Perù, svelata l’origine di uno dei più grandi giacimenti di fossili di cetacei al mondo
La bassa concentrazione di ossigeno al fondo, il rapido seppellimento delle carcasse e la precipitazione di minerali come l’apatite e la dolomite subito dopo il seppellimento delle ossa, insieme alla ricchezza biologica originaria. Queste le condizioni che sarebbero all’origine di uno dei più grandi giacimenti di fossili di vertebrati marini del mondo. Si trova in una delle aree più aride del pianeta, il Deserto di Ica del Perù meridionale, ed è un giacimento così eccezionale perché ospita migliaia di reperti fossili di balene, delfini, foche, squali ed altri pesci, uccelli e rettili risalenti ad un intervallo di tempo compreso tra 14 e 6 milioni di anni fa (un'epoca che i geologi chiamano “Miocene”).
I geologi e paleontologi delle Università di Milano-Bicocca, Pisa e Camerino studiano uno scheletro fossile di balena nel Deserto di Ica. Credits A.Gioncada.
Il gruppo di ricercatori di Milano-Bicocca (Giulia Bosio ed Elisa Malinverno), di Camerino (Claudio Di Celma) e di Pisa (Giovanni Bianucci, Alberto Collareta, Anna Gioncada e Karen Gariboldi), in collaborazione con studiosi di vari istituti di ricerca esteri, ha svelato le cause dell’origine di questo straordinario sito paleontologico grazie allo studio di quasi 900 reperti, spesso eccezionalmente conservati, in un articolo dal titolo “Taphonomy of marine vertebrates of the Pisco Formation (Miocene, Peru): Insights into the origin of an outstanding Fossil-Lagerstätte”, appena pubblicato sulla rivista PLOS ONE.
«Dove oggi c’è un deserto che si estende per centinaia di chilometri lungo la costa del Perù - spiega il geologo Claudio Di Celma - in passato si trovava un grande bacino marino, il Bacino di Pisco, caratterizzato da una grande abbondanza di nutrienti e una ricca biodiversità». «Gli abitanti di questa antica baia si sono conservati per milioni di anni e sono oggi esposti nei dintorni di Ica grazie al sollevamento tettonico e all’erosione nell’ambiente desertico attuale. L'assenza di vegetazione che caratterizza l'area facilita inoltre enormemente la scoperta dei reperti» continua la paleontologa Elisa Malinverno.
«Lo studio della distribuzione dei reperti, della fauna associata e delle tracce lasciate dai morsi di squalo sulle ossa - afferma il paleontologo Alberto Collareta - unitamente a quello delle rocce in cui i fossili sono contenuti, hanno permesso di ricostruire la storia tafonomica di questi straordinari reperti, ovvero ciò che ne ha permesso la conservazione come fossili dal momento della loro morte sino ai giorni nostri.»
Balena fossile scoperta nel Deserto di Ica. Credits G.Bianucci.
E’ stata quindi una concomitanza di diverse condizioni favorevoli alla fossilizzazione che ha dato origine a questo straordinario giacimento, come spiega la paleontologa Giulia Bosio dell’Università di Milano-Bicocca, prima autrice dell’articolo: «La bassa concentrazione di ossigeno al fondo, il rapido seppellimento delle carcasse e la precipitazione di minerali come l’apatite e la dolomite subito dopo il seppellimento delle ossa, insieme alla ricchezza biologica originaria hanno permesso la formazione di questo importante giacimento, portando alla fossilizzazione di migliaia di esemplari».
Particolarmente interessante risulta il riconoscimento di alcuni scheletri di balene la cui disposizione e le cui relazioni con le rocce incassanti suggeriscono che la carcassa sia andata incontro ad un meccanismo di "autoseppellimento". Ciò accade quando oggetti relativamente pesanti si adagiano su di un fondale solcato da correnti; queste erodono rapidamente il sedimento su cui appoggia l'ostacolo (nel nostro caso, la carcassa), causandone così lo sprofondamento in una cavità che viene poi altrettanto presto riempita da nuovo sedimento. Il risultato di questo processo - molto studiato per quanto riguarda le mine sottomarine ma mai riconosciuto in contesti paleontologici - è la veloce fagocitazione da parte del sedimento di una carcassa che viene così messa al riparo dall'azione degli organismi “spazzini” e da molti altri fattori di “disturbo”.
I paleontologi F.Marx e A.Collareta studiano un fossile di balena. Credits G.Bianucci.
Lo studio è stato portato avanti, con numerose campagne di prospezione e scavo, dai ricercatori delle università di Milano-Bicocca, Pisa e Camerino, coordinati dal paleontologo Giovanni Bianucci dell’Università di Pisa, in collaborazione con l’Institut Royal des Sciences Naturelles de Belgique (Bruxelles, Belgio), il Museum of New Zealand Te Papa Tongarewa (Wellington, Nuova Zelanda), l’University of Otago (Dunedin, Nuova Zelanda), il Muséum national d’Histoire naturelle (Parigi, Francia) e il Museo de Historia Natural (Lima, Perù).
Incarico per le attività di giardinaggio, utilizzo e aggiornamento del catalogo informatico dell’Orto Botanico
Avviso di fabbisogno interno nell’ambito del progetto “Attività autonome propedeutiche a vari progetti e iniziative CAFRE”
Avviso di fabbisogno interno seguente attività di ricerca nell’ambito del progetto “Modellazione variazionale dei fenomeni di danneggiamento in gusci sottili anisotropi”
Unipi: nuovo rifinanziamento del bando 2020/21 per gli studenti in difficoltà economiche
Sono 103 le studentesse e gli studenti dell’Università di Pisa a cui è destinato il rifinanziamento, approvato stamani all’unanimità dal Consiglio d’Amministrazione dell’Ateneo, del “Bando per l’erogazione di contributi a studenti universitari che si trovino in condizioni di difficoltà economica - a. a. 2020/21”. Si tratta di ragazze e ragazzi che erano già risultati idonei, ma che non avevano ancora beneficiato dei fondi del Bando emanato il 19 ottobre 2020. A loro, adesso, arriverà un contributo di 700 euro a testa.
Quello di oggi è il secondo incremento dei fondi per l’assegnazione di contributi agli studenti in condizioni di disagio economico disposto dall’Università di Pisa. Già in primavera, infatti, l’Ateneo aveva approvato un aumento di 69.300 euro destinando al Bando del 2020 le risorse derivanti dal 5 per mille, per un totale di 99 contributi sempre da 700 euro ciascuno.
Il nuovo rifinanziamento approvato oggi è stato possibile, invece, grazie all’intervento della Fondazione Premi, borse di studio e provvidenze dell’Università di Pisa che, il 12 luglio scorso, ha deliberato di intervenire in aiuto degli studenti universitari attraverso un contributo complessivo pari a € 72.100 a favore dell’Ateneo.
«Con questo nuovo rifinanziamento salgono a 918 le studentesse e gli studenti in difficoltà economica che siamo riusciti a sostenere grazie al bando dello scorso ottobre – ha commentato il Rettore, Paolo Mancarella – Adesso il nostro obiettivo è quello di reperire al più presto ulteriori risorse per nuove iniziative di sostegno come questa». «Ci tengo a cogliere questa occasione per sottolineare come, oltre al sostegno della Fondazione, in questo nostro intervento siano state fondamentali le risorse del 5 per mille che i cittadini decidono di destinare all’Università – ha aggiunto il Rettore - Con questa loro scelta hanno contribuito a difendere il diritto allo studio dei propri figli e la nostra comunità non può che essergliene grata».
Vaccinare in carcere per migliorare la salute dei detenuti: lanciato un progetto europeo guidato da Unipi
Con l’obiettivo di aumentare i tassi di vaccinazione nelle carceri di tutta Europa, è stato lanciato nelle scorse settimane il progetto “RISE-Vac: Reaching the hard-to-reach: increasing access and vaccine uptake among the prison population in Europe”, che nei prossimi tre anni opererà per ridurre il numero di nuovi casi di malattie infettive prevenibili da vaccino all’interno della popolazione carceraria. Guidato in Italia dall'Università di Pisa con il supporto delle principali istituzioni accademiche e sanitarie di diversi altri paesi, tra cui i Servizi Sanitari dei Paesi partecipanti, il progetto è stato finanziato dall’Unione Europea con oltre 1.5 milioni di euro. Il team di ricerca pisano è coordinato dalla dottoressa Lara Tavoschi, ricercatrice in Igiene generale e applicata al Dipartimento di Ricerca traslazionale dell'Università di Pisa e include anche la professoressa Laura Baglietto del Dipartimento di Medicina clinica e sperimentale, l’assegnista Davide Petri e la dottoranda Sara Mazzilli.
Il principio chiave alla base del lavoro di RISE-Vac è che la salute nelle carceri è un problema di salute pubblica: molti detenuti trascorrono solo un breve periodo in carcere, con un rapido ricambio e rientro nella società dove possono mettere a rischio di malattia infettiva anche altre persone. Vaccinare i detenuti contro le malattie infettive protegge anche le comunità a cui appartengono. «Più che mai, la pandemia di COVID-19 ha messo in luce la necessità di concepire e attuare interventi preventivi inclusivi – dichiara la dottoressa Lara Tavoschi – Avendo come obiettivo i detenuti, il progetto mira a migliorare lo stato di salute di questa popolazione e ad aumentare la consapevolezza del valore della assistenza sanitaria di qualità nelle carceri quale strumento per contrastare le disuguaglianze in salute e contribuire all'obiettivo globale fissato dall’OMS "Leave no one behind"».
Gli operatori sanitari e i ricercatori utilizzeranno metodi basati sui dati epidemiologici e sulle evidenze scientifiche per valutare lo stato dei servizi vaccinali nelle carceri, elaborare linee guida e identificare buone pratiche per programmi di immunizzazione efficaci. Verranno inoltre sviluppate risorse per la formazione e l’istruzione e per migliorare la conoscenza dei vaccini tra i detenuti e personale. «I detenuti hanno tra i più bassi tassi di copertura vaccinale in Europa – continua la dottoressa Tavoschi – Le conseguenze per la loro salute sono tanto maggiori in quanto sono anche uno dei gruppi di persone più a rischio per una serie di malattie infettive che i vaccini possono prevenire. Diversi fattori li rendono più vulnerabili: tendono a provenire da ambienti socialmente svantaggiati, spesso hanno scarsi livelli di istruzione, hanno maggiori probabilità di intraprendere comportamenti ad alto rischio e hanno scarso accesso a cure sanitarie adeguate. Di conseguenza, l'introduzione di programmi di immunizzazione più diffusi, coerenti ed efficaci nelle strutture carcerarie di tutta Europa ha il potenziale per offrire enormi benefici in termini di salute e benessere non solo ai detenuti, ma anche al resto della popolazione generale».
Nell’affrontare il problema, il progetto RISE-Vac riunisce le competenze e l'esperienza di numerosi esperti provenienti da più settori che lavorano nel campo della salute carceraria. I partner del progetto sono: Frankfurt University of Applied Sciences (Germania), ASST Santi Paolo e Carlo Presidio Ospedale San Carlo Borromeo (Milano), Department of Health - Public Health England (UK), National Administration of Penitentiaries (Moldova), Centre Hospitalier Universitaire Montpellier (Francia), Health Without Barriers (Italia), Cyprus National Addictions Authority (Cipro), Ministry of Justice and Public Order - Cyprus Prison Department (Cipro).
Più una macchina-robot ci somiglia, più ci fidiamo
Tendiamo a fidarci delle macchine e dei robot quanto più li sentiamo simili a noi e ci emozionano. E’ questo quanto emerge da una ricerca dell’Università di Pisa pubblicata su Scientific Reports e condotta insieme alle Università di Londra, Malaga e Jena.
Il team di economisti comportamentali e bioingegneri dell’Ateneo pisano ha replicato uno esperimento molto noto in economia per analizzare la tendenza a fidarsi delle promesse. Il test, che prende il nome di due economisti, Gary Charness e Martin Dufwenberg, ha coinvolto circa 160 studenti dell’Università di Pisa che sono stati messi alla prova in diversi tipi di interazione: fra umani, fra umani-computer e umani-robot umanoide.
“I risultati hanno dimostrato che i partecipanti tendono a fidarsi maggiormente del robot umanoide (e quindi delle sue promesse) rispetto ad altri tipi di agenti artificiali - sottolinea Caterina Giannetti, ricercatrice di economia applicata dell’Ateneo pisano – e questo proprio in virtù della somiglianza con gli esseri umani e della capacità di suscitare emozioni”.
Le conclusioni dello studio tendono dunque a smentire alcune vecchie teorie secondo le quali gli agenti artificiali troppo simili all’uomo possono ‘spaventare’, e questo aprirebbe nuove prospettive sull’impiego dei robot umanoidi in diversi contesti ad esempio per assistere le persone in banca o presso altre società di servizio o come supporto all’interno dei gruppi di lavoro. “Dal punto di vista degli economisti – conclude Giannetti - la sfida è certamente quella di capire in che modo un robot umanoide possa impattare su decisioni economiche rilevanti, considerando che agenti artificiali sono ormai quotidianamente coinvolti in molti aspetti della nostra vita”.
Caterina Giannetti, ricercatrice del dipartimento di Economia e Management, ha collaborato allo studio insieme ai colleghi del Centro di Ricerca Enrico Piaggio dell’Università di Pisa, in particolare al professore Pasquale Scilingo e ai dottori Lorenzo Cominelli, Mimma Nardelli e Roberto Garofalo. Fanno parte del gruppo di economisti stranieri, Francesco Feri, Miguel A. Melendelez, e Oliver Kirchkamp. La ricerca è stata finanziata dall’Università di Pisa nell’ambito del progetto di ateneo 2018-2019 "Istituzioni, Mercati imperfetti e problemi di Policy” e dal CrossLab project del MIUR (Ministero dell'Istruzione dell'Università e della Ricerca).
Più una macchina-robot ci somiglia, più ci fidiamo
Tendiamo a fidarci delle macchine e dei robot quanto più li sentiamo simili a noi e ci emozionano. E’ questo quanto emerge da una ricerca dell’Università di Pisa pubblicata su Scientific Reports e condotta insieme alle Università di Londra, Malaga e Jena.
Il team di economisti comportamentali e bioingegneri dell’Ateneo pisano ha replicato uno esperimento molto noto in economia per analizzare la tendenza a fidarsi delle promesse. Il test, che prende il nome di due economisti, Gary Charness e Martin Dufwenberg, ha coinvolto circa 160 studenti dell’Università di Pisa che sono stati messi alla prova in diversi tipi di interazione: fra umani, fra umani-computer e umani-robot umanoide.
I tre set di interazione: Robot Face, umano, computer
“I risultati hanno dimostrato che i partecipanti tendono a fidarsi maggiormente del robot umanoide (e quindi delle sue promesse) rispetto ad altri tipi di agenti artificiali - sottolinea Caterina Giannetti, ricercatrice di economia applicata dell’Ateneo pisano – e questo proprio in virtù della somiglianza con gli esseri umani e della capacità di suscitare emozioni”.
Le conclusioni dello studio tendono dunque a smentire alcune vecchie teorie secondo le quali gli agenti artificiali troppo simili all’uomo possono ‘spaventare’, e questo aprirebbe nuove prospettive sull’impiego dei robot umanoidi in diversi contesti ad esempio per assistere le persone in banca o presso altre società di servizio o come supporto all’interno dei gruppi di lavoro. “Dal punto di vista degli economisti – conclude Giannetti - la sfida è certamente quella di capire in che modo un robot umanoide possa impattare su decisioni economiche rilevanti, considerando che agenti artificiali sono ormai quotidianamente coinvolti in molti aspetti della nostra vita”.
Caterina Giannetti, ricercatrice del dipartimento di Economia e Management, ha collaborato allo studio insieme ai colleghi del Centro di Ricerca Enrico Piaggio dell’Università di Pisa, in particolare al professore Pasquale Scilingo e ai dottori Lorenzo Cominelli, Alberto Greco, Mimma Nardelli e Roberto Garofalo. Fanno parte del gruppo di economisti stranieri, Francesco Feri, Miguel A. Melendelez, e Oliver Kirchkamp. La ricerca è stata finanziata dall’Università di Pisa nell’ambito del progetto di ateneo 2018-2019 "Istituzioni, Mercati imperfetti e problemi di Policy” e dal CrossLab project del MIUR (Ministero dell'Istruzione dell'Università e della Ricerca).