Contenuto principale della pagina Menu di navigazione Modulo di ricerca su uniPi

farmaciUno studio italiano ha individuato un nuovo potenziale approccio terapeutico per la Sclerosi laterale amiotrofica (SLA), evidenziando l’efficacia di un farmaco nel rallentare la progressione della neurodegenerazione e nell’aumentare la sopravvivenza dei modelli murini.

Il gruppo di ricerca, coordinato da Alberto Ferri e Cristiana Valle della Fondazione Santa Lucia IRCCS di Roma e dell’Istituto di farmacologia traslazionale del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ift), ha dimostrato che i meccanismi molecolari alla base delle disfunzioni metaboliche correlate con la SLA possono essere normalizzati da un farmaco, la Trimetazidina, suggerendo che questo approccio possa contribuire a rallentare il decorso della malattia. Il farmaco, già in uso per altre patologie, è stato sperimentato su un modello murino di SLA dove ha agito ripristinando il corretto bilancio energetico cellulare e ostacolando lo sviluppo di processi infiammatori e neurodegenerativi, sia nel midollo spinale che nel nervo periferico. Questa azione neuroprotettiva si è manifestata rallentando la degenerazione dei motoneuroni e della giunzione neuromuscolare e incrementando la forza muscolare.

Foto ElisaQuesto importante risultato è frutto di uno studio preclinico finanziato da Fondazione AriSLA che ha coinvolto diversi centri nazionali e internazionali, tra cui l’Università di Pisa con il lavoro di Elisabetta Ferraro, ricercatrice del Dipartimento di Biologia (nella foto a destra). L’incontro tra le competenze della dott.ssa Ferraro, che studiava da anni il potenziale ruolo protettivo della Trimetazidina sul muscolo scheletrico, e di quelle di Alberto Ferri e di Cristiana Valle, che si occupano della patologia SLA, ha dato origine a questo studio che è stato pubblicato sulla rivista scientifica British Journal of Pharmacology.

“Il nostro laboratorio si occupa da anni della comprensione dei meccanismi molecolari che sono alla base delle disfunzioni metaboliche precoci nella SLA”, spiega Alberto Ferri, ricercatore del Cnr-Ift e responsabile del Laboratorio di neurochimica della Fondazione Santa Lucia IRCCS di Roma dove si è svolto lo studio. “L’obiettivo che ci siamo posti è identificare nuovi potenziali approcci terapeutici promuovendo sia lo sviluppo di nuovi farmaci che l’utilizzo di farmaci già approvati, come la Trimetazidina, oggetto di questo studio. L’utilizzo di questo farmaco, che agisce come modulatore metabolico e già utilizzato nella terapia delle disfunzioni coronariche, ha permesso di normalizzare la spesa energetica in un modello preclinico, migliorando le performance motorie e prolungando in modo significativo la sopravvivenza degli animali. Siamo soddisfatti di questi risultati, che hanno contribuito a disegnare uno studio clinico pilota condotto dal gruppo di ricerca australiano dell’Università di Queensland, con cui abbiamo collaborato, per verificare innanzitutto la sicurezza di questo farmaco in pazienti fragili come quelli affetti da SLA”.

Il gruppo di Elisabetta Ferraro si è occupato di analizzare alcuni aspetti del metabolismo e dell’atrofia muscolare nonché gli aspetti molecolari relativi alla giunzione neuromuscolare nei modelli in studio in seguito alla somministrazione di Trimetazidina. “Vedere potenzialmente applicabili anni di studio sulla possibile efficacia di questo farmaco anti-anginoso anche alle patologie muscolari e, in particolare alla SLA, dà senso al nostro lavoro, alla nostra perseveranza e a tutti le difficoltà incontrate. La nostra profonda speranza e ciò che guida le nostre azioni è che lo stesso effetto benefico osservato in preclinica si esplichi anche sui pazienti”, ha commentato la ricercatrice.

“Siamo molto felici di aver sostenuto questo studio preclinico”, commenta il presidente di Fondazione AriSLA, Mario Melazzini, “che ha prodotto risultati così importanti su aspetti rilevanti nell’identificare sul modello animale potenziali bersagli terapeutici e consentire l’avvio di uno studio clinico nello stesso ambito di ricerca. Siamo consapevoli dell’urgente bisogno di terapia per le persone che combattono contro la malattia, ma è necessario rispettare i tempi della ricerca, affinché si valuti la sicurezza e l’efficacia di ogni nuovo approccio terapeutico. Il nostro impegno come Fondazione è di continuare ad investire nell’eccellenza della ricerca con l’obiettivo di poter ottenere ulteriori risultati utili alla sconfitta della malattia”. 

La SLA è una malattia neurodegenerativa grave dell’età adulta, progressivamente invalidante, dovuta alla compromissione dei motoneuroni (le cellule responsabili della contrazione dei muscoli volontari) spinali, bulbari e corticali, che conduce alla paralisi dei muscoli volontari fino a coinvolgere anche quelli respiratori. Una parte rilevante dei pazienti affetti da SLA mostra un dispendio energetico aumentato, ovvero una condizione in cui viene utilizzata più energia di quella necessaria. Questa alterazione, detta ipermetabolismo, insieme ad una diminuzione dell’indice di massa corporea è in genere correlata con una prognosi peggiore della malattia. (Fonte Ufficio stampa Fondazione Santa Lucia IRCCS).

Il ministro delle Politiche agricole, alimentari e forestali Stefano Patuanelli ha nominato Manuela Giovannetti, professoressa emerita dell’Università di Pisa, nel Consiglio Scientifico del CREA.

Il CREA, Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria, è il più importante ente italiano di ricerca sull’agroalimentare, con 1520 ricercatori e tecnici e 66 aziende agricole sperimentali. Il Consiglio scientifico è l'organo di coordinamento e di indirizzo scientifico del CREA, resta in carica per quattro anni, ed è composto da dodici esperti nominati dal Ministro delle Politiche agricole alimentari e forestali, di cui un terzo eletti dai Centri di ricerca dell'Ente, e i restanti scelti dal Ministro tra scienziati italiani e stranieri di alta qualificazione a livello internazionale, con professionalità ed esperienza nei settori di competenza del CREA.

La professoressa Manuela Giovannetti ha insegnato Microbiologia agraria all’Università di Pisa fino al 2020. È stata direttrice del Centro interdipartimentale di ricerca "Nutraceutica e alimentazione per la salute", preside della Facoltà di Agraria dal 2007 al 2012 e, precedentemente al CNR, direttrice del Centro Studio per la Microbiologia del Suolo. Nel 2013 è stata insignita dell’Ordine del Cherubino e nel luglio 2021 è stata nominata professoressa emerita.

Manuela GiovannettiIl Ministro delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali Stefano Patuanelli ha nominato Manuela Giovannetti, professoressa emerita dell’Università di Pisa, nel Consiglio Scientifico del CREA.

Il CREA, Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria, è il più importante Ente italiano di ricerca sull’agroalimentare, con 1520 ricercatori e tecnici e 66 aziende agricole sperimentali. Il Consiglio scientifico è l'organo di coordinamento e di indirizzo scientifico del CREA, resta in carica per quattro anni, ed è composto da dodici esperti nominati dal Ministro delle Politiche agricole alimentari e forestali, di cui un terzo eletti dai Centri di ricerca dell'Ente, e i restanti scelti dal Ministro tra scienziati italiani e stranieri di alta qualificazione a livello internazionale, con professionalità ed esperienza nei settori di competenza del CREA.

La professoressa Manuela Giovannetti ha insegnato Microbiologia agraria all’Università di Pisa fino al 2020. È stata direttrice del Centro interdipartimentale di ricerca "Nutraceutica e alimentazione per la salute", preside della Facoltà di Agraria dal 2007 al 2012 e, precedentemente al CNR, direttrice del Centro Studio per la Microbiologia del Suolo. Nel 2013 è stata insignita dell’Ordine del Cherubino e nel luglio 2021 è stata nominata professoressa emerita.

Si è concluso con un convegno, una cerimonia e un brindisi nella Sala delle Baleari del Comune di Pisa il progetto “PartecipiAMO! Pisa città per i Giovani”, un intenso percorso avviato a maggio e destinato a incrementare la cultura partecipativa raccogliendo percezioni, vissuti e il sentire dei giovani pisani nella fascia di età compresa fra 16 e 30 anni. Tra questi, liceali, universitari e lavoratori.

Il progetto, presentato dalla Direzione Politiche Giovanili del Comune di Pisa e realizzato in partnership col CAFRE, il Centro interdipartimentale per l’Aggiornamento, la Formazione e la Ricerca Educativa dell’Università di Pisa, ha ricevuto il sostegno dell’Autorità regionale per la garanzia e promozione della partecipazione.

commissione

L’indagine conoscitiva ha previsto un articolato iter con una prima fase di analisi che ha riguardato un questionario, che è stato compilato da oltre 1600 ragazzi e i suoi risultati sono stati poi incrociati con uno studio qualitativo. La chiusura è stata affidata a tavoli tematici che sono culminati in un momento di confronto pubblico: negli otto gruppi di lavoro esperti e docenti hanno animato un cantiere di idee e proposte ritagliate sui giovani.

Il direttore del CAFRE, Michele Lanzetta, che è anche responsabile scientifico del progetto “PartecipiAMO”, si mostra entusiasta dei risultati raggiunti: “si è trattato di un lavoro di squadra impreziosito dalla collaborazione fra le tre istituzioni accademiche cittadina, l’Università di Pisa, la Scuola Normale e la Scuola Sant’Anna, oltre al coinvolgimento dell’Ufficio scolastico provinciale e di altre istituzioni portatrici di interesse del territorio presenti con i loro rappresentanti in un comitato tecnico scientifico.

foto gruppo

I giovani sono stati al centro dell’intero percorso, non solo come destinatari dell’indagine conoscitiva, ma anche come somministratori del questionario e componenti dei gruppi di lavoro tematici. La formula innovativa che abbiamo sperimentato con successo grazie al supporto del Comune di Pisa e le risultanze emerse dall’indagine hanno fornito importanti spunti di riflessione confermando che la città ha grandi potenzialità e un terreno fertile per innovarsi e avvicinarsi ancora di più al mondo dei giovani”.

Fra coloro che hanno guidato i gruppi di lavoro vanno citati i professori e esperti Antonio Brogi (Dipartimento di Informatica), Franco Failli (Dipartimento di Ingegneria civile e industriale), Marco Giannini (Dipartimento di Economia e Management), Arianna Martinelli (Scuola Sant’Anna), Diana Pardini (Master CIBA), Riccardo Mascia (Conservatorio di Parma), Fausto Corvino (Scuola Sant’Anna) e Francesco Fiorino (Scuola Normale); le indagini sono state coordinate da Serena Gianfaldoni (Ingegneria gestionale) e Patrizia Magnante (Società Italiana di Sociologia).

Martedì, 21 Dicembre 2021 13:10

PO Data Center e Servizi IT

Descrizione delle attività e servizi erogati:

  • Gestione dei Data Center di Ateneo ed erogazione dei servizi IT
  • Sicurezza delle reti di Ateneo, Firewall e Infrastruttura della sicurezza della rete(Bubble Security)
  • Gestione delle Identità elettroniche, autenticazione e autorizzazione dell’utenza per l’accesso ai servizi telematici.(per gli eventi di Ateneo è attivo un servizio di credenziali temporanee disponibile all’indirizzo Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
  • Design e gestione delle infrastrutture di virtualizzazione (Servizio Private Cloud)
  • Design e gestione delle Infrastrutture di calcolo scientifico (HPC/AI) a supporto della ricerca, della didattica e del trasferimento tecnologico
  •  Gestione dell’infrastruttura di Posta elettronica e del sistema DNS/DHCP (Name Service)
  •  Gestione delle reti IoT (sensoristica, telecontrollo centrali idrotermoelettriche, sistemi di sopravvivenza e anti incendio e anti intrusione)
  •  Attività di supporto e consulenza alle strutture di Ateneo per l’acquisto di sistemi informatici
  •  Gestione degli acquisti della Centrale di Acquisto HW e del magazzino forniture IT centralizzato di Ateneo
  • Progettazione dei sistemi audio/video a supporto della didattica mista e degli eventi ufficiali di Ateneo
  • Attività di ricerca e sviluppo e trasferimento tecnologico sulle tematiche sopra elencate
  • Servizio di assistenza/consulenza verso il Sistema Informatico di Ateneo (Ticket OTRS) per tutte le suddette attività

Per informazioni e consulenza:

è possibile chiedere informazioni, consulenza o altre attività di supporto scrivendo al seguente indirizzo  Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. o contattando telefonicamente il personale della P.O: ai numeri di telefono indicati alla pagina
https://unimap.unipi.it/organizzazione/ente.php?d=982483@POII   o contattando telefonicamente il personale della Direzione Infrastrutture ai numeri di telefono indicati alla pagina https://unimap.unipi.it/organizzazione/ente.php?d=982481@DIR

 

Università di Pisa e ARPAT, Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Toscana, hanno sottoscritto un accordo quadro per rendere strutturali le rispettive collaborazioni e per promuovere iniziative congiunte per la protezione dell’ambiente, con particolare riferimento ai settori della ricerca, della formazione e della elaborazione e diffusione della conoscenza. La convenzione è stata presentata martedì 21 dicembre, nell’Aula Magna Storica del Palazzo della Sapienza, dal prorettore per la Ricerca applicata e il Trasferimento tecnologico, Marco Raugi, dal direttore generale di ARPAT, Pietro Rubellini, e dal direttore del Dipartimento di Scienze della Terra, Luca Pandolfi.

Migliorare la comunicazione e lo scambio di informazioni fra imprese e strutture di ricerca, stimolare singoli progetti di ricerca applicata e più in generale puntare alla promozione dell’innovazione e del trasferimento tecnologico sono gli obiettivi dell’accordo per quanto riguarda la ricerca. Nel campo della formazione è previsto lo svolgimento di tirocini e stage, tesi di laurea e di dottorato presso ARPAT, oltre all’istituzione di specifiche borse di studio da svolgersi in strutture aziendali. Si mira, infine, a favorire la nascita di collaborazioni nel campo dell’elaborazione e diffusione della conoscenza.

Nell’ambito della convenzione, che avrà durata quadriennale, saranno designati i rispettivi referenti, che avranno il compito di definire il programma annuale delle attività congiunte.

“L’accordo quadro con ARPAT - ha detto il professor Marco Raugi – conferma l’impegno dell’Ateneo pisano in una delle funzioni fondamentali dell’Università: la terza missione, ovvero l’attività di trasferimento di conoscenze verso la società e il territorio. In particolare, le iniziative che potranno essere avviate con ARPAT si inquadrano nel contesto della difesa dell’ambiente e dello sviluppo sostenibile che deve essere perseguito con azioni concrete e attraverso una sempre più continua attività di comunicazione”.

Pietro Rubellini, direttore generale di ARPAT ha precisato: “La stipula dell’accordo con l’Ateneo pisano sancisce una collaborazione già attiva da tempo e dà il segno tangibile di una nuova politica di potenziamento del ruolo tecnico-scientifico dell’Agenzia. Fare rete con gli Istituti di ricerca significa creare le condizioni future per lo studio di nuovi indicatori ambientali, la ricerca applicata nell’ambito delle attività istituzionali ed un’accresciuta attività di divulgazione scientifica sia all’interno dell’Agenzia sia verso la cittadinanza”.

Dall’intesa potranno derivare, infatti, convenzioni attuative al fine di avviare collaborazioni nell’attività di ricerca in grado di apportare miglioramenti ai processi di tutela ambientale.

“Questo accordo - ha concluso il professor Luca Pandolfi - rappresenta una grande occasione per l’Ateneo pisano che avrà l’occasione di affrontare insieme a un ente territoriale importante come ARPAT la sfida del monitoraggio e della gestione dell’ambiente in un quadro difficile come quello attuale, caratterizzato da importanti cambiamenti climatici. Grazie a esso potranno essere sviluppate iniziative congiunte su tematiche rilevanti quali l’innovazione, lo sviluppo tecnologico e la divulgazione scientifica nel campo delle tematiche ambientali, con ricadute significative anche nella ricerca e nella didattica”.

Lo scorso 13 dicembre è venuto a mancare il professor Giampiero Paffuti, ordinario di Fisica Teorica all’Università di Pisa e figura di grande rilievo nella ricerca e nell’insegnamento.

Nato a Catanzaro nel 1954, il professor Paffuti si era laureato in Fisica nel 1976 come allievo della Scuola Normale, dove nel 1980 ha poi ottenuto il diploma di perfezionamento. Ha percorso la sua intera carriera accademica all’Università di Pisa.

“La notizia della scomparsa del prof. Paffuti ci addolora particolarmente, perdiamo un docente di grande valore, enormemente apprezzato per le sue grandi capacità scientifiche e didattiche. Esprimo ai suoi familiari la vicinanza dei docenti, dei suoi studenti, e del personale tutto del nostro Dipartimento,” commenta il direttore del Dipartimento di Fisica, prof. Dario Pisignano.

Di seguito il ricordo del suo maestro, collega e amico, professor Adriano Di Giacomo.

******

“Giampiero è stato studente alla Scuola Normale (1972-1976), assistente ordinario nella nostra Università (1980-1985), professore associato (1985-2002) e professore ordinario (2002-2021). Ha lavorato in istituzioni prestigiose come il Massachusetts Institute of Technology (MIT) (1978) e il CERN di Ginevra (1985-1987). La sua attività scientifica è testimoniata da numerose pubblicazioni, alcune molto citate e apprezzate dalla comunità scientifica internazionale; la sua attività didattica da pregevoli testi monografici, alcuni diffusi a livello internazionale e tradotti in varie lingue.

Al di là dei meriti che emergono da questa schematica biografia, noi tutti lo ricordiamo per la sua intelligenza, per il suo rigore scientifico unito a un grande impegno, per la sua profonda umanità. Per anni ha insegnato con lo stesso impegno e la stessa passione corsi per studenti avanzati di Fisica e corsi di base per matricole di Scienze Biologiche. E gli studenti hanno apprezzato la sua autorevolezza, unita a una grande umanità”.

Prof. Adriano di Giacomo
Emerito dell’Università di Pisa

Ritorna al centro di intense attività di ricerca scientifica il sito dei Balzi Rossi (Ventimiglia), vicino al confine tra Italia e Francia, uno dei siti europei più importanti per lo studio dell’evoluzione delle popolazioni umane del passato non solo per l’area ligure-provenzale, ma per tutto il Mediterraneo Occidentale.

Nelle grotte e nei depositi dei Balzi Rossi sono state rinvenute, sin dalla fine del XIX secolo, evidenze di frequentazione da parte di specie umane precedenti alla nostra ed in particolare delle ultime popolazioni di Neanderthal europei e dei più antichi Homo sapiens giunti in Europa. Le sepolture di questi progenitori della nostra specie trovate nelle grotte sono tra le più antiche d’Europa ed estremamente ricche di corredi sepolcrali; non mancano esempi di arte parietale come l’incisione del cavallo (o alce) della grotta del Caviglione e le Veneri, statuine femminili attribuite al Paleolitico superiore.

Un gruppo di ricerca interdisciplinare delle Università di Pisa e Milano, in sinergia con gli archeologi preistorici che lavorano nella zona dei Balzi Rossi su siti o tematiche specifiche (Museo di Antropologia del Principato di Monaco, Università di Genova, Università di Trento) ha intrapreso nuove ricerche per studiare come si è modificato il comportamento umano in relazione ai cambiamenti ambientali connessi con le variazioni del livello del mare e con la conseguente disponibilità di risorse naturali. In questo sito, infatti, si rileva l’eccezionale compresenza, in uno spazio limitato, sia di significative tracce geologiche delle passate variazioni del livello del mare, sia di consistenti testimonianze di popolamento umano.

“Il nostro progetto si propone di studiare come le popolazioni umane reagiscono alle variazioni del livello del mare e alle modificazioni ambientali connesse. Per capire come affrontare le sfide che l’innalzamento del livello del mare in atto ci proporrà in un prossimo futuro, andremo a interrogare le tracce lasciate dagli antichi abitatori del litorale ligure-provenzale, anche di quelli appartenuti a specie umane diverse dalla nostra”, spiega Marta Pappalardo, professoressa ordinaria di Geografia fisica e Geomorfologia presso il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa e coordinatrice scientifica del progetto SPHeritage, "Lezioni per il futuro dal patrimonio culturale del passato: quattrocentomila anni di risposta delle popolazioni umane alle variazioni del livello del mare e ai cambiamenti climatici nel Mediterraneo Nord-Occidentale", finanziato dal Ministero dell’Università e della Ricerca nell’ambito del programma FISR2019.

“In questi primi mesi di lavoro, grazie anche ad una collaborazione con il Museo di Antropologia del Principato di Monaco del quale alcuni ricercatori sono membri del nostro team, ci siamo concentrati sulla Grotta del Principe ai Balzi Rossi, dove sono presenti tracce lasciate dall’azione del mare sul litorale risalenti a 300 o 400 mila anni fa. Le analisi di laboratorio ci consentiranno di ricostruire gli ambienti di vita dei nostri lontani antenati e il loro rapporto con le risorse marine”, conclude Marta Pappalardo.

Il gruppo di ricerca del progetto SPHeritage è composto da esperti in varie discipline nell’ambito delle Scienze della Terra e da Archeologi preistorici provenienti dalle Università di Pisa e Milano Statale ma anche da altri atenei e centri di ricerca (Università di Genova, Ca’Foscari di Venezia, CNR IGG). Le attività vengono svolte grazie alle autorizzazioni concesse dalla Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio delle Province di Imperia e Savona e dal Museo Preistorico Nazionale dei Balzi Rossi.

Durante i periodi interglaciali, ovvero nelle fasi climatiche calde, il paesaggio litorale dei Balzi Rossi era simile all’attuale, come testimoniato da segni di erosione associati a bioincrostazioni e depositi costieri sabbiosi contenenti faune marine evidenti, oltre che nella Grotta del Principe, anche nella Barma Grande, nel Riparo Mochi e in altre cavità del sito. Nelle fasi climatiche fredde, invece, il livello del mare era sino a 100 m più basso dell’attuale, e una pianura costiera ora sommersa, ampia fino a 10 km, separava il litorale dalla falesia dei Balzi Rossi. Nei depositi di sedimenti continentali formatisi durante le glaciazioni presenti nella Grotta del Principe e in altre cavità sono contenuti, associati a manufatti di industria litica, molluschi marini utilizzati sia per scopi alimentari che ornamentali. Grazie alle nuove analisi che saranno sviluppate nell’ambito del progetto SPHeritage i ricercatori cercheranno di capire che tipo di rapporto avessero con le risorse marine i nostri predecessori di diverse specie umane (Homo sapiens, Homo neanderthalensis e Homo heidelbergensis), e come le variazioni del livello del mare abbiano modificato i loro comportamenti. I risultati potranno aiutarci anche a capire cosa potrebbe accadere in futuro nello scenario previsto di riscaldamento climatico globale.

Ritorna al centro di intense attività di ricerca scientifica il sito dei Balzi Rossi (Ventimiglia), vicino al confine tra Italia e Francia, uno dei siti europei più importanti per lo studio dell’evoluzione delle popolazioni umane del passato non solo per l’area ligure-provenzale, ma per tutto il Mediterraneo Occidentale.

Nelle grotte e nei depositi dei Balzi Rossi sono state rinvenute, sin dalla fine del XIX secolo, evidenze di frequentazione da parte di specie umane precedenti alla nostra ed in particolare delle ultime popolazioni di Neanderthal europei e dei più antichi Homo sapiens giunti in Europa. Le sepolture di questi progenitori della nostra specie trovate nelle grotte sono tra le più antiche d’Europa ed estremamente ricche di corredi sepolcrali; non mancano esempi di arte parietale come l’incisione del cavallo (o alce) della grotta del Caviglione e le Veneri, statuine femminili attribuite al Paleolitico superiore.

Le caverne4
Le grotte dei Balzi Rossi (da Wikipedia).

Un gruppo di ricerca interdisciplinare delle Università di Pisa e Milano, in sinergia con gli archeologi preistorici che lavorano nella zona dei Balzi Rossi su siti o tematiche specifiche (Museo di Antropologia del Principato di Monaco, Università di Genova, Università di Trento) ha intrapreso nuove ricerche per studiare come si è modificato il comportamento umano in relazione ai cambiamenti ambientali connessi con le variazioni del livello del mare e con la conseguente disponibilità di risorse naturali. In questo sito, infatti, si rileva l’eccezionale compresenza, in uno spazio limitato, sia di significative tracce geologiche delle passate variazioni del livello del mare, sia di consistenti testimonianze di popolamento umano.

Pappalardo web“Il nostro progetto si propone di studiare come le popolazioni umane reagiscono alle variazioni del livello del mare e alle modificazioni ambientali connesse. Per capire come affrontare le sfide che l’innalzamento del livello del mare in atto ci proporrà in un prossimo futuro, andremo a interrogare le tracce lasciate dagli antichi abitatori del litorale ligure-provenzale, anche di quelli appartenuti a specie umane diverse dalla nostra”, spiega Marta Pappalardo, professoressa ordinaria di Geografia fisica e Geomorfologia presso il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa e coordinatrice scientifica del progetto SPHeritage (nella foto a destra), "Lezioni per il futuro dal patrimonio culturale del passato: quattrocentomila anni di risposta delle popolazioni umane alle variazioni del livello del mare e ai cambiamenti climatici nel Mediterraneo Nord-Occidentale"finanziato dal Ministero dell’Università e della Ricerca nell’ambito del programma FISR2019.

“In questi primi mesi di lavoro, grazie anche ad una collaborazione con il Museo di Antropologia del Principato di Monaco del quale alcuni ricercatori sono membri del nostro team, ci siamo concentrati sulla Grotta del Principe ai Balzi Rossi, dove sono presenti tracce lasciate dall’azione del mare sul litorale risalenti a 300 o 400 mila anni fa. Le analisi di laboratorio ci consentiranno di ricostruire gli ambienti di vita dei nostri lontani antenati e il loro rapporto con le risorse marine”, conclude Marta Pappalardo. 

Il gruppo di ricerca del progetto SPHeritage è composto da esperti in varie discipline nell’ambito delle Scienze della Terra e da archeologi preistorici provenienti dalle Università di Pisa e Milano Statale ma anche da altri atenei e centri di ricerca (Università di Genova, Ca’Foscari di Venezia, CNR IGG). Le attività vengono svolte grazie alle autorizzazioni concesse dalla Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio delle Province di Imperia e Savona e dal Museo Preistorico Nazionale dei Balzi Rossi.

Durante i periodi interglaciali, ovvero nelle fasi climatiche calde, il paesaggio litorale dei Balzi Rossi era simile all’attuale, come testimoniato da segni di erosione associati a bioincrostazioni e depositi costieri sabbiosi contenenti faune marine evidenti, oltre che nella Grotta del Principe, anche nella Barma Grande, nel Riparo Mochi e in altre cavità del sito. Nelle fasi climatiche fredde, invece, il livello del mare era sino a 100 m più basso dell’attualee una pianura costiera ora sommersa, ampia fino a 10 km, separava il litorale dalla falesia dei Balzi Rossi. Nei depositi di sedimenti continentali formatisi durante le glaciazioni presenti nella Grotta del Principe e in altre cavità sono contenuti, associati a manufatti di industria litica, molluschi marini utilizzati sia per scopi alimentari che ornamentali. Grazie alle nuove analisi che saranno sviluppate nell’ambito del progetto SPHeritage i ricercatori cercheranno di capire che tipo di rapporto avessero con le risorse marine i nostri predecessori di diverse specie umane (Homo sapiens, Homo neanderthalensis e Homo heidelbergensis), e come le variazioni del livello del mare abbiano modificato i loro comportamenti. I risultati potranno aiutarci anche a capire cosa potrebbe accadere in futuro nello scenario previsto di riscaldamento climatico globale. 

Università di Pisa e ARPAT, Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Toscana, hanno sottoscritto un accordo quadro per rendere strutturali le rispettive collaborazioni e per promuovere iniziative congiunte per la protezione dell’ambiente, con particolare riferimento ai settori della ricerca, della formazione e della elaborazione e diffusione della conoscenza. La convenzione è stata presentata martedì 21 dicembre, nell'Aula Magna Storica del Palazzo della Sapienza, dal prorettore per la Ricerca applicata e il Trasferimento tecnologico, Marco Raugi, dal direttore generale di ARPAT, Pietro Rubellini, e dal direttore del Dipartimento di Scienze della Terra, Luca Pandolfi.

 DSC7793

Nella foto, da sinistra: Rubellini, Raugi e Pandolfi.

Migliorare la comunicazione e lo scambio di informazioni fra imprese e strutture di ricerca, stimolare singoli progetti di ricerca applicata e più in generale puntare alla promozione dell’innovazione e del trasferimento tecnologico sono gli obiettivi dell’accordo per quanto riguarda la ricerca. Nel campo della formazione è previsto lo svolgimento di tirocini e stage, tesi di laurea e di dottorato presso ARPAT, oltre all’istituzione di specifiche borse di studio da svolgersi in strutture aziendali. Si mira, infine, a favorire la nascita di collaborazioni nel campo dell’elaborazione e diffusione della conoscenza.

Nell’ambito della convenzione, che avrà durata quadriennale, saranno designati i rispettivi referenti, che avranno il compito di definire il programma annuale delle attività congiunte.

 DSC7788

“L’accordo quadro con ARPAT - ha detto il professor Marco Raugi – conferma l’impegno dell’Ateneo pisano in una delle funzioni fondamentali dell’Università: la terza missione, ovvero l’attività di trasferimento di conoscenze verso la società e il territorio. In particolare, le iniziative che potranno essere avviate con ARPAT si inquadrano nel contesto della difesa dell’ambiente e dello sviluppo sostenibile che deve essere perseguito con azioni concrete e attraverso una sempre più continua attività di comunicazione”.

Pietro Rubellini, direttore generale di ARPAT ha precisato: “La stipula dell’accordo con l’Ateneo pisano sancisce una collaborazione già attiva da tempo e dà il segno tangibile di una nuova politica di potenziamento del ruolo tecnico-scientifico dell’Agenzia. Fare rete con gli Istituti di ricerca significa creare le condizioni future per lo studio di nuovi indicatori ambientali, la ricerca applicata nell’ambito delle attività istituzionali ed un’accresciuta attività di divulgazione scientifica sia all’interno dell’Agenzia sia verso la cittadinanza”.

Dall’intesa potranno derivare, infatti, convenzioni attuative al fine di avviare collaborazioni nell’attività di ricerca in grado di apportare miglioramenti ai processi di tutela ambientale.

“Questo accordo - ha concluso il professor Luca Pandolfi - rappresenta una grande occasione per l’Ateneo pisano che avrà l’occasione di affrontare insieme a un ente territoriale importante come ARPAT la sfida del monitoraggio e della gestione dell’ambiente in un quadro difficile come quello attuale, caratterizzato da importanti cambiamenti climatici. Grazie a esso potranno essere sviluppate iniziative congiunte su tematiche rilevanti quali l’innovazione, lo sviluppo tecnologico e la divulgazione scientifica nel campo delle tematiche ambientali, con ricadute significative anche nella ricerca e nella didattica”.

Questo sito utilizza solo cookie tecnici, propri e di terze parti, per il corretto funzionamento delle pagine web e per il miglioramento dei servizi. Se vuoi saperne di più, consulta l'informativa