A Pisa il convegno su onomastica e letteratura
Dal 12 al 14 novembre 2015, nell'Aula Magna del dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica dell’Università di Pisa, in Piazza Torricelli 2, si terrà il XX convegno annuale dell'Associazione “Onomastica & Letteratura”. Nata nel 1994, l’associazione ha come obiettivo la diffusione e la promozione di ricerche di onomastica letteraria nella letteratura italiana e straniera attraverso giornate di studio, seminari e convegni collegati con questo ambito disciplinare, nonché la pubblicazione dei relativi atti e di saggi concernenti l’onomastica letteraria.
I lavori si apriranno alle 9.15 di giovedì 12 novembre con i saluti di Alberto Casadei, docente di Letteratura italiana dell’Ateneo pisano, di Maria Giovanna Arcamone e Davide De Camilli, rispettivamente presidente e vicepresidente della società O&L. Tra gli argomenti che verranno trattati nelle tre giornate di studio ci saranno il nome nel contesto artistico (nelle arti figurative, nella musica, ecc.); il nome in Dante (per il settecentocinquantenario dantesco); guerra, letteratura e testimonianza (per le celebrazioni del centenario della Prima Guerra mondiale); l’inadeguatezza del nome (lapsus, errori, “nomi sbagliati”, ma anche scelte onomastiche infelici, ecc.).
In una mummia precolombiana ritrovati geni resistenti ai moderni antibiotici
Dall’equipe di paleopatologi dell’Università di Pisa arriva un’importante scoperta direttamente dall’epoca precolombiana. Una mummia peruviana portata in Italia a fine Ottocento da alcuni medici e naturalisti italiani, conservata oggi al Museo di Antropologia ed Etnologia dell’Università di Firenze, è stata oggetto di un importante studio molecolare condotto dal professor Gino Fornaciari, in collaborazione con l’Università della California: «Oltre a ritrovare e sequenziare antichi agenti patogeni, la mia ricerca ha permesso di identificare nei resti della mummia molti geni resistenti ad alcune tipologie di antibiotici – spiega il professore – La scoperta suggerisce che le mutazioni di questi geni avvennero naturalmente nei batteri di 1000 anni fa e che dunque non sono necessariamente correlate all’abuso delle moderne terapie antibiotiche».
Lo studio, pubblicato sulla rivista PlosOne, è stato effettuato sul patrimonio genetico prelevato dai resti di una ragazza di circa 20 anni, mummificatasi naturalmente grazie al clima freddo e secco delle Ande. La mummia, proveniente da Cuzco e databile tra la fine del XI e l’inizio del XII secolo, giaceva in una cesta costruita con corde di fibre vegetali e molto fessurata per facilitare l’areazione del corpo. L’involucro era dotato di una finestrella in corrispondenza del viso ed era munito in alto di una maniglia per facilitarne il trasporto, molto verosimilmente per i rituali di commemorazione dei defunti. «Il corpo si presentava avvolto interamente da due teli rossi e recava due pezze colorate in corrispondenza del cranio e del bacino – spiega Fornaciari - La testa appariva quasi completamente scheletrizzata, mentre una treccia di capelli neri risultava staccata e caduta in corrispondenza delle mani. Rimossi i teli, ci è apparsa una mummia in posizione fetale, strettamente legata con corde ai polsi, alle caviglie e al bacino».
L’esame degli organi interni ha portato i ricercatori ad attribuire le cause della morte della giovane alla malattia di Chagas, una patologia tuttora endemica nell’America Latina, dovuta alla colonizzazione del protozoo parassita Trypanosoma cruzi nei tessuti e nei gangli nervosi degli organi interni, in particolare del cuore e del colon.
A parte la ricostruzione completa della flora batterica intestinale, uno degli aspetti più interessanti dello studio è che i ricercatori sono riusciti a identificare molti geni resistenti agli antibiotici che avrebbero reso inefficaci i trattamenti coi moderni antibiotici ad ampio spettro, come fosfomicina, cloramfenicolo, tetracicline, chinoloni e vancomicina: «In particolare, la vancomicina è stata scoperta oltre 50 anni fa e si riteneva che i geni resistenti ad essa fossero comparsi in seguito al maggior utilizzo di questo antibiotico – aggiunge Fornaciari – Il microbioma dell’intestino di questa mummia rivela invece un quadro differente, mostrando che i geni resistenti all’antibiotico precedono di secoli l’uso terapeutico di questi composti. La scoperta, aiutando a capire l’evoluzione degli agenti patogeni, può avere anche implicazioni pratiche nella medicina moderna e aiuterà a capire l’evoluzione degli agenti patogeni».
Oltre al Trypanosoma cruzi, lo studio ha portato al ritrovamento e al sequenziamento anche di alcuni ceppi del virus del papilloma umano, come l'HPV-21 e l'HPV-49, rivelando come essi si sono evoluti nel tempo: «Mentre il Trypanosoma cruzi della mummia è apparso più arcaico rispetto a quello attuale, in quanto presenta una somiglianza nel DNA pari al 90% rispetto ad alcuni ceppi attuali, i ceppi di HPV ritrovati sono risultati molto simili (con una somiglianza pari ben al 98-99%) a quelli moderni. Ciò dimostrerebbe che mentre il T. cruzi si è dovuto adattare a condizioni nuove dell’ospite umano, verosimilmente legate alle successive civiltà urbane precolombiane come gli Inca, i Maya e gli Aztechi, il Papilloma Virus era così ben adattato all’uomo da epoca remota da non avere necessità di nuove mutazioni».
Operare con il robot è sicuro?
La chirurgia robotica negli ultimi anni si è elevata come una delle massime espressioni della tecnologia applicata alla chirurgia. Oggi è un fenomeno pervasivo, sostenuto da numeri che non sembrano conoscere battute d’arresto: oltre 3 mila sistemi installati finora e 570 mila interventi eseguiti in tutto il mondo nel 2014. Eppure la sicurezza sull’uso del celebre robot da Vinci è stata messa in seria discussione nel 2013 quando negli Stati Uniti sono stati resi noti più di 3 mila casi di danni ai pazienti, accusando l’azienda produttrice del robot di un addestramento dei chirurghi non adeguato. Ma a che punto siamo con la formazione in chirurgia robotica oggi, nell’era della medicina basata sull’evidenza?
Attualmente non esiste un programma di formazione standardizzato – la cui evidenza sia comprovata da studi scientifici - per fornire i principi di base a coloro che si avvicinano alla chirurgia robotica. C’è chi propone di utilizzare i simulatori virtuali, concepiti sulla scia del successo di quelli per i piloti di aerei. Nel mondo ci sono oltre 2 mila simulatori virtuali per chirurgia robotica installati nei vari centri di formazione. Tali sistemi offrono una vasta gamma di esercizi per familiarizzare con la postazione di comando del robot (nota come consolle master), che si avvale di un sistema di visione 3D, un’interfaccia di controllo (tipo joystick) per ciascuna mano, e pedali. Tali esercizi sono stati ideati per sviluppare la coordinazione mani-piedi-occhi (competenze psicomotorie, che costituiscono un cardine per l’utilizzo del robot). Soltanto recentemente sono state sviluppate procedure simulate di interventi chirurgici su realtà aumentata e virtuale, quali ad esempio prostatectomia, isterectomia e nefrectomia.
Attraverso un’analisi critica che ha sviscerato la letteratura scientifica sul tema della valutazione delle prestazioni ai simulatori di chirurgia robotica, l’evidenza sull’utilità di questi ultimi è stata messa a nudo in una review sistematica pubblicata da European Urology, la più autorevole rivista di urologia.
Autore principale della review è l’Ing. Andrea Moglia del centro EndoCAS (centro di eccellenza della chirurgia assistita al calcolatore dell’Università di Pisa fondato dal Prof. Franco Mosca e attualmente diretto dal Prof. Mauro Ferrari), in collaborazione con il Prof. Alfred Cuschieri della Scuola Sant’Anna di Pisa. Al lavoro hanno partecipato anche l’Ing. Vincenzo Ferrari e il Dott. Luca Morelli, chirurgo generale della Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana. Presso EndoCAS, unico centro italiano accreditato dall’American College of Surgeons per la formazione in chirurgia attraverso la simulazione, è disponibile l’unico simulatore di chirurgia robotica in Italia della Mimic per le procedure di nefrectomia e isterectomia basate su realtà aumentata, donato dalla Fondazione Arpa.
Scopo del lavoro era documentare l’efficacia dei simulatori di chirurgia robotica, sottolineando la mancanza di una dimostrazione, in studi ad alto livello di evidenza, del trasferimento positivo delle competenze acquisite coi simulatori alla pratica chirurgica su paziente. Tale dimostrazione è imprescindibile per la stesura di un programma di formazione, chiamato “curriculum”, assimilabile al concetto di patente: un percorso che è necessario superare per dimostrare di possedere un opportuno livello (noto come proficiency) di competenze di natura teorica e tecnica, ripetibile una volta scaduto il periodo di abilitazione. Esistono, soprattutto negli Stati Uniti “curricula” già attivi ed adottati dalle Società Scientifiche per garantire che i chirurghi, soprattutto quando alle prese con metodiche nuove, abbiano capacità comprovate nell’utilizzo delle innovazioni tecnologiche.
Ma la review appena pubblicata dal gruppo pisano va oltre il concetto di percorsi di addestramento certificati: fa luce anche sugli altri aspetti della formazione in chirurgia che si ispirano al mondo dei piloti d’aerei: dalla selezione dei candidati attraverso test attitudinali usando i simulatori virtuali (al riguardo lo stesso gruppo di EndoCAS ha pubblicato lo studio con la più elevata casistica internazionale per singolo centro) all’efficacia dei medesimi sistemi di addestramento in termini di costi. Da una parte negli Stati Uniti c’è forte interesse per utilizzare i simulatori nella selezione degli specializzandi di chirurgia; dall’altra al contrario dell’industria aeronautica non è noto il dato che dia una risposta inequivocabile alla domanda: “Ma un’ora di simulazione quanto tempo (e dunque denaro) fa risparmiare rispetto alla formazione tradizionale?”. Chirurghi come piloti d’aerei: così lontani, così simili.
Delibere del Senato Accademico sull'ISEE e sull'occupazione dell'ex-GEA
Nella seduta dello scorso 4 novembre, il Senato Accademico ha fatto il punto sulle iniziative dell'Ateneo a sostegno della mobilitazione nazionale degli studenti contro la revisione dei parametri ISEE e discusso la questione legata all'occupazione del complesso ex-GEA, con i suoi sviluppi.
In una mummia precolombiana geni resistenti ai moderni antibiotici
Dall’equipe di paleopatologi dell’Università di Pisa arriva un’importante scoperta direttamente dall’epoca precolombiana. Una mummia peruviana portata in Italia a fine Ottocento da alcuni medici e naturalisti italiani, conservata oggi al Museo di Antropologia ed Etnologia dell’Università di Firenze, è stata oggetto di un importante studio molecolare condotto dal professor Gino Fornaciari, in collaborazione con l’Università della California: «Oltre a ritrovare e sequenziare antichi agenti patogeni, la mia ricerca ha permesso di identificare nei resti della mummia molti geni resistenti ad alcune tipologie di antibiotici – spiega il professore – La scoperta suggerisce che le mutazioni di questi geni avvennero naturalmente nei batteri di 1000 anni fa e che dunque non sono necessariamente correlate all’abuso delle moderne terapie antibiotiche».
Lo studio, pubblicato sulla rivista PlosOne, è stato effettuato sul patrimonio genetico prelevato dai resti di una ragazza di circa 20 anni, mummificatasi naturalmente grazie al clima freddo e secco delle Ande. La mummia, proveniente da Cuzco e databile tra la fine del XI e l’inizio del XII secolo, giaceva in una cesta costruita con corde di fibre vegetali e molto fessurata per facilitare l’areazione del corpo.
L’involucro era dotato di una finestrella in corrispondenza del viso ed era munito in alto di una maniglia per facilitarne il trasporto, molto verosimilmente per i rituali di commemorazione dei defunti. «Il corpo si presentava avvolto interamente da due teli rossi e recava due pezze colorate in corrispondenza del cranio e del bacino – spiega Fornaciari - La testa appariva quasi completamente scheletrizzata, mentre una treccia di capelli neri risultava staccata e caduta in corrispondenza delle mani. Rimossi i teli, ci è apparsa una mummia in posizione fetale, strettamente legata con corde ai polsi, alle caviglie e al bacino».
L’esame degli organi interni ha portato i ricercatori ad attribuire le cause della morte della giovane alla malattia di Chagas, una patologia tuttora endemica nell’America Latina, dovuta alla colonizzazione del protozoo parassita Trypanosoma cruzi nei tessuti e nei gangli nervosi degli organi interni, in particolare del cuore e del colon.
A parte la ricostruzione completa della flora batterica intestinale, uno degli aspetti più interessanti dello studio è che i ricercatori sono riusciti a identificare molti geni resistenti agli antibiotici che avrebbero reso inefficaci i trattamenti coi moderni antibiotici ad ampio spettro, come fosfomicina, cloramfenicolo, tetracicline, chinoloni e vancomicina: «In particolare, la vancomicina è stata scoperta oltre 50 anni fa e si riteneva che i geni resistenti ad essa fossero comparsi in seguito al maggior utilizzo di questo antibiotico – aggiunge Fornaciari – Il microbioma dell’intestino di questa mummia rivela invece un quadro differente, mostrando che i geni resistenti all’antibiotico precedono di secoli l’uso terapeutico di questi composti. La scoperta, aiutando a capire l’evoluzione degli agenti patogeni, può avere anche implicazioni pratiche nella medicina moderna e aiuterà a capire l’evoluzione degli agenti patogeni».
Oltre al Trypanosoma cruzi, lo studio ha portato al ritrovamento e al sequenziamento anche di alcuni ceppi del virus del papilloma umano, come l'HPV-21 e l'HPV-49, rivelando come essi si sono evoluti nel tempo: «Mentre il Trypanosoma cruzi della mummia è apparso più arcaico rispetto a quello attuale, in quanto presenta una somiglianza nel DNA pari al 90% rispetto ad alcuni ceppi attuali, i ceppi di HPV ritrovati sono risultati molto simili (con una somiglianza pari ben al 98-99%) a quelli moderni. Ciò dimostrerebbe che mentre il T. cruzi si è dovuto adattare a condizioni nuove dell’ospite umano, verosimilmente legate alle successive civiltà urbane precolombiane come gli Inca, i Maya e gli Aztechi, il Papilloma Virus era così ben adattato all’uomo da epoca remota da non avere necessità di nuove mutazioni».
Nelle foto: in alto l'involucro contenente la mummia oggetto dello studio di Fornaciari; al centro mummie di Cuzco conservate al Museo di Antropologia ed Etnologia dell’Università di Firenze; in basso gli ufficiali della pirocorvetta Magenta della spedizione Giglioli 1868.
Ne hanno parlato:
Tutto Scienze - La Stampa
Corriere fiorentino
Tirreno Pisa
Nazione Pisa
RepubblicaFirenze.it
Greenreport.it
StampToscana.it
Ansa.it
NazionePisa.it
InToscana.it
TirrenoPisa.it
Pisa Today
gonews.it
Controcampus
Lettera43
Il Bo
Al via un ciclo di incontri su Dante
Al via un ciclo di quattro incontri su Dante organizzato dal professore Fabrizio Franceschini su gli antichi commenti alla "Commedia" e il lessico materiale e intellettuale di Dante. Cogliendo l’occasione delle celebrazioni nazionali per il 750° dalla nascita del poeta, l’iniziativa si ricollega anche al progetto di ricerca “Per una Enciclopedia Dantesca digitale” diretto dal professore Marco Santagata.
Il primo appuntamento è per mercoledì 11 novembre alle 14.15, nell'aula 10 di Palazzo Ricci in via S. Maria con Claudia Tardelli Terry dell'Università di Cambridge, che interverrà di nuovo giovedì 12 novembre alla 8.30 sempre a Palazzo Ricci. Formatasi all’Università di Pisa e, dopo la laurea, alla Scuola Normale, la studiosa parlerà della nuova edizione del commento di Francesco da Buti alla "Commedia", che sta portando a termine dopo anni di lavoro. Quello del Buti è uno dei più importanti commenti trecenteschi e certo il più importante steso in volgare, e più precisamente in volgare pisano. Una miniatura di un sontuoso manoscritto, oggi alla Biblioteca Nazionale di Firenze, mostra il commentatore mentre spiega Dante nello Studio di Pisa la quale, a dispetto della famosa invettiva del canto ugoliniano, fu dopo Bologna il più vivace centro di studi danteschi del Trecento.
E proprio su Dante e Bologna sarà il terzo incontro che si terrà giovedì 19 novembre alle 8.30 a Palazzo Ricci. Mirko Volpi dell’Università di Pavia parlerà di un altro fondamentale commento trecentesco di Iacomo della Lana, steso in un volgare di tipo bolognese, di cui ha curato la pubblicazione.
Chiude il ciclo Paola Manni, professore ordinario di Linguistica italiana dell'Università di Firenze, già vicepresidente dell’Accademia della Crusca e presidente della commissione che curerà l’allestimento di un vocabolario dantesco, destinato a raccogliere e analizzare l’intero patrimonio lessicale depositato nelle opere volgari e latine di Dante. Paola Manni interverrà venerdì 20 novembre alle 15, nell'aula magna di Palazzo Boileau in Via S. Maria, e tratterà di Liguria dantesca: immagini, luoghi, parole. Il tema stesso, come quelli già citati, indica un approccio alla “Commedia” che ne analizza ed esalta gli aspetti più legati alla fisicità, alla materialità e alla specificità di uomini, lavori, territori.
Operare con il robot è sicuro?
La chirurgia robotica negli ultimi anni si è elevata come una delle massime espressioni della tecnologia applicata alla chirurgia. Oggi è un fenomeno pervasivo, sostenuto da numeri che non sembrano conoscere battute d’arresto: oltre 3 mila sistemi installati finora e 570 mila interventi eseguiti in tutto il mondo nel 2014. Eppure la sicurezza sull’uso del celebre robot da Vinci è stata messa in seria discussione nel 2013 quando negli Stati Uniti sono stati resi noti più di 3 mila casi di danni ai pazienti, accusando l’azienda produttrice del robot di un addestramento dei chirurghi non adeguato. Ma a che punto siamo con la formazione in chirurgia robotica oggi, nell’era della medicina basata sull’evidenza?
Attualmente non esiste un programma di formazione standardizzato – la cui evidenza sia comprovata da studi scientifici - per fornire i principi di base a coloro che si avvicinano alla chirurgia robotica. C’è chi propone di utilizzare i simulatori virtuali, concepiti sulla scia del successo di quelli per i piloti di aerei. Nel mondo ci sono oltre 2 mila simulatori virtuali per chirurgia robotica installati nei vari centri di formazione. Tali sistemi offrono una vasta gamma di esercizi per familiarizzare con la postazione di comando del robot (nota come consolle master), che si avvale di un sistema di visione 3D, un’interfaccia di controllo (tipo joystick) per ciascuna mano, e pedali. Tali esercizi sono stati ideati per sviluppare la coordinazione mani-piedi-occhi (competenze psicomotorie, che costituiscono un cardine per l’utilizzo del robot). Soltanto recentemente sono state sviluppate procedure simulate di interventi chirurgici su realtà aumentata e virtuale, quali ad esempio prostatectomia, isterectomia e nefrectomia.
Attraverso un’analisi critica che ha sviscerato la letteratura scientifica sul tema della valutazione delle prestazioni ai simulatori di chirurgia robotica, l’evidenza sull’utilità di questi ultimi è stata messa a nudo in una review sistematica pubblicata da European Urology, la più autorevole rivista di urologia.
Autore principale della review è l’Ing. Andrea Moglia del centro EndoCAS (centro di eccellenza della chirurgia assistita al calcolatore dell’Università di Pisa fondato dal Prof. Franco Mosca ed attualmente diretto dal Prof. Mauro Ferrari), in collaborazione con il Prof. Alfred Cuschieri della Scuola Sant’Anna di Pisa. Al lavoro hanno partecipato anche l’Ing. Vincenzo Ferrari ed il Dott. Luca Morelli, chirurgo generale della Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana. Presso EndoCAS, unico centro italiano accreditato dall’American College of Surgeons per la formazione in chirurgia attraverso la simulazione, è disponibile l’unico simulatore di chirurgia robotica in Italia della Mimic per le procedure di nefrectomia ed isterectomia basate su realtà aumentata, donato dalla Fondazione Arpa.
Scopo del lavoro era documentare l’efficacia dei simulatori di chirurgia robotica, sottolineando la mancanza di una dimostrazione, in studi ad alto livello di evidenza, del trasferimento positivo delle competenze acquisite coi simulatori alla pratica chirurgica su paziente. Tale dimostrazione è imprescindibile per la stesura di un programma di formazione, chiamato “curriculum”, assimilabile al concetto di patente: un percorso che è necessario superare per dimostrare di possedere un opportuno livello (noto come proficiency) di competenze di natura teorica e tecnica, ripetibile una volta scaduto il periodo di abilitazione. Esistono, soprattutto negli Stati Uniti “curricula” già attivi ed adottati dalle Società Scientifiche per garantire che i chirurghi, soprattutto quando alle prese con metodiche nuove, abbiano capacità comprovate nell’utilizzo delle innovazioni tecnologiche.
Ma la review appena pubblicata dal gruppo pisano va oltre il concetto di percorsi di addestramento certificati: fa luce anche sugli altri aspetti della formazione in chirurgia che si ispirano al mondo dei piloti d’aerei: dalla selezione dei candidati attraverso test attitudinali usando i simulatori virtuali (al riguardo lo stesso gruppo di EndoCAS ha pubblicato lo studio con la più elevata casistica internazionale per singolo centro) all’efficacia dei medesimi sistemi di addestramento in termini di costi. Da una parte negli Stati Uniti c’è forte interesse per utilizzare i simulatori nella selezione degli specializzandi di chirurgia; dall’altra al contrario dell’industria aeronautica non è noto il dato che dia una risposta inequivocabile alla domanda: “Ma un’ora di simulazione quanto tempo (e dunque denaro) fa risparmiare rispetto alla formazione tradizionale?”. Chirurghi come piloti d’aerei: così lontani, così simili.
Ne hanno parlato:
Tirreno Pisa
Pisa Today
Foto di Enzo Cei. Copyright della Fondazione Arpa.
'Racconto la mia storia perchè il futuro sia senza atomica'
“Racconto la mia storia perchè il futuro sia senza atomica" – queste le parole di Toshiko Tanaka, sopravvissuta ad Hiroshima, che ha preso parte alla conferenza stampa di presentazione del programma “Pisa non dimentica Hiroshima e Nagasaki”.
A 70 anni dalle bombe atomiche sul Giappone, Pisa ricorda che le armi nucleari continuano a rappresentare una minaccia per tutto il genere umano, mentre cresce anche il rischio del c.d. terrorismo nucleare.
Un tassello di memoria attualissimo dunque per il quale il Comune di Pisa (componente della rete Mayors for Peace) e il CISP-Centro Interdisciplinare di Scienze per la Pace dell’Università di Pisa hanno preparato, in collaborazione con moltissimi Enti ed associazioni Cittadine, un programma di eventi che si svolgerà per tutto il mese di novembre. Incontri, conferenze e spettacoli per approfondire e per esprimere – insieme a scienziate e scienziati, docenti universitari, insegnanti, amministratori e amministratrici, attiviste e attivisti, artisti, persone di fede, cittadine e cittadini, associazioni - la richiesta e l'impegno per la messa al bando delle armi nucleari, come già avvenuto con altre armi di distruzione di massa: un mondo libero da armi nucleari non è solo desiderabile, è soprattutto possibile ed è affidato anche alla capacità di disarmo interiore di ciascuno di noi. Il programma completo è consultabile all’indirizzo pisanondimentica.wordpress.com
Primo e significativo evento l’arrivo in Italia, con prima tappa Pisa, della Signora Toshiko Tanaka, testimone e sopravvissuta alla bomba di Hiroshima. “Il 6 agosto 1945, quando la prima bomba atomica venne sganciata sulla città di Hiroshima avevo 6 anni e 10 mesi e frequentavo il primo anno delle elementari – ha raccontato la signora Tanaka – ero a 2.3 km dall’ipocentro. Ho visto prima due aerei e in un istante una luce abbagliante. Poi il buoi, la polvere il calore. Sono rimasta ustionata alle braccia, al collo, alla testa e sono entrata in coma. I segni delle ustioni sono sbiaditi nel tempo ma non lo sono le conseguenze delle radiazioni e quelle psicologiche. Da molti anni la mia missione è raccontare questa storia nella speranza di non far ripetere le stesse esperienze alle generazioni future.”
Alla conferenza stampa erano presenti l’assessora Marilù Chiofalo; la dott. Enza Pellecchia del CISP; il prof. Andrea Ferrara della Scuola Normale Superiore e il dott. Diego Latella dell’Uspid.
Pisa non dimentica Hiroshima e Nagasaki
Il 6 e il 9 agosto 2015 è stato commemorato in tutto il mondo il 70° anniversario dei bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki. Le armi nucleari – più di 16.000 testate possedute da Stati Uniti, Russia, Cina, Pakistan, India, Gran Bretagna, Francia, Israele e Corea del Nord – continuano a rappresentare una minaccia per tutto il genere umano, mentre cresce anche il rischio del c.d. terrorismo nucleare.
Il CISP-Centro Interdisciplinare di Scienze per la Pace dell'Università e Il Comune di Pisa promuovono un programma di iniziative per approfondire e per esprimere – insieme a scienziate e scienziati, docenti universitari, insegnanti, amministratori e amministratrici, attiviste e attivisti, artisti, persone di fede, cittadine e cittadini, associazioni - la richiesta e l'impegno per la messa al bando delle armi nucleari, come già avvenuto con altre armi di distruzione di massa.
L’impegno dell’Università di Pisa in questa iniziativa - che senza dubbio si inscrive nella “terza missione dell’Università” - è stato ed è al massimo livello, grazie all’impegno di numerosi dipartimenti (in particolare Giurisprudenza, Fisica, Civiltà e Forme del Sapere, Scienze politiche, Medicina clinica e sperimentale, Scienze agrarie, alimentari e agro-ambientali, cui si aggiungono il Sistema Museale di Ateneo e il Centro Linguistico) e corsi di laurea (Scienze per la pace e Ingegneria nucleare). Molti docenti hanno dato il proprio contribuito, garantendo la qualità scientifica e l’approccio interdisciplinare dei seminari di approfondimento in programma. Sono state messe a disposizione risorse, strutture, spazi ed è stata garantita l’assistenza del personale tecnico e amministrativo. Un sostegno forte e convinto, per una iniziativa di alto profilo, sia scientifico sia civico.
Al centro delle iniziative, che si svolgeranno dal 12 al 24 novembre in diverse sedi cittadine, ci sarà la presenza della signora Toshiko Tanaka, che il 6 agosto 1945, quando la prima bomba atomica venne sganciata sulla città di Hiroshima, aveva 6 anni e 10 mesi e si trovava a circa due chilometri di distanza dall'ipocentro, sulla via per la scuola elementare. Rimasta gravemente ustionata, la signora Tanaka ha perso la coscienza per diversi giorni a lentamente ha recuperato la salute, finché all'età di 12 anni ha cominciato ad avere dei disturbi di vario genere, presumibilmente dovuti alle radiazioni.
Da diversi anni la sua missione è quella di testimoniare la sua storia nella speranza di non far ripetere le stesse esperienze alle generazioni future. Il viaggio in Italia, che inizia proprio da Pisa, è l'ultima delle “missioni all'estero” di Toshiko Tanaka, prima di dedicarsi all'accoglienza dei visitatori stranieri a Hiroshima.
Nella foto in basso la presentazione del programma di iniziative, con - da sinistra - l'assessore Marilù Chiofalo, la signora Toshiko Tanaka e la professoressa Enza Pellecchia.
Cristiani e musulmani nella Piana di Ninive in Iraq
Il 9 novembre alle 15, nell'aula magna di Palazzo Matteucci in piazza Dante, si svolgerà la giornata di studio "Cristiani e musulmani nella Piana di Ninive", organizzata dai membri del seminario di ricerca "The Learning Roads", del dipartimento di Civiltà e forme del sapere dell’Università di Pisa. L'incontro ha ricevuto il patrocinio della Commissione Nazionale Italiana per l'UNESCO.
La giornata si aprirà con un’introduzione storica di Marco Di Branco (Deutsches-Historisches Institut, Roma) sull’antica presenza cristiana nella Piana di Ninive, nell’Iraq attuale, e su quanto sia stato ricco e fecondo, lungo i secoli, l’interscambio non solo con i musulmani, ma anche con le altre religioni e culture di questa terra. Seguiranno quindi gli interventi di Padre Behnam Benoka, docente del Seminario cattolico di Ankawa (Erbil), e di Padre Aysar Saeed (Bagdad-Roma) che porteranno la loro testimonianza sul tentativo di annientamento della comunità cristiana della Piana di Ninive.