Tra i cinque finalisti che giovedì 16 aprile si sfideranno alla fiera dell'automazione di Hannover per il KUKA Innovation Award c'è anche un team del Centro di ricerca "E. Piaggio" dell'Università di Pisa che, in collaborazione con l'AASS Research Center dell'Università di Orebro (Svezia), presenterà un innovativo sistema di presa da applicare su un braccio robotico. I ragazzi dovranno fare una dimostrazione live della loro applicazione che è in grado di operare, in maniera del tutto autonoma, in un ambiente di lavoro - come un magazzino - in cui il robot deve prelevare oggetti disposti casualmente, appoggiarli su un pallet e trasportare tutto alla stazione di destinazione.
"Il nostro dispositivo di presa, chiamato Velvet-II – spiega Vinicio Tincani, ricercatore del Centro Piaggio – è un gripper capace di afferrare stabilmente oggetti di piccole dimensioni e forme differenti, come lattine, bottiglie, penne, piccole scatole e palline da tennis.
Ha superfici attive e sensibili su ciascuna falange, in grado di manipolare oggetti una volta afferrati, quindi di ruotarli e traslarli mentre sono in presa stabile, di riconoscere le forze scambiate fra oggetto e gripper, di capire in quali punti avviene il contatto e infine di simulare diversi coefficienti di attrito fra oggetto e falangi".
Il dispositivo Velvet-II sarà montato sul braccio robotico "KUKA LBR iiwa", un prodotto ad elevato contenuto tecnologico prodotto dalla KUKA, un'azienda tedesca leader del settore che ogni anno lancia questa competizione con lo scopo primario di promuovere il trasferimento tecnologico da ambienti accademici all'industria e di favorire l'innovazione nel campo dell'automazione industriale: "Il nostro sistema è in grado di muoversi autonomamente in ambienti strutturati quali quelli delle fabbriche – continua Tincani - e grazie a speciali telecamere a bordo è in grado di riconoscere gli operai che indossano vesti particolari e quindi di cooperare con essi".
Il team del Centro Piaggio è composto da Vinicio Tincani e Gualtiero Fantoni, con la supervisione del professor Antonio Bicchi.
Sarà l'astronauta Paolo Nespoli l'ospite d'onore dell'iniziativa "Spazio ai giovani!", la mattinata organizzata dagli studenti del PHOS Team per presentare al pubblico i risultati del loro primo anno di attività. L'appuntamento è giovedì 16 aprile nell'Aula Magna del Polo Carmignani a partire dalle 8.45, con l'intervento di Paolo Nespoli previsto per le ore 11.30.
I ragazzi, appena tornati dalla base spaziale di Kiruna in Svezia, ripercorreranno le tappe del loro esperimento scientifico appena lanciato in orbita, dalla selezione da parte dell'Agenzia Spaziale Europea (ESA), alla costruzione del "termosifone spaziale", un tubo di calore altamente economico e performante che potrà avere in futuro numerose applicazioni in ambito spaziale.
La mattinata si aprirà alle 9.00 con la presentazione del PHOS Project, a cui seguirà un dibattito con i rappresentanti di alcune aziende intervenute a sostegno del progetto. Gli interventi saranno moderati dal giornalista scientifico Giorgio Di Bernardo. Dopo una breve pausa, alle 11 sarà la volta di Piero Galeone dell'ESA, che illustrerà brevemente le attività offerte dall'Agenzia Spaziale Europea, e a seguire l'astronauta Paolo Nespoli porterà la sua testimonianza e i suoi racconti dallo spazio. A portare il saluto dell'Ateneo ci sarà la professoressa Rosalba Tognetti, prorettore agli Studenti.
Censire il patrimonio arboreo del Comune di Pisa, valutare le condizioni di fitostabilità e riprogettare il verde in alcuni dei più importanti spazi cittadini, come piazza Dante, Santa Caterina e della Stazione. Sono questi alcuni degli incarichi che rientrano nell'accordo triennale appena stipulato fra il dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali dell'Ateneo e la Società Euroambiente di Pistoia che si è recentemente aggiudicata il contratto di global service degli spazi verdi del Comune di Pisa.
"Il quadro delle azioni programmate – spiega Giacomo Lorenzini, professore di Patologia vegetale e di Patologia forestale urbana dell'Università di Pisa - comprenderà campagne di verifica e di controllo, anche con tecniche biomolecolari, penetrometriche e di diagnostica per immagini, delle condizioni di salute del patrimonio arboreo, con particolare riferimento alla verifica delle condizioni di sicurezza, un tema che appare di straordinaria attualità alla luce dei frequenti casi di crolli e cedimenti di alberi con conseguenze drammatiche per l'incolumità dei cittadini".
I docenti e i ricercatori del dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali avranno inoltre il compito di organizzare corsi di formazione teorico-pratica e di aggiornamento per i tecnici di Euroambiente e di affiancare la Società nell'esecuzione tecnica dei lavori, come ad esempio nella predisposizione dell'"albero modello" per la potatura di pini domestici, platani e tigli e nella fase di iniziale della "taggatura" georeferenziata degli alberi con tecnologia RFID (identificazione a radio frequenza).
"Sono compiti che si inseriscono perfettamente nei settori di ricerca e didattica del dipartimento che, unico in Italia, ha un corso di laurea magistrale di progettazione e gestione del verde urbano e del paesaggio – ha concluso Giacomo Lorenzini – e, infatti, saranno proprio gli studenti i co-protagonisti delle attività, potendo godere di un'opportunità unica per confrontarsi con le pratiche ordinarie e straordinarie di manutenzione del patrimonio verde, nell'ottica irrinunciabile di coniugare il 'sapere' con il 'saper fare'".
Ne hanno parlato:
La Nazione
Tirreno.it
Nazione.it
InToscana.it
PisaInformaFlash.it
PisaToday.it
GoNews.it
StampToscana.it
I sapori perduti che ritornano sulle nostre tavole, cibi da riscoprire grazie a filiere alimentari sostenibili e di qualità che valorizzano la biodiversità. E' questa la sfida europea di Diversifood, un progetto quadriennale finanziato all'interno del programma Horizon 2020 che ha preso avvio nel febbraio 2015: oltre all'Università di Pisa, sono venti i partner coinvolti in dodici diversi Paesi.
"I sistemi biologici sono generalmente più resilienti e produttivi se sono diversificati e adattati agli specifici contesti, tuttavia lo sviluppo delle pratiche agronomiche non è andato in tale direzione - spiega il professore Gianluca Brunori (foto) del dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali dell'Ateneo pisano - e nel tempo si è verificata una diminuzione costante della quantità di diversità coltivata, a cui nemmeno gli sforzi di conservazione dei materiali genetici messi in atto negli ultimi decenni dalle banche del germoplasma sono riusciti a far fronte".
Nei quattro anni del progetto sono previste sperimentazioni e analisi per una serie di prodotti dell'agricoltura e della selvicoltura, a livello di sistemi colturali, di azioni di marketing e di comunicazione e di studio delle relative cornici normative.
Fra i prodotti che il progetto intende valorizzare ci sono ad esempio il farro della Garfagnana o il "grano monococco", che dal punto di vista nutrizionale si differenzia dal frumento tenero o da quello duro per l'alto contenuto proteico e per l'elevata quantità di carotenoidi, o quello "saraceno", che in realtà non essendo un cereale è adatto per celiaci, oppure ancora l'amaranto, uno pseudocereale originario del centro America dai chicchi commestibili e solitamente consumato in modo simile ai cereali.
L'obiettivo di Diversifood è dunque di portare a risultati concreti di diretta applicazione: nuove specie, varietà, popolazioni e relative tecniche di produzione, riproduzione e utilizzo, definizione di modelli organizzativi tra i vari attori delle filiere e studio di marchi e altri strumenti di qualificazione e promozione.
Ne hanno parlato:
EcoNews.it
AgroNotizie.it
Tirreno.it
Radio24IlSole24Ore.it
GreenReport.it
AgricolturaOggi.it
StampToscana.it
PaginaQ.it
PisaInformaFlash.it
GoNews.it
ControCampus.it
Ci sarà anche un robot del Centro "E. Piaggio" dell'Università di Pisa a competere alla finale della Amazon Picking Challenge, in programma a fine maggio a Seattle. La sfida internazionale, che coinvolge circa trenta laboratori di ricerca di tutto il mondo, è la prima competizione indetta dal gigante dell'e-commerce con lo scopo di reinventare la gestione dei propri magazzini, quelli da cui in tutto il mondo ogni giorno vengono spediti milioni di beni acquistati online. I team italiani selezionati per la finale sono solamente due, quello proveniente dall'Ateneo di Pisa e un altro del Politecnico di Torino.
Lo scopo della gara è stimolare la comunità di ricerca robotica internazionale a escogitare soluzioni avanzate e automatizzate per prendere dagli scaffali gli oggetti ordinati dai clienti online e riporli in pacchi pronti per la spedizione. Alla fine della competizione, che prevede tre premi in denaro simbolici, tutto il software prodotto diventerà "open source", ovvero sarà a disposizione della comunità scientifica.
Il progetto del Centro di Ricerca "E. Piaggio" dell'Università di Pisa è realizzato in collaborazione con l'Istituto Italiano di Tecnologia: "Il nostro punto di forza – ha spiegato all'ANSA Manolo Garabini, ricercatore dell'ateneo toscano - è la mano del nostro robot", che "ha tutti i gradi di libertà di una mano umana" e "un singolo motore che muove tutte le falangi permettendole di adattarsi a oggetti molto differenti".
Guarda il video.
Il team è composto da Tommaso Pardi, Emanuele Luberto, Alessandro Raugi, Mattia Poggiani, Lorenzo Malagia, Fabio Bonomo, Riccardo Persichini, Alberto Brando, Andrea Di Basco, Manuel Giuseppe Catalano, Giorgio Grioli, Manolo Garabini, prof. Antonio Bicchi, Nikolaos Tsagarakis.
Ne hanno parlato:
ANSA
Tirreno Pisa
La Stampa
Messaggero.it
Cogliendo al volo l'interesse seguito al film "The Imitation Game" e al suo meritato Oscar (miglior sceneggiatura non originale), nel mese di marzo 2015 il Museo degli Strumenti per il Calcolo dell'Università di Pisa ha promosso un ricco programma di eventi per ricordare Turing, la sua macchina, la battaglia dei codici e la crittografia. Tra le tante iniziative proposte c'è stata anche la mostra "L'Enigma a Pisa", curata per la Fondazione Galileo Galilei da Giovanni Cignoni, che ha mostrato il funzionamento della famosa macchina crittografica, ricevendo un grande riscontro di pubblico (oltre 1200 visitatori).
Pubblichiamo qui di seguito un intervento scritto a quattro mani da Giovanni Cignoni e dal professor Fabrizio Luccio, docente del dipartimento di Informatica dell'Università di Pisa, che ha parlato di crittografia in uno degli incontri organizzati durante il mese con Turing e l'Enigma.
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Fare in modo che un messaggio possa essere trasmesso in modo sicuro, cioè senza che altri al di fuori di mittente e destinatario possano leggerlo è un vecchio problema. La storia è ricca di esempi più o meno curiosi. Il significato di "sicuro" è relativo e dipende dal tempo: i metodi del passato sono stati tutti forzati e avendo sufficiente tempo a disposizione qualsiasi metodo è violabile.
Nella Πoλιoρκητικά del IV secolo a.C. attribuita al greco Enea Tattico, sono riportate diverse idee per rendere sicura una comunicazione. Per esempio, riprendendo Erodoto, si suggerisce di rasare la testa di uno schiavo, scrivere il messaggio sul di lui cranio, aspettare che ricrescano i capelli e infine mandarlo dal destinatario del messaggio con l'invito a rasarlo di nuovo. Metodi di questo tipo, basati sul nascondere il messaggio, si chiamano steganografici.
Giulio Cesare, come ci racconta Svetonio, usava invece un metodo che possiamo considerare veramente crittografico, basato cioè su una manipolazione dei simboli – le lettere – che compongono il testo del messaggio. Cesare sostituiva ogni lettera con quella che nell'alfabeto la seguiva di tre posizioni, una soluzione "wxwwr vrppdwr deedvwdqcd vhpsolfh" (tutto sommato abbastanza semplice).
I cifrari come quello di Cesare si dicono monoalfabetici; in pratica usano un alfabeto in cui l'ordine delle lettere è diverso. Sono cifrari deboli anche quando usano permutazioni dell'alfabeto meno ovvie di una semplice traslazione à la Cesare. Sono attaccabili avendo un certo numero di messaggi e conoscendo la lingua in cui si presume siano scritti. Infatti, la frequenza delle lettere o delle coppie di lettere è caratteristica di ogni lingua; se a ogni lettera corrisponde nel cifrato sempre la stessa lettera tale frequenza viene mantenuta: un po' di analisi statistica delle lettere ricorrenti e il gioco è praticamente fatto.
A partire dal Rinascimento appaiono metodi più sofisticati. Il disco cifrante di Leon Battista Alberti (a sinistra nella foto) era composto da due dischi concentrici, ognuno recante un alfabeto. Mittente e destinatario dovevano avere due dischi identici; cifrare e decifrare un messaggio significava leggere in un senso o nell'altro le corrispondenze fra le lettere dell'alfabeto sul disco esterno e quelle sul disco interno. La novità era il metodo d'uso che prevedeva di inserire nel messaggio cifrato le indicazioni per ruotare il disco durante l'operazione così da cambiare periodicamente alfabeto. Di conseguenza apparizioni successive di una stessa lettera venivano codificate in lettere diverse e gli attacchi basati sull'analisi della frequenza delle lettere non funzionavano più. Più o meno negli stessi anni metodi polialfabetici, detti così perché cambiano via via l'alfabeto, sono proposti anche da Trithemius, Bellaso e Vigenère. Il metodo di Vigenère avrà particolare successo e sarà considerato inviolabile fino alla metà dell'Ottocento.
Polialfabetica è anche la macchina Enigma, così come lo sono altre sue contemporanee, come per esempio la Hagelin svedese poi adottata dalle forze armate americane e la Tipex inglese, o le precedenti, ma commercialmente sfortunate, macchine di Hebern. Sono tutte macchine basate su dei rotori che, concettualmente, svolgono la stessa funzione del disco cifrante dell'Alberti. Il testo del messaggio viene cifrato battendolo su una tastiera. Ogni pressione di tasto determina l'avanzamento dei rotori della macchina. A ogni posizione dei rotori corrisponde un alfabeto diverso, usato solo per la codifica della lettera battuta. La sequenza di alfabeti generata dalla macchina dipende dalle impostazioni: i rotori usati, il loro ordine e la posizione iniziale; le impostazioni possibili sono in numero così grande da scoraggiare i tentativi di attacco.
L'Enigma non era la macchina tecnologicamente più sofisticata del suo tempo, ma fu attaccata con più determinazione e successo delle altre, dando luogo a una battaglia tecnologica particolarmente interessante – benché tristemente legata a eventi bellici. Forse, alla notorietà della macchina, ha contribuito anche l'azzeccatissimo marchio.
Enigma era infatti nata nel primi anni Venti come prodotto commerciale, pensato prevalentemente per la sicurezza delle comunicazioni finanziarie. I primi brevetti sono depositati fra il 1918 e il 1921 in Germania, Olanda, Inghilterra, Francia, USA e Svizzera. Il primo modello di serie è l'Enigma A del '23, stampante: il messaggio cifrato usciva comodamente su carta. Nel 1924 arriva il primo modello con lo schermo luminoso, l'Enigma C. Il messaggio deve essere trascritto a mano, lettera per lettera: è noioso e fonte di errori, ma così la macchina è più economica e compatta. La portatilità incontra l'interesse dei militari, che la arruolano a partire dal 1932 nella versione Enigma I adottata da Wehrmacht e Luftwaffe. La Kriegsmarine avrà invece i suoi modelli a partire dal 1932: M1, M2, M3 e infine la più complessa M4.
Battere l'Enigma fu una sfida vinta grazie all'impostazione scientifico-industriale adottata dagli Alleati senza risparmio di mezzi e risorse. I diversi modelli di Enigma, le diverse procedure d'uso, che cambiavano sia nel tempo sia rispetto all'organizzazione delle forze armate tedesche, dettero luogo a tanti match, molti dei quali si svolsero in più riprese. Per esempio, le comunicazioni degli U-Boot erano già state violate, ma dopo il 2 febbraio 1942 entrò in uso l'Enigma M4 e gli alleati tornarono sordi per quasi nove mesi. Sempre gli U-Boot usavano l'Enigma in un modo per i comunicati meteo, in un altro per i rapporti di ricognizione e in un altro ancora quando i messaggi erano destinati ai comandi della Kriegsmarine (nella foto a destra una Enigma M3 a bordo di un U-Boot tedesco).
Il primo round vinto per gli alleati fu in effetti merito dei Polacchi del Biuro Szyfrów, Grazie a Marian Rejewski, Henryk Zygalski e Jerzy Rozycki, tutti matematici, il Biuro prima della guerra già leggeva il 75% delle comunicazioni tedesche con successo. Quando gli alleati organizzarono a Bletchley Park la struttura per attaccare i messaggi cifrati tedeschi partirono dai metodi e dalle macchine polacchi, aggiornandoli e migliorandoli.
Una volta noti il modello di Enigma e la procedura di crittazione usata dai tedeschi, rimaneva da trovare l'impostazione della macchina, che i tedeschi cambiavano ogni giorno: e si trattava di cercarla fra 159 × 1018 combinazioni possibili.
La routine quotidiana di Bletchley Park era organizzata in tre fasi. Nella prima, i criptoanalisti riducevano il numero delle combinazioni in cui cercare applicando metodi come il banburismus, sviluppato da Turing a partire dal metodo di Zygalski. Poi era la volta delle Bombe, macchine specializzate, progettate da Turing e Welchman e costruite da Keen negli impianti della British Tabulating Machines. A Bletchley Park c'erano oltre 200 Bombe, altre 160 erano a Washington, ognuna di esse simulava l'Enigma provando, una dopo l'altra, le impostazioni rimanenti e cercando i crib, cioè le parole di uso frequente che si supponeva essere presenti nel messaggio. Quando le Bombe finalmente trovavano la combinazione giusta, questa era usata per impostare delle Typex modificate con cui erano decrittati tutti i messaggi del giorno. Infine, speciali gruppi di collegamento, le Special Liason Units, studiavano i contenuti dei messaggi passando le informazioni ai comandi militari interessati (nella foto a sinistra le Bombe inglesi, in un'istituzione vicino Bletchley Park)
L'Enigma e le altre macchine usate dall'Asse furono battute da una struttura complessa che alle competenze e all'intuito dei matematici affiancava un forza e un'organizzazione di tipo industriale: a Bletchley Park lavoravano più di 9000 persone.
Dall'Enigma a oggi le cose sono cambiate ancora, ma la sicurezza dei metodi crittografici è ancora fondamentalmente legata all'enorme quantità di risorse che è necessario mettere in campo per provare ad attaccarli con buone probabilità di successo.
Tutti i dettagli e il materiale dell'iniziativa "Un mese con Turing e l'Enigma" sono alla pagina web http://hmr.di.unipi.it/TuringEnigma.
Giovanni A. Cignoni - Museo degli Strumenti per il Calcolo, Fondazione Galileo Galilei
Fabrizio Luccio - Dipartimento di Informatica Università di Pisa
Polvere d'osso per curare l'epilessia e altri disturbi della mente: è questa la soluzione al mistero del cranio con 16 fori presente tra le reliquie dei martiri di Otranto, gli 813 abitanti della cittadina pugliese massacrati il 14 agosto 1480 dalle milizie turche, guidate da Gedik Ahmet Pascià, perché rifiutarono di convertirsi all'Islam. Il team dell'Università di Pisa, guidato dal professor Gino Fornaciari, ha svelato le ragioni della misteriosa trapanazione multipla incrociando le analisi sui resti scheletrici con i testi di storia della medicina.
"È stato difficile risalire alle ragioni di questa pratica – spiega la dottoressa Valentina Giuffra, autrice dello studio, pubblicato sull'importante Journal of Ethnopharmacology e ripreso anche da Discovery News – Inizialmente abbiamo preso in considerazione diverse ipotesi, tutte però poco convincenti. Ad esempio una procedura per ricavare reliquie in forma di polvere d'osso non era plausibile, considerando le migliaia di ossa, di piccole e grandi dimensioni, appartenenti ai martiri che potevano essere facilmente prelevate e distribuite come reliquia".
La chiave di volta per chiarire il mistero l'ha fornita l'analisi dei testi di storia della medicina di epoca moderna: "I testi riferiscono l'uso di polvere di cranio umano come ingrediente per la cura dell'epilessia e di altri disturbi per i quali non esisteva una spiegazione razionale – continua Valentina Giuffra – La testa era considerata la parte più importante del corpo umano, un capolavoro della creazione, depositaria di forze spirituali invisibili che si conserverebbero anche dopo la morte. A tal proposito alcuni autori del XVIII secolo suggeriscono proprio l'utilizzo dell'osso polverizzato di individui deceduti di morte violenta e non sepolti, come è appunto il caso dei martiri di Otranto. Pertanto il cranio di Otranto rappresenta un'evidenza unica di trapanazione multipla effettuata per ottenere polvere d'osso da usare come ingrediente in preparazioni terapeutiche".
Le reliquie degli abitanti della cittadina pugliese sono conservate nella Cappella dei Martiri della cattedrale di Otranto, dove furono trasferiti un anno dopo l'eccidio. Tra i resti scheletrici, disposti dietro cinque grandi vetrate, era stata notata la presenza di una calotta cranica con ben 16 perforazioni perfettamente rotondeggianti e di varie dimensioni. Di queste, 8 attraversano tutto lo spessore del tavolato cranico, mentre 8 sono perforazioni incomplete che non raggiungono il tavolato interno. L'assenza di reazione ossea intorno alle lesioni indica un intervento praticato al momento della morte o dopo la morte dell'individuo. "Le lesioni sono il risultato di una trapanazione multipla effettuata con uno strumento dotato di una grande punta arrotondata – conclude Giuffra – questo tipo di strumento non poteva produrre rondelle ossee, ma solo polvere d'osso". I martiri di Otranto sono stati beatificati nel 1771 e canonizzati il 12 maggio 2013 da Papa Francesco.
Ne hanno parlato:
Corriere del Mezzogiorno
Gazzetta del Mezzogiorno
InToscana.it
PisaInformaFlash.it
TirrenoPisa.it
Controcampus.it
Ansa
Tirreno
The startup TOI - ThingsOnInternet conducted a successful crowdfunding campaign on Kickstarter with the project VIPER, a smart object development suite that brings cloud and IoT connectivity to design projects with just a click of the mouse. The 22.579 dollars obtained will allow finalizing the development and releasing process, in view of the official market launch in the end of this summer.
As its name implies, VIPER — or "Viper Is Python Embedded in Real-time" — makes it possible for Makers and embedded designers to create their next connected project in Python for Arduino, UDOO and Spark, all in in real-time. And, unlike other solutions that already exist today, this collection of products is platform-agnostic and compatible with all sensors and kits.
The idea was first conceived after conducting some detailed market analysis, where the company discovered that designers, Makers and programmers all faced a similar set of challenges. In hopes of simplifying how "things" are brought onto the Internet, VIPER converged a series of components to better streamline the process. This included an IDE to manage and program the boards, a Virtual Machine to serve as its operating system, a plug-and-play TOI Shield, an extensive library of ready-to-use functions, and a mobile app to act as the interface for smart objects. On top of that, it's also cloud-ready. With just a little coding, users can develop a wide-range of IoT applications, ranging from interactive storefronts, to home and industrial automation systems, to art and museum installations, to smart farming.
Since millions of developers already know Python, VIPER makes the programming language readily accessible for commercial interactive products as well, therefore amplifying the potential for smart objects to be as pervasive as mobile devices in their ease of design interactivity. To do this, VIPER provides a browser-based, minimal-installation development environment where users can write code with extensive library support and have it executed on any Arduino-like board. What's great for designers is that, with VIPER, it leaves them able to focus on the features and functionality, not the tediousness, along with a mobile app to control their creation for free.
The Kickstarter campaign has been an important market test for VIPER. More than 320 backers from 25 different countries pledged the project, mainly from US, UK and Italy. Besides single backers like professional product designers, makers, developers and researchers, many companies put their attention on VIPER, including players from software development, embedded electronics and consumer electronics sectors. The leading embedded system manufacturer, Atmel, highlighted the potential of this solution with two different posts on the official blog.
The campaign also allowed starting the first industrial collaborations for the development of a dedicated microcontroller board and the development of a set of 12 synchronized rotating platforms for luxury goods exposition installed in a Paris jewelry.
Check the official website for the next updates and news about the official market launch of the VIPER suite.
In molte specie animali, l'esperienza nel combattimento influenza le caratteristiche e gli esiti dei conflitti successivi. Secondo la teoria corrente, i vincitori hanno maggiori probabilità di vincere di nuovo (winner effect), mentre i vinti hanno sempre più probabilità di perdere ancora una volta (loser effect). Tuttavia, questo sembra non valere per tutti gli animali.
Uno studio coordinato da Giovanni Benelli e Angelo Canale, del dipartimento di Scienze agrarie, alimentari e agro-ambientali dell'Università di Pisa, ha utilizzato la mosca delle olive, Bactrocera oleae, come modello per studiare il winner e il loser effect durante le interazioni aggressive tra maschi, funzionali al mantenimento di singoli territori nei quali intraprendere il corteggiamento delle femmine.
La ricerca, pubblicata sulla rivista Nature Scientific Reports, ha dimostrato come vincitori e perdenti di almeno due incontri consecutivi aumentino funzionalmente la loro aggressività negli incontri successivi, ottenendo maggiore successo nei combattimenti: "L'esperienza di combattimento fisico non è necessaria per indurre iper-aggressività in questi animali – ha spiegato Giovanni Benelli – Infatti, la sola esposizione a un possibile avversario è sufficiente per indurre elevati livelli di aggressività nei maschi di B. oleae".
Nel complesso, lo studio in questione evidenzia che questi insetti sono in grado di utilizzare informazioni acquisite da vittorie e sconfitte precedenti per migliorare le loro performance di combattimento e ottenere così maggiore successo negli scontri contro maschi inesperti. "Poter rendere più competitivi i maschi di questa specie – ha aggiunto Angelo Canale – può essere utile per il miglioramento della tecnica dell'insetto sterile, poiché maschi sterili iper-aggressivi avranno maggiore successo in campo nel corteggiamento delle femmine".
Lo studio ha visto la partecipazione della University of Hawaii, USA (Prof. Russell H. Messing) e del French National Institute for Agricultural Research (INRA) di Sophia-Antipolis (Dr. Nicolas Desneux).
Il primo assaggio di Toscolata, la cioccolata con i prodotti nel cuore, risultato dell'omonimo progetto coordinato dall'Istituto per la valorizzazione del legno e delle specie arboree (Ivalsa) del Cnr, con la partecipazione dell'Università di Pisa, dell'Università di Siena, dell'Istituto di Scienze della Vita della Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa, è coinciso con l'annuncio del prossimo inizio – previsto entro maggio 2015 - della sperimentazione clinica, per valutare gli effetti benefici sul sistema cardiovascolare di 30 volontari, fra i 30 e i 65 anni. Il progetto Toscolata è stato finanziato dalla Regione Toscana ed ha ricevuto il patrocinio dei Comuni Montani del Casentino, della Società di Ortoflorofrutticultura Italiana (Soi), della Provincia di Siena, del vivaio forestale "Il Campino".
L'annuncio del "reclutamento" per questa "dolce" e "appetitosa" sperimentazione è arrivato durante la giornata di presentazione, ospitata proprio dalla Scuola Superiore Sant'Anna a Pisa, dove il partner di progetto e produttore della Toscolata, l'azienda Vestri di Arezzo, ha riproposto elementi tipici di una cioccolateria dove le tavolette si producono in maniera artigianale e dove sono stati presentanti gli ingredienti principali della Toscolata, tutti di origine toscana e provenienti da agricoltura biologica. La presentazione è culminata nell'assaggio della Toscolata, nella cui ricetta figurano la mela "Panaia rossa" e l'olio extravergine di oliva toscano e nella valutazione, attraverso una scheda di assaggio semplificata.
All'iniziativa presso la Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa hanno partecipato Marco Masi e Enrico Mario Pe', rispettivamente coordinatore dell'area educazione, istruzione, università e ricerca della Regione Toscana e direttore dell'Istituto di Scienze della Vita della Scuola Sant'Anna di Pisa.
Claudio Cantini, coordinatore del progetto Toscolata, ne ha presentato obiettivi e risultati. Luca Sebastiani, dell'Istituto di Scienze della Vita della Scuola Superiore Sant'Anna, si è soffermato sulle proprietà organolettiche e sui composti nutraceutici presenti nelle mele e nell'olio di oliva prodotto con varietà toscane. Per le mele, in questa prima fase lo studio ha preso in esame le antiche varietà del Casentino, come la "Panaia" rossa, la "Ruggina", la "Mora" e la "Nesta". Tra queste, la "Panaia" rossa è risultata particolarmente ricca in composti polifenolici (ricchi di sostanze antiossidanti, che possono contribuire a "rallentare l'invecchiamento") e quindi è stata scelta per arricchire il cioccolato da utilizzare nella sperimentazione clinica. Per l'olio la scelta è ricaduta su un olio di più varietà di olive, derivato da "Frantoio", "Leccino", "Moraiolo", ricco in biofenoli, sostanze antiossidanti. Patrizia Salusti, del Dipartimento di Scienze della Vita dell'Università di Siena, ha presentato le procedure di preparazione di un cioccolato di alta qualità, com'è appunto la Toscolata, evidenziando le problematiche connesse alla tracciabilità degli ingredienti e del prodotto finito.
Rossella Di Stefano del dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica Molecolare e dell'area critica dell'Università di Pisa ha fornito indicazioni sul progetto clinico correlato alla Toscolata, con riferimento al paziente "ideale" e agli effetti salutistici attesi sulle cellule coinvolte nella riparazione del sistema cardiovascolare. Per la sperimentazione clinica, saranno arruolati 30 volontari, fra 35 e 65 anni, portatori di almeno tre fattori di rischio cardiovascolare come fumo, dislipidemia (colesterolo alto), familiarità per malattie cardiovascolari, sovrappeso, ipertensione (pressione alta).
I partecipanti alla studio saranno chiamati ad assumere 40 grammi di Toscolata ogni giorno, seguendo un protocollo sperimentale che alterna la Toscolata con olio extravergine e la Toscolata con mela "Panaia" rossa. All' inizio e al termine di ogni assunzione saranno eseguiti prelievi per dosare il numero di cellule ematiche circolanti, note per essere diminuite nei pazienti che presentano fattori di rischio cardiovascolare e importanti per evitare la progressione del danno che porta alla formazione della placca aterosclerotica, responsabile di infarto, ictus, ischemie periferiche. Il risultato atteso è che il numero di queste cellule possa aumentare dopo l'assunzione di Toscolata. A queste analisi saranno associate quelle dei metaboliti, in collaborazione con il Dipartimento di Chimica e Chimica Industriale dell'Università di Pisa, per ottenere un profilo dei metaboliti esogeni (derivanti dall'assunzione di Toscolata) ed endogeni, coinvolti nella definizione del rischio cardiovascolare.
Per candidarsi, come volontario, alla fase clinica del progetto Toscolata è possibile scrivere ai seguenti indirizzi Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. oppure Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo..