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Le Sale studio dell'ateneo rimangono chiuse durante le feste natalizie secondo il seguente calendario:

  • SALA STUDIO POLO PIAGGE 23 dicembre-4 gennaio.
  • SALA STUDIO PACINOTTI: 23 dicembre - 4 gennaio
  • SALA STUDIO BIENNIO: 23 dicembre - 7 gennaio
  • SALA STUDIO PORTA NUOVA: 23 dicembre- 4 gennaio
  • SALA STUDIO POLO E. VITALE (ETRURIA): 23 dicembre - 4 gennaio
  • SALA STUDIO POLO FIBONACCI: 23 dicembre-7 gennaio
  • SALA STUDIO PALAZZO RICCI: 23 dicembre-7 gennaio

Si è conclusa da pochi giorni la missione in Sud Sudan di Valentina Mangano e Marco Prato, del gruppo di ricerca di parassitologia umana dell’Università di Pisa, nell’ambito del progetto “Potenziamento della risposta alla malaria in Sud Sudan attraverso il miglioramento di accesso, utilizzo e qualità dei servizi preventivi/diagnostici/curativi e loro integrazione sui tre livelli del sistema sanitario dello Stato di Amadi” coordinato da Medici con l’Africa CUAMM in collaborazione con il Ministero della Salute del Sud Sudan, e finanziato dall’ Agenzia Italiana di Cooperazione allo Sviluppo nel quadro del Technical Support Spending al Fondo Globale per la lotta all’AIDS, alla tubercolosi e alla malaria.

Il progetto ha come obiettivo il miglioramento di qualità e accesso ai servizi di prevenzione, diagnosi e cura della malaria nello stato di Western Equatoria, dove CUAMM supporta il Ministero della Salute Sud Sudanese e le autorità locali nel fornire e gestire servizi sanitari di base ed emergenza, dal livello comunitario ai centri di salute periferici e fino agli ospedali. In particolare, la componente di ricerca operativa condotta dall’Università di Pisa mira al miglioramento della diagnosi di malaria.

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Nel corso della missione è stato avviato uno studio epidemiologico che durerà fino a giugno 2022 e riguarderà i bambini al di sotto di cinque anni di età e le donne in gravidanza, i gruppi di popolazione maggiormente a rischio di contrarre e sviluppare forme gravi della malattia. Allo stesso tempo sono stati svolti corsi di formazione che hanno interessato il personale di laboratorio e dei servizi ambulatoriali di area materna e infantile dei centri di salute periferici di Mundri, Lakamadi e Mvolo e dell’Ospedale di Lui. Si è inoltre fornito supporto alla distribuzione e messa in uso di equipaggiamenti e materiali necessari al rafforzamento dei laboratori per consentire, oltre alla diagnosi rapida tramite test antigenici già in uso, anche la diagnosi emoscopica, che permette di identificare la specie e lo stadio del parassita e di quantificare la densità parassitaria, informazioni fondamentali per il corretto trattamento dei casi clinici.

Lo studio permetterà di conoscere la prevalenza della malaria nei due gruppi di popolazione sopra menzionati in diverse aree dello stato e in periodi dell’anno a diversa intensità della trasmissione. La raccolta di campioni di sangue su carta da filtro (Dried Blood Spot) consentirà l’analisi del genoma di Plasmodium falciparum, il parassita che causa il maggior numero di casi di malaria, attraverso metodi di Next Generation Sequencing, in collaborazione con il Wellcome Sanger Institute e il progetto SpotMalaria del Malaria Genomic Epidemiology Network. Da questa analisi sarà possibile rilevare l’eventuale delezione del gene codificante la Histidine Rich Protein, che causa risultati falsi negativi dei test antigenici, nonché la presenza di mutazioni che causano la resistenza del parassita ai principali farmaci antimalarici, come sulfadoxina e pirimetamina utilizzati per la prevenzione della malaria durante la gravidanza (Intermittent Preventive Treament in pregnancy, IPTp), e artemisinina, utilizzato in combinazione con altri farmaci (Arthemisinin Combination Therapies, ACT) per il trattamento della malaria semplice e come monoterapia per la malaria grave. Le informazioni ottenute verranno condivise con il Ministero della Salute del Sud Sudan, che ne potrà tenere conto per un eventuale adeguamento delle strategie del Piano Nazionale di Controllo della Malaria, e contribuiranno alla sorveglianza globale di queste biological threats al controllo e all’eliminazione della malaria, che nel 2020 ha causato 241 milioni di malati e 627000 decessi.

In una vasca dell’Acquario di Livorno è stata installata una rete costituita da una bioplastica in grado di degradarsi in acqua salata, che verrà usata per realizzare impianti di riforestazione della Posidonia oceanica, una pianta essenziale per l’ossigenazione dell’ecosistema marino. Il risultato deriva da una collaborazione tra A.S.A. SpA (Azienda Servizi Ambientali SpA), il Dipartimento di Ingegneria civile e industriale dell’Università di Pisa (DICI), Francesco Cinelli, già docente di Ecologia Marina e Scienza Subacquea all’Università di Pisa, BioISPRA, l’Acquario di Livorno e l’azienda tessile Coatyarn Srl.

“I supporti proposti per la riforestazione dei fondali - spiega Maurizia Seggiani, docente di Fondamenti chimici delle tecnologie al DICI - hanno un grande impatto ambientale, perché costituiti da reti di ferro rivestite con monofilamenti di polipropilene che causano la dispersione in mare di microplastiche e la morte delle specie marine che vi rimangono intrappolate. Il nostro gruppo di ricerca ha individuato e testato una bioplastica, il PBSA (polibutilene succinato-co-adipato), usato in diverse applicazioni in sostituzione di plastiche tradizionali ma mai fino ad ora per applicazioni di restauro marino. Dal PBSA è stata ricavata una rete con proprietà meccaniche adeguate a contenere le talee di piccole piante di Posidonia, e in grado di biodegradarsi in un paio d’anni, il tempo necessario alla pianta per mettere radici”.

La rete per la messa a terra delle piante è stata realizzata grazie alla collaborazione con Coatyarn Srl, azienda leader nel settore tessile specializzata nella produzione di filati rivestiti ad alto contenuto tecnologico, e il primo prototipo è stato posato all’acquario di Livorno assieme ad alcune talee di Posidonia per verificarne l’efficacia nel trattenere le piantine al suolo per il tempo necessario al loro radicamento.

Il prossimo passo, previsto nella primavera 2022, sarà un test in mare aperto, in prossimità dell’Isola D’Elba, dove le praterie di Posidonia sono minacciate dagli impianti di dissalazione del mare a osmosi inversa, che rilasciano acqua ipersalina mal tollerata dalla pianta, rendendo necessarie operazioni di trapianto.

“Le potenzialità di impiego delle reti in bioplastica sono molto ampie - conclude Maurizia Seggiani - per esempio nell’itticoltura, o nei cosiddetti “orti marini. Inoltre, le reti possono anche essere usate sulla terraferma, per esempio per consolidare frane e scarpate con un materiale in grado di biodegradarsi in quell'ambiente una volta che ha svolto la sua funzione”.

 

In una vasca dell’Acquario di Livorno è stata installata una rete costituita da una bioplastica in grado di degradarsi in acqua salata, e che verrà usata per realizzare impianti di riforestazione della Posidonia oceanica, una pianta essenziale per l’ossigenazione dell’ecosistema marino.

Il risultato deriva da una collaborazione tra A.S.A. SpA (Azienda Servizi Ambientali SpA), il Dipartimento di Ingegneria Civile e Industriale dell’Università di Pisa (DICI), Francesco Cinelli, già docente di Ecologia Marina e Scienza Subacquea all’Università di Pisa, BioISPRA, l’Acquario di Livorno e l’azienda tessile Coatyarn Srl.

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“I supporti proposti per la riforestazione dei fondali - spiega Maurizia Seggiani, docente di Fondamenti Chimici delle Tecnologie al DICI - hanno un grande impatto ambientale, perché costituiti da reti di ferro rivestite con monofilamenti di polipropilene che causano la dispersione in mare di microplastiche e la morte delle specie marine che vi rimangono intrappolate. Il nostro gruppo di ricerca ha individuato e testato una bioplastica, il PBSA (polibutilene succinato-co-adipato), usato in diverse applicazioni in sostituzione di plastiche tradizionali ma mai fino ad ora per applicazioni di restauro marino. Dal PBSA è stata ricavata una rete con proprietà meccaniche adeguate a contenere le talee di piccole piante di Posidonia, e in grado di biodegradarsi in un paio d’anni, il tempo necessario alla pianta per mettere radici”.

La rete per la messa a terra delle piante è stata realizzata grazie alla collaborazione con Coatyarn Srl, azienda leader nel settore tessile specializzata nella produzione di filati rivestiti ad alto contenuto tecnologico, e il primo prototipo è stato posato all’acquario di Livorno assieme ad alcune talee di Posidonia per verificarne l’efficacia nel trattenere le piantine al suolo per il tempo necessario al loro radicamento.

Il prossimo passo, previsto nella primavera 2022, sarà un test in mare aperto, in prossimità dell’Isola D’Elba, dove le praterie di Posidonia sono minacciate dagli impianti di dissalazione del mare a osmosi inversa, che rilasciano acqua ipersalina mal tollerata dalla pianta, rendendo necessarie operazioni di trapianto.

“Le potenzialità di impiego delle reti in bioplastica sono molto ampie - conclude Maurizia Seggiani - per esempio nell’itticoltura, o nei cosiddetti “orti marini. Inoltre, le reti possono anche essere usate sulla terraferma, per esempio per consolidare frane e scarpate con un materiale in grado di biodegradarsi in quell'ambiente una volta che ha svolto la sua funzione”.

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Venerdì, 31 Dicembre 2021 10:02

“Oltre il ghetto. Dentro&Fuori”

La mostra “Oltre il ghetto. Dentro&Fuori” esplora la storia ebraica italiana fra la fondazione del ghetto di Venezia nel 1516 e lo scoppio della prima guerra mondiale, mettendo a fuoco in particolare il tema delle relazioni: relazioni interne alla minoranza, ma soprattutto relazioni – amichevoli e ostili - fra gli ebrei e le società cristiane in cui sono inseriti.
Curata dalla professoressa Carlotta Ferrara degli Uberti dell’Università di Pisa insieme ad Andreina Contessa, Simonetta Della Seta e Sharon Reichel, è la terza mostra voluta dal Museo dell’Ebraismo Italiano e della Shoah (MEIS) di Ferrara ed è visitabile fino al 15 maggio 2022.

 

Oltre il ghetto_Sharon Reichel Simonetta Della Seta e Carlotta Ferrara degli Uberti foto di Bruno Leggieri (2).jpg

Da sinsitra, Sharon Reichel Simonetta Della Seta e Carlotta Ferrara degli Uberti (foto di Bruno Leggieri)


Come ha mostrato una ormai lunga serie di studi italiani e internazionali, il ghetto isolò solo parzialmente gli ebrei. Articolate reti di relazione e collaborazioni lavorative furono costruite anche nell’epoca dei ghetti, mentre all’interno delle mura le comunità ebraiche si svilupparono intorno a sinagoghe nascoste per via della proibizione di segnalare all’esterno la presenza di un luogo di culto ebraico.
Il passaggio dell’emancipazione, della conquista dei pari diritti civili e politici, che nel caso italiano procedette di pari passo con il processo di unificazione nazionale, impose la necessità di ripensare i termini dell’appartenenza per ebrei ormai divenuti cittadini di un paese nuovo, da costruire.

Questo percorso è presentato al visitatore attraverso una serie di oggetti, alcuni dei quali di grandissimo pregio artistico come il quadro di Sebastiano Ricci “Ester davanti ad Assuero” - in prestito dal Quirinale - che apre la mostra. Il valore artistico non è stato però il criterio principale che ha orientato le scelte delle curatrici. Aiutati dall’allestimento architettonico curato dallo studio GTRF Giovanni Tortelli Roberto Frassoni, gli oggetti in mostra hanno soprattutto il compito di raccontare delle storie poco conosciute al di là della cerchia degli specialisti, in modo accessibile ed efficace ma allo stesso tempo fondato sugli studi più recenti.

Se c’è troppo sole le piante si proteggono grazie a speciali proteine che agiscono come “interruttori” per accendere e spegnere specifiche interazioni tra molecole. La caratterizzazione di questo meccanismo che consente alle piante di sopravvivere a diverse condizioni di luce arriva da uno studio pubblicato sulla rivista Nature Communications e nato dalla collaborazione delle Università di Pisa e di Ginevra.

“Capire le strategie con le quali le piante riescono a proteggersi dall’eccessiva luce è importante per la nostra comprensione del mondo che ci circonda, ma non è solo questo e infatti comprendere le loro strategie di adattamento è estremamente importante per riuscire ad aumentare la produttività delle colture”, spiega la professoressa Benedetta Mennucci dell’Università di Pisa, che assieme al professor Francesco Luigi Gervasio dell’Università di Ginevra ha coordinato lo studio.

“La proteina che abbiamo studiato è presente nel fotosistema della piante ed ha il compito di raccogliere la luce solare e trasferire l’energia assorbita ad altre proteine, che portano avanti il processo fotosintetico”, racconta Edoardo Cignoni, dottorando dell’Università di Pisa, “per far questo contiene degli aggregati di molecole, clorofille e carotenoidi, che sono i principali protagonisti nella cattura della luce. Le nostre simulazioni di dinamica molecolare insieme ai calcoli quantomeccanici hanno mostrato come i moti della proteina riescono a controllare i processi fotoprotettivi, accendendo e spegnendo specifiche interazioni tra le molecole”.

Il gruppo di ricerca della professoressa Benedetta Mennucci (MoLECoLab) si studia, attraverso modelli computazionali multiscala, la risposta di sistemi biologici alla luce. Il lavoro della professoressa Mennucci è finanziato dal progetto European Research Council (ERC) Advanced Grant LIFETimeS.

Allo studio hanno inoltre partecipato il dottor Lorenzo Cupellini dell’Università di Pisa, Margherita Lapillo, all’epoca post-doc nel gruppo della professoressa Mennucci, e Silvia Acosta-Gutiérrez, all’epoca post-doc nel gruppo del professor Gervasio.

 

Se c’è troppo sole le piante si proteggono grazie a speciali proteine che agiscono come “interruttori” per accendere e spegnere specifiche interazioni tra molecole. La caratterizzazione di questo meccanismo che consente alle piante di sopravvivere a diverse condizioni di luce arriva da uno studio pubblicato sulla rivista Nature Communications e nato dalla collaborazione delle Università di Pisa e di Ginevra.

“Capire le strategie con le quali le piante riescono a proteggersi dall’eccessiva luce è importante per la nostra comprensione del mondo che ci circonda, ma non è solo questo e infatti comprendere le loro strategie di adattamento è estremamente importante per riuscire ad aumentare la produttività delle colture”, spiega la professoressa Benedetta Mennucci dell’Università di Pisa, che assieme al professor Francesco Luigi Gervasio dell’Università di Ginevra ha coordinato lo studio.

 

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“La proteina che abbiamo studiato è presente nel fotosistema della piante ed ha il compito di raccogliere la luce solare e trasferire l’energia assorbita ad altre proteine, che portano avanti il processo fotosintetico”, racconta Edoardo Cignoni, dottorando dell’Università di Pisa, “per far questo contiene degli aggregati di molecole, clorofille e carotenoidi, che sono i principali protagonisti nella cattura della luce. Le nostre simulazioni di dinamica molecolare insieme ai calcoli quantomeccanici hanno mostrato come i moti della proteina riescono a controllare i processi fotoprotettivi, accendendo e spegnendo specifiche interazioni tra le molecole”.

Il gruppo di ricerca della professoressa Benedetta Mennucci (MoLECoLab) si studia, attraverso modelli computazionali multiscala, la risposta di sistemi biologici alla luce. Il lavoro della professoressa Mennucci è finanziato dal progetto European Research Council (ERC) Advanced Grant LIFETimeS.

Allo studio hanno inoltre partecipato il dottor Lorenzo Cupellini dell’Università di Pisa, Margherita Lapillo, all’epoca post-doc nel gruppo della professoressa Mennucci, e Silvia Acosta-Gutiérrez, all’epoca post-doc nel gruppo del professor Gervasio.

 

Martedì, 28 Dicembre 2021 10:58

In ricordo del professore Pier Luigi Maffei

prof_maffei.jpegE’ scomparso all'inizio di dicembre all’età di 82 anni il professore Pier Luigi Maffei (foto), già ordinario Architettura tecnica presso la facoltà di Ingegneria dell’Ateneo pisano. Accanto alla lunga carriera universitaria, il professor Maffei è stato attivo nella vita civile e culturale di Pisa, come fondatore di Radio Incontro, l'emittente pisana di ispirazione cattolica tuttora in attività, e come consigliere comunale dal 1985 al 1990 tra le file della Democrazia Cristiana.

Di seguito pubblichiamo un ricordo del professore Maffei dell’amico e collega Valerio Cutini.

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Vorrei condividere con i colleghi dell'Ateneo il ricordo del prof. Pier Luigi Maffei e il dolore per la sua scomparsa, avvenuta nei primi giorni di dicembre.

Professore Ordinario di Architettura Tecnica, Pier Luigi Maffei è stato per anni Presidente del Corso di Laurea in Ingegneria Edile, e per lunghi decenni ha rappresentato uno dei punti di riferimento della Facoltà di Ingegneria e dell’area di Ingegneria Civile. Generazioni di colleghi e di studenti ne ricordano le qualità di studioso e l’impegno appassionato nella ricerca e nella didattica, che, animato da un forte senso etico e da sentimenti di profonda umanità, ha sempre coniugato con una costante presenza e l’impegno civile sul territorio.

In campo nazionale è riconosciuto come uno dei riferimenti dell’analisi del valore, e ricordato per essere stato fondatore del CESAV e Presidente dell’AIAV, Associazione Italiana per la Gestione e l'Analisi del Valore, della quale è rimasto Presidente Onorario fino alla scomparsa.

Prof. Ing. Valerio Cutini
Ordinario di tecnica e pianificazione urbanistica
DESTeC - Dipartimento di Ingegneria dell'Energia, dei Sistemi, del Territorio e delle Costruzioni

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