L'Università di Pisa, attraverso il rettore Paolo Mancarella e il network delle Università per la pace nato su impulso dello stesso rettore e dell'Ateneo pisano, ha proposto alla Conferenza dei Rettori delle Università Italiane di aderire alla Giornata internazionale per l’eliminazione totale delle armi nucleari di giovedì 26 settembre. Di seguito si riporta il testo della Mozione approvata all'unanimità dall'Assemblea CRUI nella riunione dello scorso 19 settembre.
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La CRUI, nel maggio 2017, ha aderito all'appello internazionale di FLI-The Future of Life Institute a sostegno dell'approvazione di un Trattato internazionale per la messa al bando delle armi nucleari:
Il 7 luglio 2017 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha approvato il Trattato, che tuttavia non è ancora entrato in vigore perché non ha ancora raggiunto il numero di ratifiche necessarie. Intanto, la corsa agli armamenti è ripresa con forza, in un clima di crescente insicurezza che suscita forte preoccupazione e rende ancora più importante l’impegno per la eliminazione totale di queste terribili armi di distruzione di massa.
La CRUI - che ha promosso la costituzione del network delle Università per la pace nel quale sono finora confluiti 29 atenei italiani – aderisce alla giornata internazionale per l’eliminazione totale delle armi nucleari di giovedì 26 settembre e auspica la rapida entrata in vigore del Trattato, anche grazie alla ratifica dell’Italia.
Più ci guardano in viso e negli occhi per chiedere aiuto, più sono dipendenti da noi: gli scienziati lo chiamano “gazing behaviour”, ed è uno dei segnali che indicano la distanza evolutiva dei cani dal lupo. Proprio questo comportamento è stato al centro di una ricerca pubblicata sulla rivista “Royal Society Open Science” e condotta da una equipe tutta al femminile composta dalla professoressa Elisabetta Palagi del Dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa, da Veronica Maglieri ed Erica Tommasi, studentesse dell’Ateneo pisano, e da Emanuela Prato-Previde, professore associato di Psicologia del Dipartimento di Fisiopatologia Medico-Chirurgica e dei Trapianti dell’Università degli Studi di Milano.
Mettendo a confronto i nostri amici a quattro zampe più noti e diffusi, le ricercatrici hanno scoperto che il Cane Lupo Cecoslovacco è il più vicino alle razze canine antiche e primitive, e quindi al lupo, seguito dal Pastore Tedesco e dal Labrador Retriever.
“Quello che è emerso è che il gradiente di gazing behaviour ha il suo minimo nel Cane Lupo Cecoslovacco e il suo massimo nel Labrador Retriever – spiegano Veronica Maglieri ed Erica Tommasi – mentre i Pastori Tedeschi si collocano a livello intermedio tra le altre due razze”.
Esempio di prova impossibile: il contenitore è fissato e l'animale non riesce a recuperare il premio
Nel corso delle osservazioni comportamentali, durate due anni, i cani sono stati sottoposti a un protocollo denominato “Impossible Task”, che consiste nel mettere il soggetto davanti ad una situazione impossibile da risolvere (cibo non raggiungibile), per verificare se e come “chiede aiuto” attraverso lo sguardo, rivolgendosi allo sperimentatore o al proprietario. Nel corso dei test è emerso che i Cani Lupo Cecoslovacchi lanciavano agli umani occhiate molto più fugaci e veloci, simili a quelle dei lupi, contrariamente agli altri due gruppi che invece dirigevano spesso sia lo sguardo che il muso verso i loro compagni umani.
Ma le differenze di comportamento sono state ancora più evidenti quando il team ha analizzato le preferenze di gazing: i Cani Lupo Cecoslovacchi preferivano infatti rivolgere lo sguardo verso le sperimentatrici, le uniche a manipolare la ricompensa, mettendo quindi in secondo piano il vincolo “affettivo” con il padrone, mentre per i Pastori Tedeschi prevaleva comunque il legame con il proprietario. Nessuna preferenza è stata rilevata invece per i Labrador Retriever, che guardavano a lungo e indifferentemente verso entrambi i soggetti umani.
“Il Cane Lupo Cecoslovacco – conclude Elisabetta Palagi - per la sua recente e meno intensa selezione artificiale è una razza più antica e primitiva, geneticamente più vicina al lupo, e meno orientata verso l’essere umano rispetto a razze che sono andate incontro a una maggiore selezione da parte dell’uomo come il Labrador Retriever”.
Torna la Notte dei Ricercatori in Toscana. E’ tutto pronto per la manifestazione dedicata all’incontro con la scienza, che venerdì 27 settembre vedrà coinvolti in tutta la regione oltre 1500 ricercatori in un programma di 350 tra incontri, eventi, presentazioni e spettacoli.
La Notte dei Ricercatori è un’iniziativa promossa dalla Commissione Europea, che la Toscana festeggia – grazie alle Università e agli enti di ricerca – in 14 città con il nome BRIGHT, cioè “Brilliant Researchers Impact on Growth Health and Trust in research” (I ricercatori di talento hanno un impatto sulla crescita, la salute e la fiducia nella ricerca): un messaggio di fiducia nell’impegno di tantissime ricercatrici e ricercatori indirizzato al grande pubblico. E il pubblico ha risposto all’invito con un’ampia partecipazione: circa 40.000 persone nell’ultima edizione.
Il Rettore dell'Università di Pisa Paolo Mancarella alla conferenza stampa di Bright 2019
Presentato alla stampa il 17 settembre a Firenze, Bright 2019 è promosso da una squadra di cui, oltre alla Regione Toscana, fanno parte, con il coordinamento dell’Università di Siena, le Università di Firenze e Pisa, l’Università per Stranieri di Siena, la Scuola Superiore di Studi Universitari Sant’Anna, la Scuola Normale Superiore di Pisa, la Scuola IMT Alti Studi Lucca, il CNR (area della ricerca di Pisa), l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Sezione di Pisa).
Le iniziative organizzate per la Notte dei Ricercatori toccano praticamente tutti i campi della scienza e della cultura, ma quest’anno uno dei temi in maggiore evidenza sarà quello della sostenibilità, nelle sue varie declinazioni: nell’ambiente, nell’economia e nella vita quotidiana.
I rappresentanti degli enti promotori alla conferenza stampa di Bright 2019 a Firenze
Uscendo nelle piazze o aprendo i laboratori, i ricercatori sono protagonisti di tantissime occasioni di incontro e di “scoperta” rivolte a tutti, ma con un occhio particolare alle famiglie e ai più piccoli. Tra queste anche “Polli: Bright”, un progetto di Citizen Science sugli insetti impollinatori in Toscana.
Il programma avrà il suo centro nella giornata di venerdì 27, ma in alcune città la Notte dei Ricercatori sarà anticipata con iniziative specifiche già da sabato 21 settembre e proseguirà fino alla serata di sabato 28. Gli eventi si svolgeranno a Firenze, Siena, Pisa, Lucca, Livorno, Arezzo, Grosseto, Prato ma anche Colle Val D'Elsa, San Giovanni Valdarno, Calci, Cascina, Pontedera, Viareggio.
In attesa della Notte dei Ricercatori si può esplorare il programma dettagliato disponibile sul sito www.bright-toscana.it e seguire sui social network l’hashtag #bright19.
La Notte dei Ricercatori in Toscana è un progetto finanziato dal programma di ricerca e innovazione dell’Unione Europea Horizon 2020 nell’ambito del grant n. 818515 – MSCA-NIGHT-2018.
Francesco Roma-Marzio, dottore di ricerca dell’Università di Pisa e attualmente nello staff dell'Orto e Museo Botanico, ha vinto il premio per la miglior tesi in Botanica conferito annualmente dalla Società Botanica Italiana.
Francesco Roma-Marzio a lavoro all'Università di Pisa, a destra durante la premiazione
Il riconoscimento, che comporta un contributo di 500 euro, gli è stato consegnato nel corso del 114° Congresso della Società che si è svolto all'Orto Botanico di Padova dal 4 al 6 settembre. Francesco Roma-Marzio, classe 1982 e originario di Brindisi, ha svolto la sua ricerca sotto la guida dei professori Gianni Bedini e Lorenzo Peruzzi del Dipartimento di Biologia dell'Ateneo pisano.
Il suo studio intitolato "Checklist and biosystematic studies of the woody flora of Tuscany (Italy)” ha riguardato l'elaborazione di un elenco critico aggiornato della flora legnosa (alberi e arbusti) della Toscana, con dettaglio provinciale, e l’approfondimento di due casi studio, il primo sulla classificazione del gruppo del ginepro ossifillo (Juniperus oxycedrus), il secondo sulla biologia riproduttiva del cisto laurino (Cistus laurifolius).
Più di 50 persone in rappresentanza di 25 partner di 15 diversi Paesi europei si sono ritrovati a Pisa dal 4 al 6 settembre per l’avvio del DESIRA, un nuovo progetto coordinato dall’Università di Pisa per favorire la trasformazione hi-tech del mondo rurale.
I rappresentanti delle istituzioni che partecipano al progetto Desira riuniti al Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali
Finanziato nell’ambito del programma Horizon 2020 con circa 5 milioni di euro sino al 2023, DESIRA riunisce un vasto partenariato composto da enti di ricerca, istituzioni pubbliche, piccole e medie imprese e organizzazioni non governative. L’obiettivo del progetto è di valutare l’impatto della digitalizzazione nelle aree rurali, nell'agricoltura e nella silvicoltura per massimizzare i benefici della tecnologia al servizio del territorio secondo i principi della sostenibilità e dell’innovazione responsabile. La ricerca prevede la realizzazione di venti “laboratori viventi” nei vari paesi europei coinvolti, uno dei quali sarà anche in Toscana.
“Il caso di studio toscano – spiega il professor Gianluca Brunori del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali dell’Università di Pisa coordinatore scientifico di DESIRA- affronterà la gestione del rischio idrogeologico nelle aree montane per capire come la digitalizzazione possa migliorarne l’efficienza. Partner dell’ateneo per realizzare questo ‘laboratorio vivente’ è il Consorzio di Bonifica Toscana Nord”.
Per quanto riguarda l’Università di Pisa il progetto vede direttamente coinvolti dieci fra professori, ricercatori, assegnisti, dottorandi e tecnologi del gruppo PAGE (Pisa Agricultural Economics), un team da tempo impegnato sul tema dell’innovazione in agricoltura e in aree rurali. A livello cittadino sono inoltre coinvolti anche altri dieci ricercatori del CNR-ISTI, esperti di tecnologie informatiche.
Si è appena conclusa la quinta edizione della Scuola estiva “Le Scienze, il Museo e la Scuola” organizzata dal Museo di Storia Naturale dell'Università di Pisa. Si tratta ormai di un appuntamento fisso per molti insegnanti del primo ciclo (scuola dell’infanzia, primaria e secondaria di primo grado), ma quest’anno si sono iscritti molti insegnanti alla loro prima esperienza al Museo. Quali sono le aspettative di un insegnante che decide di dedicare tre interi giorni di settembre alla propria formazione? Si tratta di tre giorni impegnativi, scanditi da un programma intensivo con relazioni di esperti, lavori di gruppo, laboratori didattici e visite alle esposizioni museali, nella suggestiva cornice della Certosa. Un questionario iniziale ha indicato che la principale delle aspettative è di tipo metodologico: ci si aspetta cioè di imparare COME insegnare in modo significativo le scienze a bambini e ragazzi. Si è consapevoli che l’insegnamento delle scienze affrontato senza una seria riflessione da parte dell’insegnante rischia di essere perlomeno inefficace e spesso ha l’effetto di disamorare i giovani allo studio delle scienze.
La scommessa della Scuola estiva è quella di far vivere direttamente agli insegnanti esperienze concrete di apprendimento, basate sull’osservazione accurata di oggetti naturali e dei reperti museali, e sulla discussione di gruppo per la interpretazione e la costruzione della conoscenza. Gli esperti, interni ed esterni al Museo, che ogni anno collaborano alla buona riuscita del'inizaitiva, mettono a disposizione la loro conoscenza nell’inquadramento teorico iniziale, per risolvere i problemi che si incontrano durante i laboratori, e guidano le attività, gli insegnanti utilizzano quanto sperimentato e appreso per la costruzione di percorsi didattici per i vari ordini di scuola. La formula incontra il gradimento degli insegnanti, che la ritengono utile per il proprio lavoro didattico; la speranza è quella di contribuire al rinnovamento dell’insegnamento delle scienze, anche tenendo conto che la formazione degli insegnanti è uno dei compiti istituzionali dell’Università.
Ogni edizione della Scuola estiva affronta tre temi diversi. Quest’anno si partiva dalla preistoria, con una giornata dal titolo “Primitivo a chi?”. Ha introdotto i lavori Giovanna Radi, con una panoramica sull’evoluzione dell’uomo a partire dalle sue origini; ha proseguito Lucia Angeli presentando la nuova sala del Museo dedicata ai ritrovamenti nella “Grotta del Leone” (Asciano, Pisa), importante punto di riferimento per la preistoria toscana. Il pomeriggio è stato dedicato all’archeologia sperimentale, sotto la guida di Marcella Parisi. Gli insegnanti hanno realizzato, con le tecniche e i materiali della preistoria, vari oggetti: pitture, collane, strumenti musicali e vasi.
La seconda giornata “Le forme dell’aria” è stata dedicata allo studio degli uccelli. Ha introdotto i lavori Chiara Sorbini rivelandoci che, come evidenziato nella nuova sala del Museo inaugurata nel mese di luglio, gli uccelli derivano dai dinosauri. Dimitri Giunchi, Lorenzo Vanni, Simone Farina hanno presentato poi le principali caratteristiche degli uccelli, direttamente sui reperti museali ed anche attraverso specifiche attività pratiche dedicate alla forma e alla funzione di ali, zampe e becchi.
La terza ed ultima giornata “Agrumi in tutti i sensi” ha preso spunto dagli agrumi presenti nella Certosa per introdurre alla biodiversità di questi frutti. Guido Flamini ha presentato il tema ed è stato possibile osservare le piante nelle celle e nei giardini della Certosa. Ha proseguito i lavori Angela Zinnai, e infine Isabella Taglieri e Monica Macaluso hanno proposto agli insegnanti alcuni test sensoriali dedicati al gusto e all’olfatto. Odori e sapori sono stati lo spunto per il laboratorio di scrittura creativa condotto da Luca Dini.
Ogni giornata si è conclusa con un momento di confronto e progettazione didattica da parte degli insegnanti. Prima della ripresa pomeridiana dei lavori sono state proposte tre attività dedicate alla consapevolezza e al benessere, collegate agli argomenti della giornata: Yoga: “Il respiro, pratica arcaica di rilassamento” con Annalisa De Liso; Shiatsu: “Volare insieme, conoscersi, collaborare e creare gruppo con il do-in” con Monja Da Riva; Meditazione “La voce delle piante” con Irene Di Vittorio.
La Scuola è stata organizzata da: Elena Bonaccorsi, Silvia Sorbi, Angela Dini, Rosa Baviello, Lucia Stelli, Vincenzo Terreni, Luca Dini, Barbara Simili, Marilina D’Andretta e Alessandra Zannella.
Tutti i materiali dell'edizione 2019 della Scuola estiva e delle edizioni precedenti sono pubblicati a questo link. Tutti gli insegnanti sono invitati a visitare il sito, scaricare il materiale, utilizzarlo nelle loro classi e – se vogliono – collaborare con il Museo per la progettazione della prossima edizione della scuola.
Sfoglia la gallery con le immagini della scuola estiva:
Quali sono le nuove competenze che più avranno impatto sul settore della difesa? E quali le strategie migliori per disseminare nuove conoscenze e pratiche in un settore così ampio ed eterogeneo? Sono solo alcune delle domande alle quali risponderà il progetto ASSETS+ (Alliance for Strategic Skills addressing Emerging Technologies in Defence) il progetto europeo Erasmus+ appena finanziato con oltre 3 milioni di euro per i prossimi tre anni. Capofila del progetto è l’Università di Pisa, con il professor Gualtiero Fantoni (dipartimento di Ingegneria civile e industriale) come coordinatore scientifico e un gruppo di ricerca multi-disciplinare, che coinvolge docenti e giovani ricercatori di vari dipartimenti dell’Ateneo. Tra le aziende del progetto: Rolls Royce, Airbus e Leonardo Elicotteri.
L’obiettivo è quello di istituire una filiera sostenibile delle risorse umane per l’industria della difesa. Il risultato del progetto sarà una piattaforma stabile e auto-sostenibile per il reclutamento e la crescita di dipendenti sia tra settori diversi e sia dalle start-up, alle PMI, alle grandi imprese.
“Si partirà da un’analisi delle competenze che stanno maggiormente impattando il settore, soprattutto negli ambiti della robotica, dell'Intelligenza Artificiale e Industria 4.0 – spiega il professor Gualtiero Fantoni – Da lì si darà il via alla progettazione di corsi che andranno incontro alle esigenze delle aziende che lavorano nel settore e che sempre più chiedono metodi moderni di apprendimento. I corsi si baseranno sul Problem Based Learning, sul PrEtotyping, sulla creazione di comunità di pratica e di Innovation camp. Non ultimo, avremo un focus sulla incentivazione della mobilità, sia geografica sia fra aziende".
Il progetto avrà un impatto non solo su studenti, dottorandi e ricercatori, ma anche sulle moltissime PMI che lavorano nella supply chain del settore, nonché su dipendenti di multinazionali. In particolare, le PMI saranno rappresentate nel consorzio da un organismo, al fine di garantire la scala adeguata che spesso purtroppo non riescono ad avere date le loro dimensioni.
“Dopo Endure, BeFORE e Ulisse, si tratta del quarto progetto europeo sul tema sviluppo di nuove competenze, del quale sono responsabile scientifico per l’Università di Pisa – aggiunge il professor Fantoni – Questo sta creando un gruppo di ricerca multidisciplinare e giovane che comprende dottorandi e ricercatori, non solo dei dipartimenti di ingegneria, ma anche economisti, psicologi del lavoro, matematici e fisici. Ed è proprio di questi giorni la notizia della vincita del premio Nobile da parte di Filippo Chiarello. Teniamo molto inoltre a lavorare in sinergia con realtà del territorio come Gate Center di Pisa e la Fondazione Giacomo Brodolini, che da anni lavora sul tema delle competenze".
E’ nata ArchAIDE, la prima App che sfrutta l’intelligenza artificiale e le tecnologie investigative per aiutare gli archeologi a risolvere uno dei “puzzle” più complessi che li impegna da sempre, cioè riconoscere e classificare le migliaia di frammenti ceramici che ogni giorno emergono dagli scavi in tutto il mondo. L’innovativo sistema è il risultato dell’omonimo progetto europeo ArchAIDE appena giunto a conclusione e coordinato dal Laboratorio MAPPA del Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere dell’Università di Pisa. La App, basata su reti neurali e una tecnologia simile a quella utilizzata in ambito investigativo per il riconoscimento facciale, è già disponibile gratuitamente su AppStore and GooglePlay e proprio in questi giorni c’è il suo debutto ufficiale al XXV meeting annuale dell’Associazione europea degli archeologi (EAA) a che si svolge a Berna dal 4 al 7 settembre.
Francesca Anichini e Antonio Campus del progetto ArchAIDE a Berna
“Durante le indagini archeologiche – spiega la professoressa Letizia Gualandi del MAPPALab dell’Ateneo pisano – vengono ritrovati migliaia di frammenti ceramici prodotti nelle epoche più diverse, dalla preistoria ai giorni nostri, quasi come tessere di un puzzle che, se ricostruito, può fornire moltissime informazioni sulla vita nelle epoche passate, grazie alla app che abbiamo sviluppato l’idea è di aiutare gli archeologi a risolvere questo ‘rompicato’ cosa che attualmente richiede molto tempo e competenze molto specialistiche tanto che risulta quasi sempre impossibile catalogare tutte le ceramiche ritrovate”.
“Il funzionamento della App Archaide è molto semplice – spiega Gabriele Gattiglia ricercatore dell'Università di Pisa e coordinatore del progetto - basta scattare una foto con un dispositivo mobile (smartphone o tablet) e inviarla al riconoscitore automatico per riconoscere il frammento e poter condividere in tempo reale i dati, creando così un archivio che può essere utilizzato da qualunque ricercatore, studioso o appassionato in qualunque luogo si trovi.”
Gli strumenti di ArchAIDE sono disponibili anche in versione Desktop, utilizzabili cioè da un semplice pc, permettendo di caricare anche fotografie archiviate nel passato.
La App di ArchAIDE in funzione
“La App è stata sviluppata per riconoscere sia i frammenti decorati, sia quelli privi di decorazione – conclude Francesca Anichini dell’Ateneo pisano, project manager di ArchAIDE - Al momento l’accuratezza del riconoscimento è intorno al 75%, ma sarà proprio grazie al sempre più ampio utilizzo da parte degli utenti che il sistema riuscirà a migliorare la propria performance, e da questo punto di vista stiamo già lavorando alla costruzione di un network di università, centri di ricerca e aziende che potranno contribuire all’arricchimento del database”.
Oltre al Laboratorio MAPPA dell’Università di Pisa, i partner del progetto ArchAIDE sono il Cnr-Istituto di Scienza e tecnologie dell’informazione, le università di Tel Aviv (Israele), York (Gran Bretagna), Barcellona (Spagna) e Koeln (Germania). Partecipano inoltre tre aziende, l’italiana Inera srl e le spagnole “Baraka Arqueologos” ed “ElementsCentre De Gestió i Difusió De Patrimoni Cultural”.
Una piccola spada, per la precisione un pugnale chiamato ‘baselardo’, è uno dei ritrovamenti più importanti emerso dagli scavi di Badia Pozzeveri ad Altopascio, in provincia di Lucca, dove dal 2011 archeologi italiani e americani stanno riportando alla luce reperti che rivelano importanti informazioni sulla storia della popolazione toscana medievale. La campagna estiva 2019, diretta da Antonio Fornaciari della Divisione di Paleopatologia dell’Università di Pisa, ha così fornito tracce concrete della battaglia di Altopascio del 1325, quando Castruccio Castracani, a capo dei lucchesi, sconfisse i guelfi gigliati che si erano accampati in zona. Lo scavo è svolto su concessione ministeriale e organizzato dal Comune di Altopascio e dalla Divisione di Paleopatologia dell’Università di Pisa diretta dalla professoressa Valentina Giuffra.
Antonio Fornaciari (a destra) sullo scavo.
L’area archeologica è sede di due iniziative didattiche di grande prestigio: il master di primo livello in Antropologia scheletrica, forense e paleopatologia, promosso dalle Università di Bologna, Milano e Pisa, che prevede la permanenza sul sito di scavo per due settimane di quindici studenti italiani, e la Fieldschool Pozzeveri in Medieval Archaeology and Bioarchaeology, gestita dall’Università di Pisa e da IRLAB, Institute for Research and Learning in Archaeology and Bioarchaeology di Columbus in Ohio, che richiama ogni anno una quarantina di studenti statunitensi, canadesi e di altri stati europei ed extraeuropei interessati ad apprendere le tecniche di scavo archeologico e di studio dei resti umani antichi.
I ritrovamenti
Quello che resta della battaglia di Altopascio del 1325 ci viene consegnato oggi sotto forma di piccola spada costituita da un blocco unico di metallo, una specie di pugnale chiamato baselardo, caratteristica dell’armamento medievale del XIV secolo. «L’oggetto è solo uno degli ultimi interessanti ritrovamenti dello scavo bioarcheologico di Badia Pozzeveri, che a distanza di nove anni dalla sua apertura continua a rivelare storie e notizie, grazie alle quali è possibile ricostruire gli avvenimenti storici a cavallo di più secoli e tracciare l’identikit sociale e culturale delle popolazioni che sono transitate da quelle zone», commenta Antonio Fornaciari.
Lo scavo di una sepoltura medievale.
Secondo i ricercatori, il baselardo ritrovato nelle scorse settimane potrebbe rappresentare proprio una delle tracce più tangibili della battaglia che vide protagonista la Badia di Pozzeveri, l’antico monastero costruito intorno al Mille vicino al centro di Altopascio e tappa importante della via Francigena. Un monastero che dopo un periodo di grande sviluppo grazie ai frati camaldolesi, nel settembre del 1325 viene occupato dagli accampamenti dell’esercito guelfo fiorentino guidato da Raimondo di Cardona: qui si svolsero le operazioni militari della celebre battaglia di Altopascio, che vide il trionfo delle truppe lucchesi ghibelline di Castruccio Castracani.
Ma non solo: nella stessa area in cui è stata ritrovata l’arma sono emersi anche una fornace per la gettata di una campana e un piccolo laboratorio dedicato all’attività metallurgica. E ancora i resti di ceramiche di importazione, provenienti dal nord Africa, testimoni di un’attività commerciale molto vivace e continuativa, che ancora una volta trovava il suo fulcro proprio nell’antica Abbazia, strategica per vitalità economica grazie al passaggio della Via Francigena e alla vicinanza con il lago di Bientina, naturale collegamento con il fiume Arno e quindi con Pisa e Firenze. Il tutto arricchito dagli ultimi rinvenimenti di antiche sepolture, che nei nove anni di scavo hanno delineato una stratificazione cimiteriale importantissima, capace di svelare usi, costumi, malattie e stato sociale dalla metà dell’800 e a ritroso fino a prima dell’anno Mille.
Il sito archeologico
Il sito archeologico ha rivelato negli anni una storia molto complessa: alle tracce di un villaggio altomedievale si succedono nell’XI secolo i resti di un complesso religioso incentrato su una canonica che si trasforma agli inizi del 1100 in una grande abbazia camaldolese. Gli scavi nelle ultime due campagne si sono soffermati proprio sui livelli più antichi della canonica e dell’abbazia e in particolare sulle sepolture legate a queste due importanti istituzioni. Negli anni precedenti invece sono stati portati alla luce parti cospicue della chiesa di XI secolo che precedette il monastero, del chiostro dell’abbazia e di un grande ambiente adibito a foresteria. La frequentazione del sito continuò in età moderna, quando dopo la soppressione dell’abbazia la chiesa venne ridotta a un semplice edificio parrocchiale, a cui comunque si accompagnarono nei secoli notevoli fasi cimiteriali fino alla metà dell’800. “Grazie alla continuità dell’uso cimiteriale dell’area circostante la chiesa di San Pietro - spiega il dottor Fornaciari -, è stato possibile acquisire un campione scheletrico notevolissimo, che senza soluzione di continuità spazia dall’XI al XIX secolo, un caso più unico che raro a livello europeo. I reperti umani rinvenuti costituiscono infatti un vero e proprio archivio biologico che è possibile interrogare applicando i moderni metodi bioarcheologici e biomedici”.
Il lavoro sul campo ha visto all’opera vari ricercatori provenienti dall’Università di Pisa: Francesco Coschino, responsabile dei rilievi e della documentazione informatizzata, Letizia Cavallini, Alan Farnocchia e Alessandro Cariboni, supervisors di area, Alessio Amaro, responsabile del laboratorio osteologico e Maurizio Sparavelli in qualità di tecnico restauratore; inoltre hanno collaborato ricercatori provenienti da istituzioni europee ed extraeuropee: Taylor Zanery (Università di Amsterdam) e Hanna Tramblay (Penn state University), research assistant per la documentazione e la logistica di scavo.
Il futuro dell’area archeologica
Volontà dell’amministrazione di Altopascio col sindaco Sara d’Ambrosio è di valorizzare quest’area archeologica in modo permanente: il 7 settembre si svolgerà l’inaugurazione della nuova Foresteria della Francigena, che sorge proprio a Badia Pozzeveri presso l’area degli scavi e diventerà, a tutti gli effetti, un luogo di aggregazione, di sosta e di promozione turistica, storica e culturale. Ma questo è solo l’inizio: è intenzione dell’amministrazione altopascese creare un museo con i resti emersi in questi nove anni di scavi, far conoscere l’importanza di questo sito, e poi riuscire a ottenere i fondi necessari per restaurare e riaprire l’antica Abbazia.
Stagioni più estreme, con estati più calde e aride e maggiore instabilità autunnale dovuta a forti precipitazioni specie fra settembre e dicembre. Questa potrebbe essere la tendenza futura del clima nel Mediterraneo a seguito del riscaldamento globale che emerge dallo studio dei sedimenti del lago di Ohrid, il più antico di Europa, al confine tra Albania e Macedonia del Nord. La notizia arriva da uno studio appena pubblicato sulla rivista Nature e condotto da un vasto consorzio internazionale capitanato dal professore Bernd Wagner dell’Università di Colonia e coordinato per l’Italia dal professore Giovanni Zanchetta del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa, fra i “Principal Investigator” dell’intero progetto.
La piattaforma di carotaggio durante le operazioni notturne di recupero del sedimento
“Le proiezioni dei modelli fisico-matematici sul clima futuro nel Mediterraneo a seguito del riscaldamento globale sono caratterizzate da ampie incertezze soprattutto per quanto riguarda l’andamento delle precipitazioni, da cui dipende la disponibilità idrica di oltre 450 milioni di persone – spiega Zanchetta - Per comprendere meglio i possibili scenari futuri è quindi necessario indagare il clima passato e da questo punto di vista il lago Ohrid è uno scrigno ricco di informazioni preziosissime sull’evoluzione clima nel Mediterraneo nell’ultimo milione e mezzo di anni”.
I quasi tre km di carote recuperate
Per “leggere” il clima passato e ricavare indicazioni sul futuro, i ricercatori hanno analizzate per cinque anni i quasi tre km di carote di sedimento recuperate dal fondale del lago durante una campagna di carotaggio profondo realizzata nel 2013. I campioni sono quindi stati suddivisi e analizzati presso i vari istituti di ricerca, fra cui anche i laboratori dell’Università di Pisa.
ll professore Giovanni Zanchetta e la dottoressa Eleonora Regattieri
“Le proprietà geochimiche e il contenuto di polline rinvenuti nei carotaggi hanno mostrato un aumento delle precipitazioni nel periodo autunnale e invernale, legato ad un riscaldamento delle temperature superficiali del Mar Mediterraneo, che si verifica durante i periodi caldi e interglaciali – conclude Eleonora Regattieri ricercatrice dell’Università di Pisa e coautrice dello studio su Nature- Effetti simili potrebbero quindi derivare dal recente riscaldamento climatico di origine antropica, e in questo contesto, le ricerche sul lago di Ohrid possono essere utili per migliorare le proiezioni future sul cambiamento climatico”.
I partner italiani del consorzio internazionale che ha realizzato lo studio, oltre all’Ateneo pisano sono le Università di Firenze, Bari, Reggio Emilia e Roma Sapienza, il CNR e l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (INGV).