterizzato dalla bassa quantità di caseine, soprattutto quelle di tipo alfaS ritenute le più allergizzanti. Come il latte materno presenta un alto contenuto di lattosio (7%) che stimola l'assorbimento del calcio con effetti favorevoli sulla mineralizzazione ossea, mentre la presenza elevata di lisozima e lattoferrina favoriscono la riduzione delle infezioni intestinali inibendo l’azione di alcuni batteri.
“C’è infine sottolineare che la possibilità di utilizzare il latte proveniente da un’unica razza, quella amiatina – conclude Mina Martini - garantisce una maggiore costanza nella qualità del prodotto utilizzato e la possibilità, tramite la selezione genetica, di un continuo miglioramento qualitativo”.
Le asine amiantine allevate nel Complesso Agricolo Forestale Regionale Bandite di Scarlino vengono munte giornalmente con un’apposita macchina mungitrice ed il latte raggiunge direttamente, tramite il lattodotto, la sala di trasformazione e conservazione dove viene pastorizzato, imbottigliato e mantenuto a temperatura di refrigerazione. Il Complesso agricolo che ha conseguito l’autorizzazione CE, garantisce la certificazione del processo produttivo nel rispetto dei requisiti igienico sanitari richiesti a livello comunitario ed è pertanto idonea alla vendita in Europa.

Dalle bucce di arancia oli essenziali e pectina impiegabili nell’industria cosmetica, profumiera e alimentare. I ricercatori del Thermolab del dipartimento di Chimica e Chimica industriale dell’Università di Pisa e dell’Istituto INO CNR di Pisa hanno messo a punto un innovativo processo estrattivo che permette di ottenere dalle biomasse di scarto prodotti di elevato interesse commerciale. La ricerca è stata selezionata come cover article dell’ultimo numero del 2016 della rivista “Green Chemistry”.
Lo studio, svolto nell’ambito di un progetto FIRB 2012, riguarda in particolare la valorizzazione di biomasse mediante l’azione congiunta di microonde e ultrasuoni: i processi estrattivi dalle bucce di arancia sono stati infatti attivati con microonde emesse da un’antenna a dipolo coassiale posta all’interno della stessa biomassa. Sono state provate diverse configurazioni, tra cui un’estrazione a microonde senza solvente e una idrodistillazione che prevedeva l’applicazione simultanea di microonde e ultrasuoni. Entrambi i metodi danno buoni risultati in termini di rese e permettono un elevato risparmio energetico rispetto ai metodi di idrodistillazione convenzionali. L’approccio più promettente è sicuramente quello senza solvente che, sfruttando l’acqua naturalmente presente nella buccia di arancia, permette anche un risparmio idrico rispetto ai metodi convenzionali.
Nel complesso la ricerca offre nuovi spunti per la valorizzazione di rifiuti alimentari mediante processi molto vantaggiosi dal punto di vista tecnologico, energetico ed economico.
Gli autori dello studio sono Celia Duce, Josè González-Rivera, Alessio Spepi e Maria Rosaria Tinè, del dipartimento di Chimica e Chimica industriale dell’Università di Pisa; Iginio Longo dell’Istituto Nazionale di Ottica (INO), CNR di Pisa; Carlo Ferrari e Alessandra Piras del dipartimento di Chimica e Geologia dell’Università di Cagliari; Danilo Falconieri dell’Istituto Tecnico Industriale Statale “Michele Giua” di Cagliari.

Dalle bucce di arancia oli essenziali e pectina impiegabili nell’industria cosmetica, profumiera e alimentare. I ricercatori del Thermolab del dipartimento di Chimica e Chimica industriale dell’Università di Pisa e dell’Istituto INO CNR di Pisa hanno messo a punto un innovativo processo estrattivo che permette di ottenere dalle biomasse di scarto prodotti di elevato interesse commerciale. La ricerca è stata selezionata come cover article dell’ultimo numero del 2016 della rivista “Green Chemistry”.

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Lo studio, svolto nell’ambito di un progetto FIRB 2012, riguarda in particolare la valorizzazione di biomasse mediante l’azione congiunta di microonde e ultrasuoni: i processi estrattivi dalle bucce di arancia sono stati infatti attivati con microonde emesse da un’antenna a dipolo coassiale posta all’interno della stessa biomassa. Sono state provate diverse configurazioni, tra cui un’estrazione a microonde senza solvente e una idrodistillazione che prevedeva l’applicazione simultanea di microonde e ultrasuoni. Entrambi i metodi danno buoni risultati in termini di rese e permettono un elevato risparmio energetico rispetto ai metodi di idrodistillazione convenzionali. L’approccio più promettente è sicuramente quello senza solvente che, sfruttando l’acqua naturalmente presente nella buccia di arancia, permette anche un risparmio idrico rispetto ai metodi convenzionali.

Nel complesso la ricerca offre nuovi spunti per la valorizzazione di rifiuti alimentari mediante processi molto vantaggiosi dal punto di vista tecnologico, energetico ed economico.

Gli autori dello studio sono Celia Duce, Josè González-Rivera, Alessio Spepi e Maria Rosaria Tinè, del dipartimento di Chimica e Chimica industriale dell’Università di Pisa; Iginio Longo dell’Istituto Nazionale di Ottica (INO), CNR di Pisa; Carlo Ferrari e Alessandra Piras del dipartimento di Chimica e Geologia dell’Università di Cagliari; Danilo Falconieri dell’Istituto Tecnico Industriale Statale “Michele Giua” di Cagliari.

Nella foto in basso, da sinistra verso destra: Iginio Longo, Josè González-Rivera, Alessio Spepi, Maria Rosaria Tinè, Celia Duce.

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Ne hanno parlato: 
Panorama.it
Toscana24 
InToscana.it
Nazione Pisa 
QuiNewsPisa.it 
gonews.it
PisaInformaFlash.it

Martedì 17 gennaio, alle ore 11.00, nella Sala Prorettori del Rettorato dell’Università di Pisa (in Lungarno Pacinotti 43), sarà presentato alla stampa UBORA, il progetto di ricerca coordinato dall’Ateneo pisano e finanziato dall’Unione Europea con un milione di euro, che ha come finalità la creazione di una piattaforma virtuale tra bioingegneri europei e africani.
Nell’occasione saranno presenti Francesco Marcelloni, delegato all’Internazionalizzazione dell’Università di Pisa, Arti Ahluwalia, docente del Centro di ricerca “E. Piaggio” dell’Università di Pisa e coordinatrice del progetto, e June Chepchirchir Ruto, consigliere dell’ambasciata del Kenya in Italia.
Durante la conferenza stampa sarà premiato lo studente vincitore del contest per la creazione del logo del progetto.

giustizia-statua.jpgSono circa cento gli iscritti alla sesta edizione del corso di alta formazione in “Giustizia costituzionale e tutela giurisdizionale dei diritti” che si terrà a Pisa dal 16 gennaio al 3 febbraio 2017. Il corso, organizzato dal dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Pisa con il coordinamento scientifico del professor Roberto Romboli durerà tre settimane, con lezioni tenute in lingua italiana e spagnola da docenti italiani, spagnoli e latinoamericani.

I partecipanti provengono dall’Italia e, in larghissima misura, da Paesi stranieri, soprattutto dell’America Latina. In particolare, gli iscritti provengono da: Argentina, Brasile, Cile, Colombia, Costa Rica, Ecuador, Messico, Perù, Repubblica Dominicana.

Oltre ai numerosi seminari su tematiche che vanno dai modelli di giustizia costituzionale, alla tutela sovranazionale dei diritti fondamentali, il corso prevede lo studio di casi pratici connessi all’attualità costituzionale, attraverso l’analisi di sentenze che hanno inciso nel campo della protezione dei diritti umani. All’interno del corso sono anche state programmate alcune conferenze tenute da ospiti illustri, tra cui Luigi Ferrajoli, Riccardo Guastini, Luis López Guerra e Gaetano Silvestri.

Tra i 102 scienziati che pochi giorni fa hanno ricevuto dal presidente uscente Barack Obama il PECASE, il massimo riconoscimento che il governo degli Stati Uniti offre a giovani e promettenti professionisti nel settore della ricerca scientifica, ci sono anche tre i italiani, Guglielmo Scovazzi, Marco Pavone e Anna Grassellino, quest’ultima laureata all’Università di Pisa nel 2005 in Ingegneria Elettronica, oggi ricercatrice al Fermilab.

Il “Presidential Early Career Award for Scientists and Engineers” è la più alta onorificenza conferita dal Governo degli Stati Uniti a professionisti della scienza e dell'ingegneria nelle prime fasi della loro carriera di ricerca indipendente. Il premio è stato istituito nel 1996 dal presidente Bill Clinton. “Mi congratulo con questi incredibili scienziati per il loro lavoro d’impatto – ha dichiarato il presidente Obama – Questi innovatori stanno lavorando per mantenere gli Stati Uniti all’avanguardia, e dimostrano che gli investimenti nella scienza portano ad avanzamenti che allargano la nostra conoscenza del mondo e contribuiscono alla nostra economia”.

Anna Grassellino è una ricercatrice originaria di Marsala attualmente impiegata al Fermi National Accelerator Laboratory dell’Università dell’Illinois, a Batavia. Dopo la laurea all’Università di Pisa, ha conseguito un dottorato in Fisica all’Università della Pennsylvania. Fa ricerca dal 2008, mentre dall’inizio del 2012 è al Fermilab, prima come postdoc, e attualmente come scienziata e group leader, nel settore della fisica applicata e delle tecnologie dei superconduttori.

Tra i numerosi complimenti ricevuti da Anna Grassellino, ci sono anche quelli del professor Giuseppe Anastasi, direttore del dipartimento di Ingegneria dell’Informazione dell’Università di Pisa, che scrive: «Anna Grassellino, una dei tre giovani scienziati italiani premiati da Obama, si è laureata in Ingegneria Elettronica presso l'Università di Pisa. A nome del dipartimento di Ingegneria dell'Informazione (DII), sincere congratulazioni ad Anna per il prestigioso riconoscimento».

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