Contenuto principale della pagina Menu di navigazione Modulo di ricerca su uniPi

con mappa definitvi con orarioL’Università di Pisa organizza il Tour di Circle U., l’iniziativa itinerante che porta nei poli didattici dell’Ateneo informazioni, testimonianze e approfondimenti su opportunità di studio, mobilità e collaborazione internazionale offerte dalla rete universitaria europea Circle U.

Circle U. è un’alleanza strategica tra nove università europee di eccellenza, pensata per costruire una vera e propria comunità accademica inernazioanle, basata sulla condivisione di valori, conoscenze e percorsi formativi innovativi.

Durante le tappe del tour sarà possibile conoscere da vicino le opportunità offerte da Circle U., tra cui:

  • Percorsi formativi innovativi e interdisciplinari sviluppati in collaborazione con le università partner;

  • Progetti di mobilità internazionale pensati per essere flessibili e integrati nel proprio piano di studi;

  • Attività e iniziative trasversali che promuovono la crescita personale, l’acquisizione di competenze trasversali e l’apertura verso il contesto europeo;

  • La possibilità di entrare a far parte di una rete internazionale di studenti, docenti e ricercatori, contribuendo attivamente alla costruzione di una comunità accademica europea.

A raccontare il progetto saranno le Circle U. Ambassador dell’Università di PisaAgata, Anna e Susanna – che condivideranno esperienze, consigli e modalità di partecipazione. Gli appuntamenti saranno animati anche dalla presenza di Radioeco, con interviste, dirette e approfondimenti dedicati.

tre ambassadors home

Date e luoghi del tour:

Polo Piagge – Mercoledì 16 aprile, ore 12:00–14:00

Polo Fibonacci – Giovedì 17 aprile, ore 12:00–14:00

Polo Porta Nuova – Martedì 13 maggio, ore 13:00–15:00

Tutte le studentesse e gli studenti sono invitati a partecipare: sarà un’occasione preziosa per scoprire come arricchire il proprio percorso universitario con un’esperienza europea, partendo proprio da Pisa.

Domenica, 13 Aprile 2025 14:43

In memoria di Massimo Testardi

massimo_testardi.jpegMassimo Testardi è nato a Cascina il 27 agosto 1949. Dal 1994 è stato segretario amministrativo dell’allora Dipartimento di Scienze Storiche del Mondo Antico e dal 1997 della Facoltà di Lettere e Filosofia fino al 2012 anno dell’abolizione delle facoltà. È andato in pensione nel 2014.

Pubblichiamo di seguito il ricordo del professore Alfonso Maurizio Iacono.

************

Di solito nel mondo accademico sono ricordati i docenti che vengono a mancare oppure qualche studente quando accade qualcosa di tragico. Ma il mondo accademico non è fatto soltanto di docenti e di studenti, è fatto anche di coloro che vengono chiamati i “non docenti”, ovverossia del personale tecnico, amministrativo, bibliotecario, senza di cui tutto il sistema universitario non potrebbe nemmeno esistere.

A volte ci si dimentica che il mondo universitario è una comunità in cui si intrecciano competenze didattiche, di ricerca, amministrative, tecniche, ma anche amicizie personali. Venerdì è venuto a mancare all’improvviso Massimo Testardi, per anni segretario amministrativo di quella che si chiamava la Facoltà di Lettere e Filosofia, oltre che del Dipartimento di Scienze dell’Antichità. Difficile raccontare e spiegare cosa sia stata per me la sua presenza nei nove anni in cui fui preside di quella Facoltà.

Il rapporto professionale iniziò prima che io fossi eletto. Ero in concorrenza con un amico oltre che collega, Piero Floriani, anch’egli purtroppo scomparso, e Massimo venne da me a dirmi che lui era amico anche di Floriani. Fu un atto di lealtà. Dato il ruolo che avrebbe avuto, fu con me chiaro sin dall’inizio. Lo apprezzai molto e capii che se fossi diventato preside, avrei potuto riporre la massima fiducia in lui. E così fu. Piero fu il primo a telefonarmi per congratularsi. Con Massimo iniziammo un rapporto professionale che divenne una forte amicizia. Al di là della vita accademica ordinaria, tra lezioni, occupazioni e Consigli di Facoltà, insieme organizzammo una Conferenza dei Presidi e le lauree honoris causa a Andrea Camilleri, Vincenzo Cerami, i fratelli Taviani, Christine Klapisch-Zuber, inoltre facemmo al Teatro Verdi di Pisa, per l’anniversario di Galilei, L’intervista impossibile con Andrea Camilleri e al Goldoni di Livorno, per l’anniversario dell’Unità d’Italia, l’Intervista impossibile a Bandi, garibaldino fondatore del Telegrafo (oggi Tirreno).

Molto di tutto ciò lo devo a lui e alla sua intelligenza che traspariva soprattutto ogni qual volta c’era da fare qualcosa di nuovo e di diverso. Gli piaceva stare, per così dire, di lato. Non gli interessava stare in primo piano. Era contento quando le cose marciavano nel verso giusto. Si preoccupava soprattutto degli altri. Massimo era sempre rassicurante sul piano organizzativo e su quello economico. L’intero gruppo della Facoltà, anche grazie a lui e alla sua apertura, partecipava alle iniziative. Talvolta per organizzare i Consigli di Facoltà andavamo, io e lui, a Marina di Pisa, al Barrino, per lavorare indisturbati e vicino al mare.

Condividevamo i sogni. Sapevo che per lui erano fondamentali la moglie Liana e la figlia Gianna, a cui va tutto il mio affetto. La sua famiglia veniva prima di ogni cosa. Lo ricordo come buono, generoso, ironico, appassionato. Dopo la pensione, la sua e la mia, abbiamo continuato a sentirci e a vederci. L’amicizia è stata più forte del rapporto di lavoro. Portavo mio figlio Giorgio, ancora piccolo, a vedere le partite a casa sua. Lui veniva spesso alle conferenze che tenevo e talvolta andavamo insieme. Avrei voluto che questa amicizia si prolungasse ancora per un po’, ma il destino ha voluto diversamente. Quello che so e che ho imparato da lui è l’idea che l’altro, gli altri vengono prima di noi stessi e il senso umano della collaborazione e della cooperazione che spesso nel mondo accademico e in questa società dove tende a prevalere arrogantemente l’individualismo,  viene dimenticato.

Oggi mi sento e sono molto più solo senza di lui.

 

Alfonso Maurizio Iacono

 

Loghi degli enti promotori

È stato pubblicato il decreto che approva il finanziamento, nell’ambito del Programma Operativo Nazionale Ricerca e Innovazione 2014-2020Asse IV “Istruzione e ricerca per il recupero – REACT-EU”Azione IV.2 “Sostegno alle famiglie per il pagamento delle tasse universitarie” (riduzione o esenzione in base alla fascia di reddito).

L’operazione, gestita dal Ministero dell’Università e della Ricerca, prevede l’esonero totale o parziale dal contributo annuale per gli studenti delle Università Statali situate nelle aree obiettivo del Programma, come previsto dal decreto ministeriale n. 1014 del 3 agosto 2021.

Per sostenere questa misura, le risorse disponibili sono state incrementate di 53.074.998,02 euro, suddivise tra Regioni più sviluppatemeno sviluppate e in transizione.

Con questo nuovo decreto, il finanziamento complessivo dell’Azione IV.2 del PON Ricerca e Innovazione 2014-2020 raggiunge quota 509.633.725,79 euro.

Con il finanziamento ricevuto l’Università di Pisa ha incrementato la no tax area per il Sostegno alle famiglie per il pagamento delle tasse universitarie; di seguito il dettaglio:

Anno accademico 2022-23:
Finanziamento totale: €27.101.488
Quota Università di Pisa: €1.810.957
Studenti e beneficiari: 2333 (esenzione totale), 935 (esenzione parziale)

Anno accademico 2023-24
Finanziamento totale: €25.948.346
Quota Università di Pisa: € 1.609.209,25 Studenti beneficiari: 2272 (esenzione totale), 974 (esenzione parziale)

Un team di ricerca congiunto, coordinato dall'Istituto nanoscienze del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Nano) e dall’Università di Pisa (Dipartimento di Farmacia), in collaborazione con l’Università di Modena e Reggio Emilia e la Scuola Normale Superiore, ha sviluppato un biosensore di nuova generazione in grado di rilevare con precisione le proteine dei virus, tra cui la proteina Spike di SARS-CoV-2 nei fluidi biologici.

Questo risultato, descritto in un articolo pubblicato sulla rivista Nanoscale, rappresenta un nuovo approccio alla progettazione di biosensori che ricorda il principio dei mattoncini Lego; utilizza una struttura modulare e flessibile, pensata per essere facilmente adattabile a diversi target molecolari.

virusjpg.jpg

Il cuore del sensore è una proteina ingegnerizzata che unisce tre funzioni in una sola sequenza. Una parte della proteina rappresenta il bersaglio da riconoscere, ed è stata costruita basandosi su frammenti della proteina Spike; una parte centrale, ispirata al recettore umano ACE2, è progettata per legarsi alla proteina Spike del virus, se presente. La terza parte, contenente la proteina fluorescente verde (GFP), agisce come una "lampadina" e produce un segnale fluorescente quando il virus è presente. Al contatto con la proteina virale, il biosensore emette quindi un segnale fluorescente facilmente rilevabile, consentendo un'identificazione rapida e precisa.

“Il biosensore è stato realizzato applicando sia le metodologie classiche di produzione di proteine ricombinanti, ma anche l’applicazione di tecnologie di nuova concezione, come per esempio la click-chemistry; grazie a queste conoscenze, derivate da ambiti diversi, abbiamo potuto realizzare un biosensore capace di rilevare quantità minime di proteina virale con una sensibilità fino a livelli sub-nanomolari" spiega Eleonora Da Pozzo dell’Università di Pisa.

"Il vero punto di forza di questo prototipo è la modularità", spiega Giorgia Brancolini di Cnr Nano, "grazie all’integrazione tra ricerca sperimentale, modellizzazione molecolare e simulazioni al computer, è stato possibile selezionare con precisione i componenti e progettare un’architettura modulare, flessibile e facilmente adattabile. Cambiando alcune sequenze, lo stesso sensore potrà essere riprogrammato per riconoscere altri virus o molecole di interesse, aprendo la strada a nuovi strumenti diagnostici rapidi, precisi e personalizzabili".

A tutela dell’innovatività e delle potenziali applicazioni di questo strumento, è in corso una Domanda di Brevetto per invenzione industriale Nazionale: Sviluppo di un sensore FRET per la rilevazione del coronavirus (Rif. 102022000025416) Data di presentazione: 13/12/2022

La ricerca è stata finanziata grazie a Spark Global con il progetto Proof-of-Concept SPARK PISA 2020-2022, "Fret sensor for the Assessment of Coronavirus Titre (FACT)" (EDP) e dal progetto PRIN2020 "Early Phase Preclinical Development of PACECOR, a Mutation-Independent Anti-SARS-CoV-2 Therapeutic Strategy" (GB).

Cnr-Nano e Università di Pisa hanno sviluppato un nuovo biosensore in grado di rilevare con precisione la proteina Spike di SARS-CoV-2 nei fluidi biologici, consentendo una rilevazione virale rapida. La ricerca è pubblicata sulla rivista Nanoscale


Un team di ricerca congiunto, coordinato dall'Istituto nanoscienze del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Nano) e dall’Università di Pisa (Dipartimento di Farmacia), in collaborazione con l’Università di Modena e Reggio Emilia e la Scuola Normale Superiore, ha sviluppato un biosensore di nuova generazione in grado di rilevare con precisione le proteine dei virus, tra cui la proteina Spike di SARS-CoV-2 nei fluidi biologici.

Questo risultato, descritto in un articolo pubblicato sulla rivista Nanoscale, rappresenta un nuovo approccio alla progettazione di biosensori che ricorda il principio dei mattoncini Lego; utilizza una struttura modulare e flessibile, pensata per essere facilmente adattabile a diversi target molecolari.

Il cuore del sensore è una proteina ingegnerizzata che unisce tre funzioni in una sola sequenza. Una parte della proteina rappresenta il bersaglio da riconoscere, ed è stata costruita basandosi su frammenti della proteina Spike; una parte centrale, ispirata al recettore umano ACE2, è progettata per legarsi alla proteina Spike del virus, se presente. La terza parte, contenente la proteina fluorescente verde (GFP), agisce come una "lampadina" e produce un segnale fluorescente quando il virus è presente. Al contatto con la proteina virale, il biosensore emette quindi un segnale fluorescente facilmente rilevabile, consentendo un'identificazione rapida e precisa.

“Il biosensore è stato realizzato applicando sia le metodologie classiche di produzione di proteine ricombinanti, ma anche l’applicazione di tecnologie di nuova concezione, come per esempio la click-chemistry; grazie a queste conoscenze, derivate da ambiti diversi, abbiamo potuto realizzare un biosensore capace di rilevare quantità minime di proteina virale con una sensibilità fino a livelli sub-nanomolari" spiega Eleonora Da Pozzo dell’Università di Pisa.

"Il vero punto di forza di questo prototipo è la modularità", spiega Giorgia Brancolini di Cnr Nano, "grazie all’integrazione tra ricerca sperimentale, modellizzazione molecolare e simulazioni al computer, è stato possibile selezionare con precisione i componenti e progettare un’architettura modulare, flessibile e facilmente adattabile. Cambiando alcune sequenze, lo stesso sensore potrà essere riprogrammato per riconoscere altri virus o molecole di interesse, aprendo la strada a nuovi strumenti diagnostici rapidi, precisi e personalizzabili".

A tutela dell’innovatività e delle potenziali applicazioni di questo strumento, è in corso una Domanda di Brevetto per invenzione industriale Nazionale: Sviluppo di un sensore FRET per la rilevazione del coronavirus (Rif. 102022000025416) Data di presentazione: 13/12/2022

La ricerca è stata finanziata grazie a Spark Global con il progetto Proof-of-Concept SPARK PISA 2020-2022, "Fret sensor for the Assessment of Coronavirus Titre (FACT)" (EDP) e dal progetto PRIN2020 "Early Phase Preclinical Development of PACECOR, a Mutation-Independent Anti-SARS-CoV-2 Therapeutic Strategy" (GB).

 

AWhatsApp Image 2025-04-10 at 09.24.31.jpegllievo e successivamente assistente del Prof. Lucio Lazzarino, Costantino Carmignani è stato Professore Ordinario di Progettazione Meccanica e Costruzione di Macchine presso l’Università di Pisa dal 1976 fino alla quiescenza nel 2010.

Si è laureato con Lode in Ingegneria Nucleare, a soli 22 anni, come allievo della Scuola Superiore Sant’Anna. Dotato di una notevole energia e di una mente brillante ha fornito contributi significativi alla comunità scientifica e all’attività di enti normativi in vari campi tra cui: l’integrità strutturale, la progettazione dei recipienti in pressione, la meccanica della frattura, i materiali compositi, la qualità e la dinamica strutturale. È stato tra i primi a dedicare una particolare attenzione ai programmi di “computer aided engineering” ed è stato un pioniere dello sviluppo di codici numerici per l’analisi strutturale con il Metodo degli Elementi Finiti.

Ha formato generazioni di ingegneri meccanici in qualità di docente, per vari decenni, del corso di Costruzione di Macchine, nel cui ruolo ha lasciato una traccia indelebile nella formazione tecnica di una moltitudine di suoi allievi.

È autore di una monografia sulla “Dinamica strutturale” (ed. ETS), è stato coordinatore del volume “La meccanica della frattura per la valutazione della affidabilità strutturale degli elementi delle macchine” (ed. Pitagora) e del volume “Non linear problems in engineering” (ed. World Scientific), nonché autore di numerosi articoli scientifici su dinamica dei rotori e analisi delle vibrazioni, nei quali ha sempre perseguito soluzioni di interesse ingegneristico e proposto tecniche innovative. È stato responsabile di unità di ricerca per progetti nazionali finanziati dal Ministero su materiali compositi e dinamica dei rotori e di diversi contratti di ricerca con industrie, come Avio GE, sulla dinamica degli ingranaggi.

Allo stesso tempo ha profuso un impegno notevole nella didattica, attività nella quale ha sempre dato grande attenzione alla formazione degli studenti. Ha ricoperto per molti anni il ruolo di presidente del Consiglio di Corso di Laurea in Ingegneria meccanica, in particolare, nel periodo che ha visto la nascita dei Diplomi Universitari e la riorganizzazione degli studi di ingegneria dall’ordinamento quinquennale all’attuale ordinamento “triennale” e “magistrale”.

I colleghi lo ricordano, oltre che come un docente dalle grandi capacità e un ingegnere a ‘tutto tondo’, anche come una persona disponibile, schietta e aperta, senza pregiudizi sia nei confronti delle persone sia delle idee.

Nel 1992 è stato insignito dell’Ordine del Cherubino dell’Università di Pisa.

 

Le colleghe e i colleghi della Scuola di Ingegneria

Le prime tracce di sfruttamento dell’olivo in Italia da parte dell’uomo provengono dalla Sicilia e risalgono a 3700 anni fa, in piena età del Bronzo. La testimonianza è la più antica di tutto il mediterraneo dopo quella di Malta che risale a 5000 anni fa. A rivelarlo è uno studio pubblicato su Quaternary Science Reviews e condotto dalle università di Pisa, della Tuscia e Sapienza di Roma.  

Le indagini hanno riguardato in particolare il sito di Pantano Grande, un’area paludosa vicino Messina. I carotaggi eseguiti in questa zona hanno restituito una sequenza continua di sedimenti di circa 3700 anni. L’analisi al microscopio ha rivelato quantità eccezionalmente elevate di polline di olivo già nella Media età del Bronzo, il che suggerisce una massiccia presenza di questi alberi e la loro possibile gestione attiva da parte delle popolazioni. 

Secondo la ricerca, l’olivo selvatico era sfruttato in modo sistematico non solo per la produzione di olio. Il legno era utilizzato come combustibile o materiale da costruzione, e le foglie servivano come foraggio per gli animali. Anche se non si trattava ancora di una vera e propria coltivazione, la sua presenza intensiva nel paesaggio suggerisce un intervento umano consapevole e mirato. 

 

carotaggi_1.jpeg

Le operazioni di carotaggio

Dopo l’Età del Bronzo, lo studio identifica altre due fasi di propagazione dell’olivo collegate a momenti chiave della storia culturale e politica della Sicilia. In epoca romana (dal II secolo a.C. al III secolo d.C.) le evidenze archeologiche e paleobotaniche convergono: il polline di olivo è associato a reperti come anfore o presse per l’olio e tutto fa pensare ad una vera e propria coltivazione. In epoca moderna (Regno di Sicilia, XIII–XIX secolo) si assiste a una nuova espansione dell’olivo. Come testimonia la documentazione storica siamo di fronte ad una olivicoltura in senso moderno, non più una gestione del selvatico.

“Il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Ateneo pisano ha contribuito al recupero e alla datazione delle carote sedimentarie, alla validazione dei dati geochimici e all’interpretazione dei risultati alla luce dell’analisi paleoambientale e climatica del sito”, racconta la professoressa Monica Bini, coautrice dell’articolo insieme al collega Giovanni Zanchetta.

“Abbiamo adottato un approccio fortemente interdisciplinare per indagare l’evoluzione storica, ecologica e culturale degli olivi in Sicilia orientale – conclude Zanchetta - questa sinergia tra scienze naturali e discipline umanistiche ci ha consentito di ricostruire le dinamiche a lungo termine dell’interazione tra uomo e ambiente, evidenziando come fattori culturali, climatici e commerciali abbiano modellato il paesaggio olivicolo. L’espansione degli olivi non è spiegabile solo con condizioni ambientali favorevoli, ma è piuttosto il risultato di scelte antropiche, pratiche agricole, e reti di scambio che hanno attraversato i millenni”.

Didascalia foto: i carotaggi nella zona Pantano Grande, un’area paludosa vicino Messina.

Link articolo scientifico:

L’Università di Pisa partner dello studio pubblicato su Quaternary Science Reviews

Le prime tracce di sfruttamento dell’olivo in Italia da parte dell’uomo provengono dalla Sicilia e risalgono a 3700 anni fa, in piena età del Bronzo. La testimonianza è la più antica di tutto il mediterraneo dopo quella di Malta che risale a 5000 anni fa. A rivelarlo è uno studio pubblicato su Quaternary Science Reviews e condotto dalle università di Pisa, della Tuscia e Sapienza di Roma.  

Le indagini hanno riguardato in particolare il sito di Pantano Grande, un’area paludosa vicino Messina. I carotaggi eseguiti in questa zona hanno restituito una sequenza continua di sedimenti di circa 3700 anni. L’analisi al microscopio ha rivelato quantità eccezionalmente elevate di polline di olivo già nella Media età del Bronzo, il che suggerisce una massiccia presenza di questi alberi e la loro possibile gestione attiva da parte delle popolazioni. 

Secondo la ricerca, l’olivo selvatico era sfruttato in modo sistematico non solo per la produzione di olio. Il legno era utilizzato come combustibile o materiale da costruzione, e le foglie servivano come foraggio per gli animali. Anche se non si trattava ancora di una vera e propria coltivazione, la sua presenza intensiva nel paesaggio suggerisce un intervento umano consapevole e mirato. 

Dopo l’Età del Bronzo, lo studio identifica altre due fasi di propagazione dell’olivo collegate a momenti chiave della storia culturale e politica della Sicilia. In epoca romana (dal II secolo a.C. al III secolo d.C.) le evidenze archeologiche e paleobotaniche convergono: il polline di olivo è associato a reperti come anfore o presse per l’olio e tutto fa pensare ad una vera e propria coltivazione. In epoca moderna (Regno di Sicilia, XIII–XIX secolo) si assiste a una nuova espansione dell’olivo. Come testimonia la documentazione storica siamo di fronte ad una olivicoltura in senso moderno, non più una gestione del selvatico.

“Il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Ateneo pisano ha contribuito al recupero e alla datazione delle carote sedimentarie, alla validazione dei dati geochimici e all’interpretazione dei risultati alla luce dell’analisi paleoambientale e climatica del sito”, racconta la professoressa Monica Bini, coautrice dell’articolo insieme al collega Giovanni Zanchetta.

“Abbiamo adottato un approccio fortemente interdisciplinare per indagare l’evoluzione storica, ecologica e culturale degli olivi in Sicilia orientale – conclude Zanchetta - questa sinergia tra scienze naturali e discipline umanistiche ci ha consentito di ricostruire le dinamiche a lungo termine dell’interazione tra uomo e ambiente, evidenziando come fattori culturali, climatici e commerciali abbiano modellato il paesaggio olivicolo. L’espansione degli olivi non è spiegabile solo con condizioni ambientali favorevoli, ma è piuttosto il risultato di scelte antropiche, pratiche agricole, e reti di scambio che hanno attraversato i millenni”.

Didascalia foto: i carotaggi nella zona Pantano Grande, un’area paludosa vicino Messina.

Link articolo scientifico:

The fig tree is a valuable resource due to its ability to adapt to difficult conditions: its deep roots reduce erosion; it attracts pollinators and wildlife, contributing to biodiversity; its fruits create economic opportunities for small farmers; and its strong cultural value promotes rural tourism. All these characteristics make the fig tree a strategic plant for the future of the Mediterranean basin. To maximise its potential in terms of sustainability and productivity, AGROFIG - Fostering agroforestry benefits through fig tree cultivation in the Mediterranean, a new European project promoted by PRIMA (Partnership for Research and Innovation in the Mediterranean Area), has just started. The project is led by the University of Pisa, with the plant genomics research group of the Department of Agricultural, Food and Agro-environmental Sciences at the forefront.

 

The plant genomics group of the Department of Agricultural, Food and Agro-environmental Sciences. From the left: Dr. Alberto Vangelisti, Prof. Andrea Cavallini, Dr. Marco Castellacci, Prof. Flavia Mascagni, Dr. Samuel Simoni, Prof. Lucia Natali, Dr. Gabriele Usai, Prof. Tommaso Giordani

 

Using tree crops resistant to adverse environmental conditions caused by climate change is essential,says Tommaso Giordani, head of AGROFIG and associate professor of Agricultural Genetics at the University of Pisa. “The fig tree has a great ability to adapt to dry, calcareous and saline environments, which makes this species extremely useful in the Mediterranean region”.

“Although fig cultivation is very ancient, even mentioned in the Bible, and Italy was the world’s largest producer until the late 1960s, production has significantly decreased in recent decades,” continues Giordani. “Our goal is to use genomic techniques to differentiate and select the best varieties and to relaunch this particularly resilient and nutritionally rich tree crop.”

At a scientific level, the team from the University of Pisa will analyse the genetic variability of Italian fig varieties and assess the impact of this crop at the agronomic, economic and soil microbiological levels, in combination with other herbaceous species such as legumes and other forages.

AGROFIG, funded for three years with over EUR 850.000, continues the work started with FIGGEN, another fig project also coordinated by Giordani. In recent years, the UniPi plant genomics group, of which he is a member, has deepened the work on this species through various scientific publications. The most recent, published in February 2025 in The Plant Journal, one of the most prestigious journals in the field of plant biology, extends the knowledge of the fig genome, which was already the subject of a paper published in the same journal in 2020.

Other professors from the Department also participate in the research project: Prof. Daniele Antichi of the Agronomy section, Prof. Monica Agnolucci of the Agricultural Microbiology section, and Prof. Gianluca Brunori of the Agricultural Economics section. Other partners are the Extremadura Scientific and Technological Research Centre (CICYTEX) in Spain, the University of Tunis El Manar (UTM) in Tunisia, the Aydın Adnan Menderes University (ADU) in Turkey, the Azienda Agricola Dimostrativa “I giardini di Pomona” (AAP), Brindisi, Italy.

 

E’ una risorsa preziosa per la sua capacità di adattarsi a condizioni difficili, le sue radici vanno in profondità riducendo l’erosione, attira impollinatori e fauna selvatica, contribuendo alla biodiversità, i suoi frutti creano opportunità economiche per i piccoli agricoltori, il suo forte valore culturale è una leva per il turismo rurale. Tutte queste caratteristiche rendono il fico una pianta strategica per il futuro del bacino mediterraneo. Per valorizzarlo al meglio in termini di sostenibilità e produttività è appena partito AGROFIG -Fostering agroforestry benefits through fig tree cultivation in the Mediterranean un nuovo progetto europeo promosso da PRIMA (Partnership for research and innovation in the Mediterranean area) e guidato dall’Università di Pisa con il gruppo di ricerca in genomica vegetale del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali in prima fila.

Utilizzare colture arboree resistenti alle condizioni ambientali avverse causate dai cambiamenti climatici è fondamentale – dice il responsabile di AGROFIG, Tommaso Giordani, professore associato di genetica agraria dell’Ateneo pisano - Il fico ha una grande capacità di adattarsi ad ambienti secchi, calcarei e salini, il che rende questa specie estremamente utile nella regione del Mediterraneo”.

“Malgrado la coltura del fico sia antichissima e raccontata anche nella Bibbia e che l’Italia sia stato fino alla fine degli anni '60 il maggior produttore mondiale, negli ultimi decenni la produzione si è ridotta notevolmente – continua Giordani – il nostro obiettivo è di usare tecniche genomiche per caratterizzare e selezionare le varietà migliori e rilanciare questa coltura arborea particolarmente resiliente e ricca dal punto di vista nutrizionale”.

 

Il gruppo di genomica vegetale del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali. Da sinistra: Alberto Vangelisti, Andrea Cavallini, Marco Castellacci, Flavia Mascagni, Samuel Simoni, Lucia Natali, Gabriele Usai, Tommaso Giordani

 

A livello scientifico, il gruppo dell’Ateneo pisano analizzerà la variabilità genetica delle varietà italiane di fico, oltre a valutare l’impatto di questa coltivazione a livello agronomico, economico e di microbiologia del terreno in associazione con altre specie erbacee come leguminose e altre foraggere.

AGROFIG finanziato per tre anni con oltre 850mila euro prosegue il lavoro avviato con FIGGEN, un altro progetto sul fico sempre coordinato da Giordani. Il gruppo di genomica vegetale di cui fa parte in questi anni ha approfondito lo studio di questa specie con varie pubblicazioni scientifiche. L’ultima nel febbraio 2025 sulla rivista The Plant Journal, una delle più prestigiose nel campo della biologia vegetale, ha esteso le conoscenze sul genoma del fico, già affrontata in un precedente lavoro del 2020 sulla stessa rivista.

Sono inoltre coinvolti in AGROFIG anche altri docenti del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali: Daniele Antichi della sezione di Agronomia, Monica Agnolucci della sezione di Microbiologia agraria, Gianluca Brunori della sezione di Economia Agraria. Gli altri partner del progetto sono sono il Centro di ricerca scientifica e tecnologica dell'Estremadura (CICYTEX) in Spagna, l'Univerità di Tunisi El Manar (UTM) in Tunisia, l'Università Aydın Adnan Menderes, (ADU) in Turchia, l'Azienda Agricola dimostrativa "I giardini di Pomona", (AAP) Brindisi, Italia.

Questo sito utilizza solo cookie tecnici, propri e di terze parti, per il corretto funzionamento delle pagine web e per il miglioramento dei servizi. Se vuoi saperne di più, consulta l'informativa