Facchinerie, storie di immigrati in età moderna
Andrea Addobati, professore associato di Storia Moderna all’Università di Pisa, è l'autore del saggio "Facchinerie. Immigrati bergamaschi, valtellinesi e svizzeri nel porto di Livorno (1602-1847)" (Edizioni Ets, 2019).
Il volume ripercorre la storia della Compagnia dei facchini della Dogana di Livorno dalla fondazione, nel 1602, fino alla soppressione, tenendo presenti le due prospettive attraverso le quali è possibile osservarla: la prospettiva marittima, quella del porto dove gli immigrati svolgono la loro attività, e la prospettiva alpina, quella delle famiglie e delle comunità di origine. Alla fine si scoprirà che una medesima storia può essere raccontata in maniere molto diverse.
Pubblichiamo di seguito un estratto dall'introduzione del volume a sua firma.
**************
Sappiamo bene che l’immigrazione e l’integrazione dei lavoratori stranieri sono temi ampiamente dibattuti ai giorni nostri. Se ne parla a proposito e sproposito, chiamando in causa molti luoghi comuni, generalizzazioni e stereotipi che hanno poco a che vedere con la condizione dei migranti, mentre mettono allo scoperto la nostra fragilità di fronte allo spaesamento per l’odierna realtà globalizzata, che si presenta ai più come un processo di ineluttabile sfaldamento della coesione sociale, smantellamento dei diritti, e perdita di tutti quei riferimenti culturali che conferiscono un senso collettivo alla vita degli individui.
Per porre un argine all’incipiente imbarbarimento delle relazioni, e provare ad accendere una scintilla di umana empatia verso chi deve lasciar la casa per giocarsi la vita sotto altre latitudini, è stato naturale tornare a rievocare l’epopea dei nostri antenati, dispersi per il mondo con cento lire in tasca. Gli storici di professione hanno fatto la loro parte. Negli ultimi anni sono apparsi moltissimi nuovi studi sui lavoratori italiani all’estero, sui flussi migratori dell’Ottocento verso le Americhe e su quelli più recenti con destinazione l’Alta Italia, il Nord Europa e l’Australia. Le ricerche più interessanti non si sono limitate a richiamare alla memoria l’esperienza difficile degli italiani in terra straniera, hanno cercato anche di focalizzare l’attenzione sulle relazioni politiche, sociali e culturali, incrociando i punti di vista degli emigranti e delle comunità che li accolsero. Lo stesso si tenterà di fare nello studio che segue, dedicato ad un caso abbastanza lontano nel tempo, e straniante da più punti di vista. (…)
I compiti riservati ai facchini delle dogane erano molto delicati, dovevano occuparsi dei lavori di scarico e carico, dei trasporti e dell’immagazzinamento delle merci soggette alla gabella, e quindi maneggiavano i denari del principe. Guai se lo stesso compito fosse stato affidato a dei lavoratori livornesi, sarebbe stato come rinunciare al dazio. Al contrario di quanto avviene oggi, esisteva insomma un pregiudizio sull’affidabilità della manodopera locale che faceva dire al granduca: immigrants first! Se si fosse chiesto conto della prevenzione verso i locali, il granduca, e con lui tutti i benpensanti, avrebbero risposto che la loro disonestà non aveva bisogno di dimostrazioni, era sotto gli occhi di tutti, mentre la fedeltà degli immigrati dipendeva probabilmente dal fatto che avevano tutti la famiglia lontana, al paese d’origine, e nessun legame di parentela nei luoghi dove si trovavano a lavorare. (…)
Non c’è dubbio che la manodopera locale avesse il brutto vizio di allungare le mani su ciò che non le apparteneva, e che gli immigrati fossero più integerrimi e affidabili, ma solo perché i primi erano degli avventizi, dei lavoratori precari che stentavano a sbarcare il lunario, mentre gli altri potevano contare su un reddito sicuro, che garantiva loro persino una certa agiatezza. Se non fosse stata la condizione tassativa che li poneva sotto la protezione del potere, l’onestà sarebbe stata un lusso che i facchini della dogana avrebbero potuto permettersi comunque. Di sicuro era in malafede chi sosteneva che esistesse una tara morale congenita nei lavoratori locali, i cosiddetti monelli, o insisteva su un presunto divario antropologico che li avrebbe resi irrimediabilmente meno affidabili dei facchini della dogana. Allora, come adesso, i pregiudizi sugli stranieri, positivi o negativi che fossero, tornavano utili in politica.
Andrea Addobati
PRIN 2017, i primi risultati dal Miur: Unipi capofila di 5 progetti e coordinatore locale di altri 14
L’Università di Pisa è capofila di 5 Progetti di interesse nazionale (PRIN) e partner di altri 14. È questo quanto emerge dai primi dati resi noti dal Miur relativi all’assegnazione dei PRIN 2017. Al ministero al momento hanno deliberato 7 commissioni su 25 sulle tre linee di ricerca "principale, giovani e sud".
Ecco quindi i progetti vinti dall’Ateneo come ‘principal investigator’.
Per la linea di ricerca “giovani” si è aggiudicato il finanziamento del Miur il dottor Gianluca Miniaci del Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere con il progetto “‘Pharaonic Rescission’: Objects as Crucibles of ancient Egyptian Societies”. Per la linea di ricerca “principale” i vincitori per Unipi sono dal Dipartimento di Fisica i professori Dario Pisignano con il progetto “Physical Principles of Multimaterial 3D-Printing: Insights from Physics towards Industry 4.0 (3D-Phys)” e Alessandro Tredicucci con il progetto “MONolithic STRain Engineering platform for TWO-Dimensional materials (MONSTRE 2D)”; dal dipartimento di Matematica il professore Alessandro Berarducci con il progetto “Mathematical Logic: models, sets, computability”; e infine dal Dipartimento di Biologia il professore Lorenzo Peruzzi con il progetto “PLAN.T.S. 2.0 - towards a renaissance of PLANt Taxonomy and Systematics”.
L’Ateneo è inoltre partner in altri 14 progetti con i professori Simone Maria Collavini, Alessandro Polsi e Claudio Sergio Pogliano del Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere; Paolo Lisca, Roberto Dvornicich, Rita Pardini, Giuseppe Buttazzo, Mario Salvetti, Claudio Bonanno, Giovanni Alberti, Giulio Bau' del Dipartimento di Matematica; Stefano Roddaro del Dipartimento di Fisica; Benedetta Mennucci del Dipartimento di Chimica e Chimica industriale; Elisabetta Orlandini del Dipartimento di Scienze della Terra.
Imparare a operare con i robot: studio internazionale dimostra per la prima volta l’efficacia del programma di formazione
Uno studio multispecialistico internazionale ha dimostrato per la prima volta l’efficacia del programma “Fundamentals of Robotic Surgery (FRS)”, il percorso per la formazione dei chirurghi “robotici”, adottato anche dal centro di eccellenza EndoCAS dell’Università di Pisa, uno dei 12 protagonisti della sperimentazione. Lo studio ha dimostrato che gli specializzandi e gli specialisti che si avvicinano alla chirurgia robotica addestrati fino al livello di competenza previsto dal protocollo FRS eseguono qualitativamente meglio, cioè con meno errori, compiti fondamentali dell’atto chirurgico, per esempio nodi e suture, utilizzando il sistema robotico su animale.
Lo studio, iniziato nel 2014 e finanziato dall’azienda che produce il noto sistema da Vinci e dal Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, ha coinvolto 12 centri (europei e americani, inclusa una base militare per l’addestramento dei chirurghi sul campo di battaglia) selezionati tra i quasi 100 accreditati dall’American College of Surgeons per la formazione di chirurghi attraverso la simulazione. Tra questi anche il centro di eccellenza EndoCAS dell’Università di Pisa, unico in Italia a fregiarsi dell’accreditamento.
I risultati sono stati pubblicati ora su Annals of Surgery, la rivista più prestigiosa di chirurgia e verranno presentati al prossimo Surgical Simulation Summit dell’American College of Surgeons, in programma a Chicago (Stati Uniti) a marzo.
In qualità di sperimentatore principale della casistica italiana, l’ingegnere Andrea Moglia del centro EndoCAS ha condotto lo studio in collaborazione col professor Mauro Ferrari, direttore di EndoCAS, il team del professor Luca Morelli, il centro Multidisciplinare di Chirurgia Robotica dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana, diretto dalla professressa Franca Melfi, e il professor Franco Mosca che, attraverso la Fondazione Arpa da lui presieduta, ha donato al centro EndoCAS il primo simulatore per chirurgia robotica dell’azienda Mimic installato in Italia.
«Mai prima d’ora erano stati coinvolti tanti centri di simulazione in chirurgia e mai era stato condotto uno studio randomizzato che confrontasse quattro metodi di formazione (uno tradizionale e le tre piattaforme disponibili per FRS) – ha commentato Andrea Moglia – I risultati di questo studio stabiliscono per la prima volta il livello di competenza da raggiungere e dimostrano l’efficacia del programma FRS a confronto coi metodi tradizionali. FRS può essere adottato da qualunque specialità che si affaccia alla chirurgia robotica ed è pensato per essere utilizzabile anche coi sistemi robotici disponibili in futuro. Il prossimo passo sarà rendere FRS un esame obbligatorio per abilitare alla pratica della chirurgia robotica, proprio come già avviene negli Stati Uniti per la laparoscopia (FLS) e la chirurgia endoscopica (FES), veri e proprio standard». Andrea Moglia presenterà per la prima volta in Italia i risultati dello studio al congresso CRAS, in programma a Genova il 21 e 22 marzo.
Il lavoro del centro EndoCAS, che ha fornito il maggior contributo allo studio FRS, è stato elogiato da diversi esperti internazionali sulla formazione in chirurgia per la capacità del centro di completare la sperimentazione, nonostante la complessità del protocollo, dimostrando l’eccellenza della ricerca italiana anche in questo settore, nuovo e di forte interesse.
Uno studente dell’Università di Pisa nel team vincitore del concorso UrbanFarm 2019
C’è anche uno studente dell’Università di Pisa nel team PINECUBE vincitore del concorso UrbanFarm 2019, promosso dall'Università di Bologna e dall'Università di Firenze con lo scopo di premiare progetti innovativi sul tema della agricoltura urbana.
Nicola Colucci, studente del corso di laurea magistrale in Produzioni agroalimentari e gestione degli agroecosistemi dell’Ateneo pisano, ha partecipato al concorso assieme ad altri quattro ragazzi - Elisabetta Tonet dell’Università Ca' Foscari, Isabella Dagostin del Politecnico Milano, Niccolò Tagliaferri dell’Università di Bologna, Nicola Dall'Agnol dell’Università di Padova e Pamela De Biasi dell’Università di Trento. I progetti dovevano riguardare il recupero di palazzi o capannoni oramai non utilizzati da anni in tre aree urbane: l’azienda Fantoni a Bologna, una struttura nell’area Zanussi a Conegliano Veneto (Treviso) e una scuola elementare a Orzes a Belluno.
Il team PINECUBE si è classificato al primo posto con il progetto di vertical farm per il sito di Orzes a Belluno dal titolo “Hydro-Officinal Library”. L’idea progettuale prevede che la ex-scuola, ormai da anni abbandonata, possa essere trasformata in un sito produttivo di piante officinali allevate utilizzando le tecniche di coltura idroponica su più livelli per l’estrazione di oli essenziali: nel progetto è stata prevista anche la realizzazione di alcuni laboratori per svolgere attività di ricerca. Il team è stato anche premiato dall’International Society for Horticultural Science (ISHS) con il premio “Young Minds Award”, ritirato dallo studente Nicola Colucci, designato quale rappresentante del team PINECUBE.
I team iscritti al concorso UrbanFarm 2019 sono stati 35, per un totale di più di 130 studenti provenienti da quasi tutte le regioni d’Italia a cui si sono aggiunti studenti di vari paesi del mondo come Turchia, Egitto, Brasile, Canada, Cina, Francia, Inghilterra, Polonia, Kosovo, Belgio, India e Indonesia. Le squadre erano invitate a progettare sistemi innovativi di agricoltura urbana capaci di integrare le migliori innovazioni architettoniche e tecnologiche per la produzione alimentare negli ambienti urbani. La cerimonia di premiazione si è svolta nell’ambito della fiera internazionale Novel Farm svoltasi a Pordenone il 13 e 14 febbraio 2019.
Nicola Colucci, 24 anni, originario di Alberobello (BA), ha ottenuto la laurea di primo livello in Scienze agrarie presso l’università di Bologna e da appassionato della tecnica di coltura fuori suolo, ha deciso di iscriversi alla laurea magistrale all’Università di Pisa. Sotto il tutoraggio del professor Luca Incrocci, lo studente ha già iniziato a lavorare alla propria tesi di laurea che ha come argomento la comparazione quali-quantitativa della produzione di specie spontanee da utilizzarsi come insalate, coltivate in coltura fuori suolo e su terreno. Il prossimo 14 marzo partirà per la città di Almeria nel sud della Spagna, dove svolgerà, presso l’università locale, un periodo Erasmus di due mesi.
Imparare a operare con i robot: studio internazionale dimostra l’efficacia del programma di formazione
Uno studio multispecialistico internazionale ha dimostrato per la prima volta l’efficacia del programma “Fundamentals of Robotic Surgery (FRS)”, il percorso per la formazione dei chirurghi “robotici”, adottato anche dal centro di eccellenza EndoCAS dell’Università di Pisa, uno dei 12 protagonisti della sperimentazione. Lo studio ha dimostrato che gli specializzandi e gli specialisti che si avvicinano alla chirurgia robotica addestrati fino al livello di competenza previsto dal protocollo FRS eseguono qualitativamente meglio, cioè con meno errori, compiti fondamentali dell’atto chirurgico, per esempio nodi e suture, utilizzando il sistema robotico su animale.
Il kick off meeting dei centri di ricerca coinvolti nello studio.
Lo studio, iniziato nel 2014 e finanziato dall’azienda che produce il noto sistema da Vinci e dal Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, ha coinvolto 12 centri (europei e americani, inclusa una base militare per l’addestramento dei chirurghi sul campo di battaglia) selezionati tra i quasi 100 accreditati dall’American College of Surgeons per la formazione di chirurghi attraverso la simulazione. Tra questi anche il centro di eccellenza EndoCAS dell’Università di Pisa, unico in Italia a fregiarsi dell’accreditamento. I risultati sono stati pubblicati ora su Annals of Surgery, la rivista più prestigiosa di chirurgia e verranno presentati al prossimo Surgical Simulation Summit dell’American College of Surgeons, in programma a Chicago (Stati Uniti) a marzo.
In qualità di sperimentatore principale della casistica italiana, l’ingegnere Andrea Moglia del centro EndoCAS (a destra nella foto) ha condotto lo studio in collaborazione col professor Mauro Ferrari, direttore di EndoCAS, il team del professor Luca Morelli, il centro Multidisciplinare di Chirurgia Robotica dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana, diretto dalla professressa Franca Melfi, e il professor Franco Mosca che, attraverso la Fondazione Arpa da lui presieduta, ha donato al centro EndoCAS il primo simulatore per chirurgia robotica dell’azienda Mimic installato in Italia.
«Mai prima d’ora erano stati coinvolti tanti centri di simulazione in chirurgia e mai era stato condotto uno studio randomizzato che confrontasse quattro metodi di formazione (uno tradizionale e le tre piattaforme disponibili per FRS) – ha commentato Andrea Moglia – I risultati di questo studio stabiliscono per la prima volta il livello di competenza da raggiungere e dimostrano l’efficacia del programma FRS a confronto coi metodi tradizionali. FRS può essere adottato da qualunque specialità che si affaccia alla chirurgia robotica ed è pensato per essere utilizzabile anche coi sistemi robotici disponibili in futuro. Il prossimo passo sarà rendere FRS un esame obbligatorio per abilitare alla pratica della chirurgia robotica, proprio come già avviene negli Stati Uniti per la laparoscopia (FLS) e la chirurgia endoscopica (FES), veri e proprio standard». Andrea Moglia presenterà per la prima volta in Italia i risultati dello studio al congresso CRAS, in programma a Genova il 21 e 22 marzo.
Il lavoro del centro EndoCAS, che ha fornito il maggior contributo allo studio FRS, è stato elogiato da diversi esperti internazionali sulla formazione in chirurgia per la capacità del centro di completare la sperimentazione, nonostante la complessità del protocollo, dimostrando l’eccellenza della ricerca italiana anche in questo settore, nuovo e di forte interesse.
Uno studente dell’Unipi nel team vincitore del concorso UrbanFarm 2019
C’è anche uno studente dell’Università di Pisa nel team PINECUBE vincitore del concorso UrbanFarm 2019, promosso dall'Università di Bologna e dall'Università di Firenze con lo scopo di premiare progetti innovativi sul tema della agricoltura urbana. Nicola Colucci, studente del corso di laurea magistrale in Produzioni agroalimentari e gestione degli agroecosistemi dell’Ateneo pisano, ha partecipato al concorso assieme ad altri quattro ragazzi - Elisabetta Tonet dell’Università Ca' Foscari, Isabella Dagostin del Politecnico Milano, Niccolò Tagliaferri dell’Università di Bologna, Nicola Dall'Agnol dell’Università di Padova e Pamela De Biasi dell’Università di Trento. I progetti dovevano riguardare il recupero di palazzi o capannoni oramai non utilizzati da anni in tre aree urbane: l’azienda Fantoni a Bologna, una struttura nell’area Zanussi a Conegliano Veneto (Treviso) e una scuola elementare a Orzes a Belluno.
Il team PINECUBE si è classificato al primo posto con il progetto di vertical farm per il sito di Orzes a Belluno dal titolo "Hydro-Officinal Library". L’idea progettuale prevede che la ex-scuola, ormai da anni abbandonata, possa essere trasformata in un sito produttivo di piante officinali allevate utilizzando le tecniche di coltura idroponica su più livelli per l’estrazione di oli essenziali: nel progetto è stata prevista anche la realizzazione di alcuni laboratori per svolgere attività di ricerca. Il team è stato anche premiato dall’International Society for Horticultural Science (ISHS) con il premio “Young Minds Award”, ritirato dallo studente Nicola Colucci, designato quale rappresentante del team PINECUBE.
I team iscritti al concorso UrbanFarm 2019 sono stati 35, per un totale di più di 130 studenti provenienti da quasi tutte le regioni d’Italia a cui si sono aggiunti studenti di vari paesi del mondo come Turchia, Egitto, Brasile, Canada, Cina, Francia, Inghilterra, Polonia, Kosovo, Belgio, India e Indonesia. Le squadre erano invitate a progettare sistemi innovativi di agricoltura urbana capaci di integrare le migliori innovazioni architettoniche e tecnologiche per la produzione alimentare negli ambienti urbani. La cerimonia di premiazione si è svolta nell’ambito della fiera internazionale Novel Farm svoltasi a Pordenone il 13 e 14 febbraio 2019.
Nicola Colucci, 24 anni, originario di Alberobello (BA), ha ottenuto la laurea di primo livello in Scienze agrarie presso l’università di Bologna e da appassionato della tecnica di coltura fuori suolo, ha deciso di iscriversi alla laurea magistrale all’Università di Pisa. Sotto il tutoraggio del professor Luca Incrocci, lo studente ha già iniziato a lavorare alla propria tesi di laurea che ha come argomento la comparazione quali-quantitativa della produzione di specie spontanee da utilizzarsi come insalate, coltivate in coltura fuori suolo e su terreno. Il prossimo 14 marzo partirà per la città di Almeria nel sud della Spagna, dove svolgerà, presso l’università locale, un periodo Erasmus di due mesi.
Assegnato il premio di studio intitolato al professor Francesco Barone
Con una tesi di dottorato dal titolo “Loquentes magistri. Giordano Bruno e l’arte della lettura”, Laura Carotti si è aggiudicata il “Premio Barone”, promosso dal Rotary Club Viareggio Versilia con il patrocinio dell’Università di Pisa. Il premio di studio è attribuito alla migliore tesi di dottorato di ricerca di argomento filosofico discussa presso le istituzioni accademiche della Toscana ed è intitolato alla memoria del professor Francesco Barone, filosofo ed epistemologo tra i maggiori protagonisti della cultura italiana del Novecento, illustre docente di Filosofia teoretica presso l’Università di Pisa e la Scuola Normale di Pisa, già presidente del Club e Governatore del Distretto 2070, scomparso nel 2001.
La premiazione si è svolta alla presenza del presidente del Rotary Club Viareggio Versilia, Carlo Bigongiari, coadiuvato in questa occasione dal consigliere Sandro Paci, docente presso la Scuola di Ingegneria dell’Università di Pisa. Alla cerimonia ha preso parte anche il governatore del Distretto Rotary 2071, Giampaolo Ladu, accompagnato dai familiari del professor Barone.
La vincitrice del premio è stata individuata da una apposita commissione, composta dal presidente del Rotary Club Viareggio Versilia, Carlo Bigongiari, dal direttore del dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere di Pisa, Pierluigi Barrotta, da due docenti dell’Università di Pisa, Simonetta Bassi ed Enrico Moriconi, dal consigliere del Rotary Club, Sandro Paci, e da un rappresentante della famiglia del professor Barone.
Il primo master anticorruzione e antimafia italiano diventa itinerante e interateneo
In programma a Pisa il prossimo 14 marzo la lezione di Raffaele Cantone, attuale presidente dell'Autorità nazionale anticorruzione.
Nuova veste per il Master APC – Analisi, prevenzione e contrasto della criminalità organizzata e della corruzione, nato a Pisa nove anni fa e che oggi, grazie a una convenzione stipulata con Libera e con le università di Torino, Napoli e Palermo, diventa interuniversitario e itinerante. Con l’obiettivo di perfezionare l’offerta formativa, i moduli si terranno nelle diverse sedi universitarie dove si svolgeranno le lezioni: da Torino farà rotta verso sud passando per Pisa, Napoli e Palermo. I corsi sono partiti alcuni giorni fa a Torino con una lectio magistralis di don Luigi Ciotti e arriveranno a Pisa nelle prossime settimane, con un ospite speciale atteso per il 14 marzo: Raffaele Cantone, attuale presidente dell'Autorità nazionale anticorruzione, in un incontro organizzato insieme al dottorato di giurisprudenza.
Il master, diretto dal professor Alberto Vannucci, professore di Scienza politica dell’Ateneo pisano e membro dell’ufficio di presidenza di Libera, manterrà la sua sede amministrativa a Pisa, dove è nato e dove conta già otto edizioni: «Grazie a questa nuova formula, gli allievi potranno non solo fruire delle lezioni in aula tenute dai più importanti studiosi dei temi oggetto del master, ma avranno la possibilità di sperimentare e applicare sul campo – incontrando le esperienze amministrative e del terzo settore di più città italiane – gli strumenti teorici acquisiti – spiega Vannucci - Questa metodologia ha lo scopo di fornire agli studenti una preparazione alla frontiera delle conoscenze e delle esperienze più significative, andando a formare figure professionali in grado di leggere in una prospettiva interdisciplinare i fenomeni criminali nella loro complessità, acquisendo competenze sui più efficaci strumenti utili a pianificarne il contrasto e a ideare percorsi di prevenzione».
Il master prevede la partecipazione di oltre 60 relatori, più di 320 ore frontali, un tirocinio finale per l’elaborazione di una tesi da discutere. La teoria si integrerà con esperienze sul campo e iniziative extra didattiche promosse e organizzate dalla rete territoriale di Libera. Gli studenti avranno la possibilità di seguire quattro moduli tematici, uno per ciascun ateneo: «Questa nuova organizzazione è un importante segnale di condivisione – conclude Vannucci – nella consapevolezza che la conoscenza è precondizione di qualsiasi reazione istituzionale, che il sapere critico è l'arma più potente contro mafiosi e corrotti. Di qui un impegno assunto assieme a Libera dalle quattro università per l'elaborazione di un percorso formativo congiunto, volto alla formazione delle coscienze e delle competenze necessarie dei futuri "professionisti dell'etica».