Il 19 febbraio 2016 il Centro Interdipartimentale di Ricerca NUTRAFOOD – Nutraceutica e Alimentazione per la Salute dell’Università di Pisa organizza il convegno “La carne che mangiamo: quale, come, quando e perché”. L'obiettivo è promuovere un dibattito sulle evidenze scientifiche che hanno portato l’Organizzazione Mondiale della Sanità, attraverso l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC), a classificare la carne rossa come probabile cancerogeno e la carne trasformata come cancerogena per gli esseri umani.
Il professor Marcello Mele, docente del dipartimento di Scienze agrarie, alimentari e agro-ambientali e del Centro NUTRAFOOD dell'Università di Pisa, propone una riflessione sull'argomento, mettendo in evidenza le differenze all'interno della macrocategoria "carni trasformate".
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La carne, in particolare quella denominata "rossa", da anni è al centro di molte discussioni in merito al suo valore nutrizionale e alla possibilità che il suo consumo possa contribuire in maniera significativa ad aumentare il rischio di patologie generative gravi come alcune forme di tumore. Ad alimentare questo clima di sospetto ha contribuito attivamente una recente nota del gruppo di lavoro dell’agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC).
Lo IARC, infatti, ha licenziato un rapporto, allo stato non consultabile, ma riassunto in una breve nota di due pagine pubblicata sulla sezione news della rivista Lancet Oncology, nella quale 22 scienziati hanno ritenuto carcinogenico, relativamente al colon-retto, il consumo di carni rosse conservate e probabilmente carcinogenico quello di carni rosse. Pur riconoscendo l’alto valore nutrizionale delle carni, il responso del panel ha portato lo IARC a classificare le carni conservate nel gruppo 1 (sostanze carcinogeniche per gli umani) e le carni rosse in quello 2A (sostanze probabilmente carcinogeniche per gli umani).
Come membro della comunità scientifica pisana che studia gli alimenti e le loro proprietà nutrizionali e funzionali (organizzata nel centro NUTRAFOOD) non sono rimasto per nulla sorpreso da questa nota dello IARC, in quanto il gruppo di esperti giunge a delle conclusioni sulla base di evidenze scientifiche, prevalentemente originate da studi epidemiologici, che sono note da tempo. Sorprende tuttavia che ancora una volta sia stato ignorato il concetto, più volte ribadito dagli esperti di alimenti, che la definizione di carni rosse e carni trasformate è troppo generica e non aiuta a fare chiarezza sul reale ruolo nutrizionale dei numerosi alimenti che vengono ascritti a queste due macrocategorie.
Solo a titolo di esempio, nella categoria carne trasformata/conservata trovano posto tutti gli alimenti carnei che subiscono un qualche processo di trasformazione e di conservazione. Si va, quindi, dal würstel e la mortadella al salame, alla bresaola e al prosciutto crudo, solo per fare alcuni esempi molto noti. Le caratteristiche chimiche, nutrizionali, funzionali e salutistiche di questi prodotti sono assai differenti, perché molto diversi sono le caratteristiche delle materie prime di partenza, i processi di produzione dell materia prima e di trasformazione e di conservazione utilizzati e gli eventuali additivi utilizzati. Ciononostante nessuno degli studi epidemiologici che supportano le evidenze scientifiche a sostegno della cancerogenità della carne trasformata ha mai provato a distinguere l’effetto dei singoli componenti della macrocategoria “carni trasformate”, facendo passare l’assunto che mangiare 50 g di prosciutto crudo toscano, di Parma o di San Daniele (per citare alcune delle eccellenze DOP italiane) sia esattamente la stessa cosa che mangiare una pari quantità di würstel, dal punto di vista del rischio di tumore al colon retto.
Il concetto di variabilità degli alimenti e di rapporto fra sistemi di produzione del cibo e qualità del cibo sono, in buona sostanza, poco o nulla considerati negli studi epidemiologici ed è convinzione degli esperti del centro NUTRAFOOD che questo aspetto debba essere affrontato in maniera multidisciplinare, nell’interesse di una comunicazione chiara e utile al consumatore per effettuare scelte consapevoli.
Dello stesso avviso è anche l’Associazione Scientifica per le Scienze e le Produzioni Animali (ASPA) che ha recentemente promosso, con il contributo dell’ASSALZOOO, la realizzazione del libro “Alimenti di origine animale e salute”, curato dal professor Giuseppe Pulina dell’Università di Sassari oltre che dal sottoscritto, proprio per meglio comunicare il reale ruolo degli alimenti di origine animale per la salute umana, con l’intento di fare chiarezza sugli aspetti legati alla grande diversità chimica, nutrizionale e funzionale che esiste tra gli alimenti di origine animale, compresa la cosiddetta carne rossa e trasformata.
Con il convegno “La carne che mangiamo quale, come, quando e perché”, il Centro Interdipartimentale di Ricerca NUTRAFOOD – Nutraceutica e Alimentazione per la Salute dell’Università di Pisa vuole contribuire a promuovere un dibattito in merito alla qualità e alla quantità di carni che finiscono sulle nostre tavole, i rischi per la salute che possono derivare dagli eccessi o dalla mancanza di carne, i benefici che provengono da un consumo adeguato e, infine, in quali momenti della vita è particolarmente importante il consumo di carne.
Marcello Mele
Si è conclusa la missione scientifica nel Belucistan iraniano dei professori Michele Marroni e Luca Pandolfi, docenti del dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa. I due geologi, assieme al professor Emilio Saccani dell’Università di Ferrara, hanno condotto dal 31 gennaio al 14 febbraio ricerche sulla catena del Makran nella parte centrale del Belucistan, la regione al confine tra il Pakistan e l’Iran.
«L’obiettivo era cercare i resti dei grandi oceani che dal Giurassico al Cretaceo Superiore, tra 160 e 80 milioni di anni fa, erano localizzati ai margini meridionali della placca euroasiatica – spiega il professor Marroni – Questi oceani sono stati successivamente chiusi tramite la subduzione di litosfera oceanica, scomparendo definitivamente e dando luogo alla nascita della catena del Makran. Resti della litosfera oceanica si sono però preservati come rocce metamorfiche e deformate all’interno della catena e proprio questi resti hanno costituito l’obiettivo dei ricercatori pisani. Dallo studio di queste rocce, tramite le analisi di terreno e di laboratorio, sarà possibile ricostruire la storia di questi oceani e quindi conoscere la paleogeografia di questa area, che è tra le meno studiate al mondo».
Il Belucistan è una vasta zona desertica dove si alternano montagne alte fino a 2000 metri a deserti di sabbia. La missione si è svolta dunque in zone difficili sia dal punto di vista dell’accessibilità, che da quello della logistica ed è stata possibile solo grazie all’utilizzo di guide locali e di fuoristrada. Nonostante le difficoltà, è stato possibile raccogliere importanti dati di terreno e numerosi campioni di rocce in aree geologicamente significative.
La missione, che è stata effettuata assieme ai colleghi iraniani Morteza Delavari e Ashgar Dolati, nasce dal recente accordo siglato dal dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa con la Faculty of Geology della Kharazmi University di Teheran e si inquadra nel programma “Darius”, un vasto programma di ricerca finanziato da un pool di compagnie petrolifere che coinvolge numerosi ricercatori sia europei e che mediorientali.
La missione in Belucistan segna l’inizio di una importante collaborazione scientifica tra i due atenei che si inquadra nella progressiva apertura dell’Iran ai rapporti con i paesi della comunità europea, sulla scia della recente visita di Hassan Rouhani, Presidente della Repubblica Iraniana. É prevista la prosecuzione delle ricerche mediante una ulteriore campagna di terreno in Belucistan programmata verso la fine del 2016.
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Nelle foto:
- in alto, Luca Pandolfi (a sinistra) e Michele Marroni al lavoro nel settore a SE della città di Kahunj nel bordo meridionale della depressione desertica di Hamun-e Jaz Murian (provincia di Kerman)
- al centro i depositi eocenici deformati del settore esterno della catena del Makran sovrastano delle palme da dattero, prodotto tipico della provinicia di Kerman
- in basso una visione, da sud verso nord, della parte interna della catena montuosa del Makran fotografata dal settore più rilevato della catena (circa 2000m) 150 km a sud della città di Kahunj.
Ne hanno parlato:
InToscana.it
Greenreport
QuiNewsPisa
Controcampus
Uno studio su un paziente affetto da Insonnia Fatale Familiare (FFI) ha evidenziato per la prima volta nell’uomo il ruolo chiave del talamo nell’attivare le fasi di sonno profondo. La ricerca, coordinata dal professore Angelo Gemignani dell’Università di Pisa, è stata condotta in collaborazione con l’equipe del professore Pietro Cortelli dell’Università di Bologna e con ricercatori e i contrattisti dell’Istituto di Fisiologia Clinica del Cnr di Pisa e della Scuola Superiore Sant’Anna.
L’Insonnia Fatale Familiare (FFI) è una rara patologia ereditaria legata ad un accumulo abnorme di proteina prionica nei nuclei anteriore e medio-dorsale del talamo che conduce ad una lesione talamica selettiva. La malattia si manifesta con insonnia gravissima che conduce a morte entro uno/due anni circa dalla diagnosi. Nel caso specifico, il paziente affetto da FFI, un italiano la cui storia è stata recentemente raccontata in un lungo reportage della BBC, presentava una drammatica riduzione delle oscillazioni lente del sonno e dei fusi del sonno. L’assenza di fusi nella fase di attività neuronale dell’oscillazione lenta esprime un’alterazione delle funzioni mnesiche del sonno mentre alterazioni della fase di silenzio elettrico e sinaptico compromettono sia il mantenimento del sonno che l’assenza di coscienza.
“Sono anni che ci occupiamo di psicofisiologia del sonno – ha spiegato Angelo Gemignani – e il caso di questo paziente ha consentito di verificare un’ipotesi formulata nel modello animale e di capire meccanismi generali relativi al sonno che potranno permettere di creare nuove strategie terapeutiche sia nell’ambito della sofferenza psicologica che nel campo delle patologie neurodegenerative”.
Dalla gravità alterata, fino a 20 volte maggiore rispetto a quella terrestre, e dall’impiego di un nanomateriale smart, arriveranno indicazioni per contrastare la produzione di radicali liberi, sostanze che contribuiscono all’invecchiamento cellulare. Nell’ambito della settima edizione della campagna “Spin your thesis!”, il gruppo di ricercatori “PlanOx”, è stato selezionato dell’Agenzia Spaziale Europea, con altri tre gruppi europei, per condurre gli esperimenti in gravità alterata all’interno della “Large diameter centrifuge”, “centrifuga”, dal diametro di otto metri, posizionata nel “Centro Europeo di Ricerca Spaziale e Tecnologica”, a Noordwijk, nei Paesi Bassi.
Il team di ricerca PlanOx, coordinato da Gianni Ciofani, professore associato del Politecnico di Torino e ricercatore presso il centro di Micro-BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna e Istituto Italiano di Tecnologia (CMBR - IIT), è frutto della collaborazione con Alessandra Salvetti, professoressa associata del dipartimento di Medicina clinica e sperimentale dell’Università di Pisa (la prima a destra nella foto).
Il nome del gruppo, PlanOx, fa riferimento a quello delle planarie, vermi che presentano un corpo piatto e allungato, dalle dimensioni di pochi millimetri. Le planarie sono caratterizzate da una straordinaria capacità rigenerativa e possono essere considerate immortali grazie alla presenza di cellule staminali che continuamente sostituiscono le celle perse dal corpo dell’animale.
Da anni il gruppo di ricerca di Alessandra Salvetti utilizza questi animali come sistema modello per lo studio in vivo della biologia delle cellule staminali e, grazie alla collaborazione con Gianni Ciofani e Giada Genchi dell’IIT-Sant’Anna, esperti di “smart material “ nanotecnologici, questi animali serviranno anche per capire come sia possibile contrastare gli effetti della forza di gravità superiore a quella terrestre sulla produzione di radicali liberi utilizzando le nanoparticelle di ceria, nanoparticelle ceramiche, biocompatibili, dall'eccezionale capacità antiossidante ed autorigenerante che sono in grado di contrastare l'insorgenza di radicali liberi.
Alterazioni della forza di gravità aumentano infatti la produzione di radicali liberi nelle cellule e contribuiscono all’invecchiamento cellulare. Questo meccanismo sembra essere implicato, ad esempio, nella degenerazione muscolare e ossea cui vanno incontro gli astronauti durante periodi di esposizione a gravità alterata. I risultati che il gruppo PlanOx otterrà potranno dimostrarsi utili non soltanto per trattare le problematiche legate all'esposizione a regimi di gravità alterata, ma anche, in futuro, per il trattamento di malattie degenerative causate dall'aumento incontrollato di radicali liberi.
Gli esperimenti in Olanda sono già stati fissati per settembre 2016, mentre una parte rilevante dello studio avverrà in Italia: le analisi sui campioni da utilizzare sulla “Large Diameter Centrifuge” saranno condotte presso il Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale dell’Università di Pisa e il Centro di Micro-BioRobotica dell’IIT di Pontedera.
Sono stati inaugurati il 15 febbraio i nuovi spazi del Centro Linguistico dell’Università di Pisa, cinque laboratori a Palazzo Curini (in via Santa Maria 89), di cui tre interamente costruiti ex novo e due rinnovati, che mettono a disposizione degli studenti in totale 138 postazioni per studiare le lingue. Aggiunte alle preesistenti 30 presso la sede del CLi in via Santa Maria 36, sono 168 le postazioni complessive in ambienti attrezzati per proiezioni, videoconferenze, ascolto e produzione, sia in forma guidata che in autoapprendimento, che possono essere utilizzate dagli studenti. All’inaugurazione erano presenti anche il prorettore vicario Nicoletta De Francesco, che ha portato i saluti del rettore, e il professor Sandro Paci, prorettore all’edilizia, che ha illustrato gli interventi di recupero di Palazzo Curini.
«I laboratori sono un servizio necessario per gli studenti che devono sostenere esami di lingua straniera e nella prospettiva dell’internazionalizzazione, ma non solo – ha dichiarato Marcella Bertuccelli, direttore del CLi – Nell’anno accademico 2014-15 sono passati dai nostri laboratori linguistici 5187 studenti iscritti ai corsi di laurea nei quali è prevista l’acquisizione dell’idoneità in una lingua straniera, e 5096 studenti che hanno frequentato corsi CLi (di tutte le lingue europee oltre a cinese, giapponese e arabo), per un totale di oltre 11.000 presenze, che rendono il nostro Centro un’eccellenza dell’Ateneo».
A queste presenze si devono sommare gli studenti internazionali Erasmus, i partecipanti ai progetti curati dall’Ufficio internazionale dell’Università di Pisa, gli studenti di corsi per certificazioni internazionali, gli studenti e dottorandi della Scuola Normale e della Scuola Sant’Anna in convenzione con l’Ateneo pisano per gli insegnamenti linguistici, gli insegnanti di scuola primaria e secondaria all'interno di progetti regionali e ministeriali di formazione linguistica come il CLIL. «Se a questi si aggiungono le sedute di autoapprendimento, si raggiungono numeri considerevoli che impegnano i laboratori linguistici tutti i giorni e per diverse ore al giorno – conclude la professoressa Bertuccelli – Le richieste sono in costante aumento e il nostro auspicio è che il Centro possa continuare a crescere sul lato dell’utenza, ma anche nei numeri del suo personale tecnico, indispensabile e fondamentale per assistere ogni giorno i ragazzi nelle attività dei laboratori».
Le donne sono più empatiche degli uomini e a dimostrarlo è la contagiosità degli sbadigli che per il sesso femminile è maggiore. E’ questo il risultato di una ricerca condotta da un gruppo di etologi dell’Università di Pisa che è stata appena pubblicata sulla “Royal Society Open Science”, la rivista della Royal Society britannica. Ivan Norscia, Elisa Demuru ed Elisabetta Palagi del Museo di Storia Naturale dell’Ateneo pisano hanno osservato per cinque anni, dal 2010 al 2015, un campione composto da 48 uomini e 56 donne durante le loro usuali attività quotidiane. La ricerca non solo ha confermato che parenti e amici si contagiano più frequentemente rispetto alle persone che si conoscono appena, ma ha anche rivelato per la prima volta che le donne rispondono più frequentemente degli uomini agli sbadigli altrui.
Com’è noto la contagiosità degli sbadigli è un fenomeno che ha basi empatiche e infatti l’empatia si basa sulla capacità di recepire e fare proprie le espressioni facciali altrui attraverso un meccanismo che a livello neuronale è mediato dai neuroni a specchio che ci rendono sensibili alle emozioni degli altri.
“Con il nostro studio abbiamo dimostrato anche a livello etologico la maggiore capacità empatica delle donne – ha spiegato Elisabetta Palagi – una capacità già radicata profondamente nella natura materna e confermata da numerose evidenze psicologiche, cliniche e neurobiologiche”.
Ne hanno parlato:
Repubblica.it
Ansa Toscana
Ansa Salute&Benessere
Tirreno.it
InToscana.it
Focus.it
Panorama.it
PisaInformaFlash.it
Controradio.it
AgenziaImpress.it
CorriereFiorentino.it
Tiscali.itLa Nazione Pisa
La professoressa Ann Katherine Isaacs, delegata del rettore dell’Università di Pisa per i Programmi europei, è stata nominata dal MIUR rappresentante per l’Italia del gruppo di lavoro della Commissione Europea “ET 2020 Working group on the Modernisation of Higher Education” per il biennio 2016-2018. Il comitato internazionale opererà nell’ambito del Quadro strategico sulla cooperazione europea nell’istruzione e nella formazione, Education and Training 2020 (ET 2020), e favorirà lo scambio di buone pratiche, l’apprendimento reciproco, la raccolta e la diffusione di informazioni tra i partner europei.
Il progetto dell’Unione Europea per la modernizzazione dell'insegnamento superiore fissa cinque priorità principali: aumentare il numero dei laureati, migliorare la qualità e la pertinenza dell'insegnamento e dell'apprendimento, promuovere la mobilità degli studenti e del personale universitario, rafforzare il "triangolo della conoscenza" tra istruzione, ricerca e innovazione e creare meccanismi efficaci di governance e finanziamento per l'istruzione superiore. I gruppi di lavoro Et 2020 lavoreranno per definire strumenti comuni e linee guida per il raggiungimento di questi obiettivi.
Proclamati i vincitori del “EvoDiAMoND Graphics”, il concorso di idee lanciato dall’Università di Pisa che ha premiato l’incontro fra arti visive e scienza per comunicare al meglio il fenomeno dell'evoluzione biologica. La classe 4a B del Liceo artistico “Russoli” di Pisa (foto premiazione) si è aggiudicata il primo premio nella categoria scuole grazie ad una gif animata, mentre un gruppo di giovani ricercatori, Francesco Lami, Andrea Pecci, Valentina Peona e Marco Ricci, è risultato primo nella categoria open con una vignetta. Ai vincitori è stato assegnato un premio in denaro offerto dall'Associazione Antropologica Italiana, oltre a ingressi omaggio offerti dal Museo delle Scienze di Trento (MUSE).
La premiazione è avvenuta venerdì 12 gennaio al Polo Fibonacci dell’Università di Pisa nell'ambito della giornata EvoDiAMoND (Different Approaches and Models for a New Didactics of Evolution). L'evento, che ha visto la partecipazione di insegnanti, studenti e giovani ricercatori, ha costituito un momento di aggiornamento e discussione sui diversi aspetti dell'evoluzione biologica e sulle strategie per una sua corretta comunicazione.
L'iniziativa è stata organizzata dal Dipartimento di Biologia e dalla Scuola di Dottorato in Biologia dell'Università di Pisa con il sostegnodella Società Europea di Biologia Evoluzionistica (ESEB), della Società Italiana di Antropologia (AAI), del Museo delle Scienze di Trento (MUSE) e con la collaborazione dell'Unione degli Atei e degli Agnostici e Razionalisti (UAAR Pisa), de La Nuova Limonaia, della Società Italiana di Biologia Evoluzionistica (SIBE) e B:Kind - cowork in science.
Per la prima volta, gli scienziati hanno osservato in modo diretto le onde gravitazionali: increspature nel “tessuto” dello spaziotempo, perturbazioni del campo gravitazionale, arrivate sulla Terra dopo essere state prodotte da un cataclisma astrofisico avvenuto nell'universo profondo. Questo conferma un’importante previsione della Relatività Generale di Albert Einstein del 1915, e apre uno scenario di scoperte senza precedenti sul cosmo.
Le onde gravitazionali portano informazioni sulle loro violente origini e sulla natura della gravità, informazioni che non possono essere ottenute in altro modo. I fisici hanno determinato che le onde gravitazionali rivelate sono state prodotte nell’ultima frazione di secondo della fusione di due buchi neri in un unico buco nero ruotante più massiccio. Questo processo era stato previsto ma mai osservato prima.
Le onde gravitazionali sono state rivelate il 14 settembre 2015, alle 10:50:45 ora italiana (09:50:45 UTC, 05:50:45 am EDT), da entrambi gli strumenti gemelli Laser Interferometer Gravitational-wave Observatory (LIGO), negli Stati Uniti, a Livingston, in Louisiana, e a Hanford, nello stato di Washington. Gli osservatori LIGO, finanziati dalla National Science Foundation (NSF) e operati da Caltech e MIT, hanno registrato l’arrivo delle onde gravitazionali entro una finestra temporale di coincidenza di 10 millisecondi.
L’importante risultato, pubblicato oggi sulla rivista scientifica Physical Review Letters, è stato ottenuto, grazie ai dati dei due rivelatori LIGO, dalle Collaborazioni Scientifiche LIGO (che include la Collaborazione GEO600 e l’Australian Consortium for Interferometric Gravitational Astronomy) e VIRGO, che fa capo allo European Gravitational Observatory (EGO), fondato dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) italiano e dal Centre National de la Recherche Scientifique (CNRS) francese.
La scoperta è stata annunciata dalle collaborazioni LIGO e VIRGO nel corso di due conferenze simultanee negli Stati Uniti a Washington, e in Italia a Cascina (Pisa), nella sede di EGO, il laboratorio nel quale si trova l’interferometro VIRGO, progetto ideato, realizzato e condotto dall’INFN e dal CNRS con il contributo di Nikhef (Paesi Bassi), e in collaborazione con POLGRAW - Polska Akademia Nauk (Polonia) e Wigner Institute (Ungheria).
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Virgo nasce dall’incontro tra Adalberto Giazotto della Sezione INFN di Pisa e Alain Brillet dell’Horloge Atomique a Parigi, che hanno portato competenze di raffinata meccanica e ottica, convincendo numerosi fisici, tra cui alcuni del dipartimento di Fisica dell'Università di Pisa a lanciarsi in una avventura dagli esiti allora alquanto incerti.
Con la prima rivelazione delle onde gravitazionali il dipartimento di Fisica raccoglie i frutti di un sostegno continuo attraverso il suo personale docente, tecnico e amministrativo, alla realizzazione dell’interferometro Virgo e all’attuale fase di miglioramento, all’analisi dei dati raccolti, ai futuri sviluppi. (Nella foto sotto il gruppo di ricercatori pisani di VIRGO).
La ricerca ha visto, oltre al continuo e cospicuo finanziamento dell’INFN, diversi PRIN sugli sviluppi sperimentali, un progetto FIRB giovani sul collegamento con le osservazioni astronomiche, numerosi assegni di ricerca, tesi di laurea e di dottorato. Ha permesso a molti studenti di fisica di passare un periodo estivo presso le grandi università statunitensi e, con l’introduzione di specifici insegnamenti, ha formato numerosi giovani scienziati, molti dei quali in posizioni di rilievo proprio a LIGO. Infine la complessità ma anche il fascino di queste ricerche hanno stimolato una intensa attività di comunicazione nei confronti di un pubblico più vasto.
“La comunità scientifica pisana può essere orgogliosa che l’annuncio della scoperta sia avvenuto in simultanea a Cascina e a Washington. È una tappa storica di un continuo processo di creazione e successiva diffusione di nuove conoscenze, caratteristico dell’Università”, commenta il professor Francesco Fidecaro, direttore del dipartimento di Fisica, che è stato anche Spokesperson della collaborazione Virgo.
After three and a half years of activity TuCAHEA, a large-scale Tempus project financed by the European Commission and coordinated academically and scientifically aspects) by the University of Pisa, is coming to completion. Its ambitious aim was to create the bases and define the parameters for reforming the normative and organizational frameworks of Central Asia’s university systems, making them compatible with each other, and aligning them with the European system. The final meeting was held in Rome, in the hall of the CRUI (Italian Conference of Rectors), where high ranking representatives of the Ministries responsible for Higher Education of Kazakhstan, Kyrgyzstan, Tajikistan, Turkmenistan e Uzbekistan perfected a communiqué endorsing the results of the project and promising future collaboration.
This creates the bases, using Tuning methodology, for a CAHEA (Central Asian Higher Education Area) compatible with the 48 country EHEA (European Higher Education Area). «An area compatible with the EHEA, but not identical to it - professor Katherine Isaacs specifies – because it is built taking into account the specific social, cultural and economic requirements of the region». The Consortium includes eight subject area groups (Business, Economics, Education, Engineering, Environmental Protection, History, Language, and Law), which have created guidelines to be used in the 5 countries. Among the activities, the TuCAHEA Pilot Student Mobility, a pioneering mobility scheme, involved students of the five countries, allowing them to participate in and test a Central Asian “Erasmus”.
The TuCAHEA Consortium comprises 47 partners, including the ministries of Education and research of the five countries, 8 experienced EU universities, and 34 Central Asian universities (www.tucahea.org). The grantholder, responsible for the administration of the project, is the University of Groningen; UNIPI is responsible for the scientific and academic aspects, coordinated by Prof. Ann Katherine Isaacs.