È stata presentata martedì 21 febbraio la seconda Valutazione della Ricerca (VQR) realizzata dall'ANVUR, che ha analizzato la produzione scientifica delle università italiane nel periodo 2011-2014.
Nella valutazione, che ha tenuto conto sia dell’area scientifica di riferimento dei prodotti esaminati che della classe dimensionale degli istituti, l’Università di Pisa si è collocata al primo posto nell'area scientifica 1 “Scienze matematiche e informatiche”, davanti a Padova e Roma La Sapienza, e al secondo posto nell'area scientifica 9 “Ingegneria industriale e dell'informazione”.
L'Ateneo pisano si è piazzato inoltre al quarto posto nell'area scientifica 10 “Scienze dell'antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche”, nell’area scientifica 11b “Scienze psicologiche” e nell'area scientifica 14 “Scienze politiche e sociali”. Complessivamente, ben 11 aree scientifiche delle 16 valutate dall’ANVUR risultano nella top ten delle relative classi dimensionali.
Altro dato importante riguarda le politiche di reclutamento, dove i prodotti scientifici presentati dagli addetti assunti o promossi nel quadriennio hanno portato l'Università di Pisa in prima posizione nell'area scientifica 5 “Scienze biologiche” e a buone prestazioni in diverse altre aree.
"I risultati di questa seconda VQR - ha commentato il rettore Paolo Mancarella - hanno mostrato un trend di leggero miglioramento rispetto alla precedente. L'analisi di tali dati sarà molto utile per avere un quadro complessivo e dettagliato del sistema della ricerca dell'Ateneo, in rapporto al contesto nazionale. Nello stesso tempo, i risultati potranno aiutare nella programmazione di politiche volte all’ulteriore valorizzazione delle aree che si sono mostrate più solide, ma anche alla crescita di quelle aree che appaiono ad oggi meno competitive".
Si riporta di seguito il comunicato generale prodotto dall'ANVUR, dal titolo "Nel confronto internazionale cresce la produzione scientifica dell'università italiana, ha un maggiore impatto ed è più produttiva".
È uscito il volume “La costruzione della salute nel welfare sanitario” (Pisa University Press, 2017) che raccoglie gli atti del VI Congresso Nazionale della Società Italiana di Sociologia della Salute che si è svolto a Pisa nel 2015.
Le curatrici sono Rita Biancheri, professoressa associata di Sociologia dei processi culturali del dipartimento di Scienze Politiche dell’Ateneo e Silvia Cervia, ricercatrice presso lo stesso dipartimento. Riportiamo qui un estratto dall’introduzione a firma di Rita Biancheri.
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Il volume che qui presentiamo raccoglie alcuni dei principali contributi del VI Congresso nazionale della S.I.S.S. che si è tenuto a Pisa l’11 e il 12 giugno 2015, in collaborazione con la Sezione AIS (Associazione italiana di Sociologia) Sociologia della salute e della medicina dal titolo: La costruzione della salute nel welfare socio-sanitario. Nuovi scenari e pratiche sociologiche.
I saggi sono stati selezionati con un processo di doppio referaggio cieco e sono divisi in due parti: Contributi teorici ed Esperienze, per agevolarne la lettura e rendere la fruizione maggiormente proficua, data l’ampiezza degli argomenti trattati e la difficoltà di individuare specifiche unità tematiche, come quelle proposte all’interno del convegno. La quantità consistente di relazioni presentate, nelle numerose sezioni, e la ricchezza degli apporti conoscitivi prodotti, sia sul piano della riflessione che della metodologia, non ci ha consentito di pubblicare tutti gli articoli ricevuti, ma si è dovuto procedere ad una valutazione, anche in base ai risultati conseguiti nelle indagini empiriche. Di conseguenza, l’omogeneità che derivava dai filoni di ricerca definiti per le sessioni del convegno come possibili oggetti di studio non solo sociologici, ma sui quali potessero convergere anche discipline affini, è stata sostituita da due parti più generali che ci hanno consentito di recuperarla, adattandola ai fini della pubblicazione. Abbiamo anche individuato un possibile filo rosso nella successione degli articoli, poiché l’obiettivo che il comitato scientifico si era posto, nell’affrontare un argomento così ambizioso, oltre a rinnovare il dibattito e richiamare l’attenzione sullo stato dell’arte dell’integrazione socio-sanitaria, era anche quello di dare possibili risposte in una fase di “ricalibratura” dei sistemi di welfare.
Rita Biancheri
Produrre omogeneizzati di carne, verdura e frutta biologici a Km zero e con materie prime tutte toscane. È questo l’obiettivo del progetto biennale “Peter Baby Bio” appena finanziato dalla Regione Toscana e coordinato scientificamente dall’Università di Pisa.
“Lo scopo è di mettere a punto alimenti per l’infanzia che siano innovativi per le metodologie di produzione, la tracciabilità delle materie prime, le caratteristiche nutrizionali e la sicurezza alimentare”, ha spiegato Marcello Mele, responsabile scientifico del progetto e professore del dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali dell’Università di Pisa.
“Peter Baby Bio” si inserisce nell’ampia discussione attuale sull’origine delle materie prime e sulla possibile presenza di inquinanti degli omogenizzati in commercio. Il Podere Pereto a Rapolano Terme in provincia di Sien,a che ha una documentata esperienza nei sistemi di produzione da agricoltura biologica, è l’azienda che produrrà gli omogeneizzati e che svolge il ruolo di capofila. La consulenza dietistica per le ricette degli omogeneizzati sarà fornita dall’equipe del professore Giovanni Federico, pediatra del dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale dell’Università di Pisa.
“Testeremo gli alimenti, anche per la palatabilità, cioè la gradevolezza al gusto, prima e dopo la trasformazione – aggiunge Marcello Mele - per valutare il mantenimento delle proprietà nutrizionali originali e l’assenza di sostanze inquinanti e o tossiche, anche generate durante il processo di trasformazione”.
Le analisi saranno condotte nei laboratori dell’Università di Pisa del professore Marcello Mele e della professoressa Annamaria Ranieri, e in quelli dell’Università di Siena del professore Claudio Rossi e dell’Università di Bologna della professoressa Maria Rodriguez Estrada. Il coordinamento delle attività tecniche sarà curato dalla dottoressa Alice Pollicardo, agronoma dello Studio di Agronomia BioProject, Monteroni D’Arbia di Siena.
L’avvio ufficiale del progetto sarà giovedì 26 gennaio con una giornata divulgativa che si svolgerà dalle 9.30 nell'azienda agricola Poggio Alloro a San Gimignano in provincia di Siena.
L'innamoramento modifica la biologia del cervello. Tante persone l'hanno sperimentato e anche la scienza, da decenni, ha ampiamente suffragato quella che è un’esperienza universale. L’ultimo lavoro sul tema è uscito sulla rivista americana "CNS spectrums", intitolato "Decreased lymphocyte dopamine transporter in romantic lovers", realizzato dal gruppo guidato dalla dottoressa Donatella Marazziti – dell'unità operativa Pschiatria 1 universitaria, diretta dalla professoressa Liliana Dell'Osso – (in collaborazione con i colleghi Stefano Baroni, Gino Giannaccini, Armando Piccinni, Federico Mucci, Mario Catena-Dell’Osso, Grazia Rutigliano, Gabriele Massimetti e Liliana Dell’Osso), aggiunge un ulteriore tassello al complesso mosaico della modulazione biologica dell’innamoramento.
Con questo lavoro i ricercatori hanno infatti dimostrato l'aumento di un neurotrasmettitore, la dopamina, nel cervello degli innamorati. Il coinvolgimento di tale sostanza era già stato indirettamente dimostrato da studi di risonanza nucleare magnetica funzionale che avevano evidenziato come, negli innamorati, funzionino maggiormente le aree cerebrali che usano la dopamina. Il gruppo della dottoressa Marazziti ha invece dimostrato direttamente che la dopamina è a concentrazioni più alte negli innamorati. Questa modificazione della dopamina sarebbe alla base della gioia, dell’aumento di energia, del desiderio di unione psichica e sessuale con l’altro e, in generale, del piacere legato alla relazione. Queste alterazioni di neurotrasmettitori importanti quali la serotonina e la dopamina potrebbero però anche spiegare come talvolta la relazione affettiva possa trasformarsi in una fase di vita rischiosa per alcuni individui più fragili, al punto da scatenare vere e proprie patologie psichiatriche o disturbi comportamentali quali lo stalking e l'aggressività auto e eterodiretta.
“Non ci sono dubbi – spiega la dottoressa Marazziti (nella foto a destra) - che l’innamoramento sia un forma transitoria di follia. Analizziamo bene cosa ci succede quando siamo innamorati. Siamo costantemente su di giri, spesso euforici, o alterniamo momenti di gioia ad altri di sconforto estremo se il partner ci tiene sulla corda, il pensiero è costantemente rivolto all’altro che trasfiguriamo come l’essere più straordinario che esista sulla faccia della terra. Perdiamo interesse nelle attività quotidiane che ci sembrano tutte inutili e banali, dato che il nostro unico interesse è stare con l’altro, e come e dove rivederlo”.
Già vent’anni fa la dottoressa Marazziti aveva dimostrato che esiste una modificazione biologica negli innamorati, vale a dire una riduzione della serotonina, uno dei principali messaggeri chimici del cervello, che funziona un po’ come un freno inibitore nel cervello. La riduzione della serotonina negli innamorati è simile a quella rilevata in tanti pazienti con disturbo ossessivo-compulsivo, ed è stata infatti collegata dalla psichiatra a quella particolare modalità di pensiero “ossessivo” focalizzato sul partner che, secondo gli psicologi, sembra la caratteristica più specifica dell’innamoramento. Dopo questo studio, ne sono seguiti molti altri fatti da gruppi di ricerca diversi che hanno confermato modificazioni neurobiologiche nei soggetti innamorati, come un aumento delle neurotrofine, o attivazione di specifiche aree cerebrali. Il gruppo di Pisa ha continuato a lavorare su questi percorsi di ricerca e successivamente ha riscontrato alterazioni di vari ormoni negli innamorati, e correlazioni tra ossitocina, gelosia e stili di attaccamento romantico. (Fonte Ufficio Stampa AOUP).
Sono il futuro della diagnostica clinica: parliamo di una nuova generazione di biosensori in silicio poroso nanostrutturato ultrasensibili e potenzialmente validi per lo screening “point-of-care” e a basso costo di marker tumorali o cardiaci. L’innovativa tecnologia è stata sviluppata dal gruppo di ricerca del professore Giuseppe Barillaro del dipartimento di Ingegneria dell’Informazione dell’Università di Pisa in collaborazione con l’Istituto di Fisiologia Clinica del CNR di Pisa nell’ambito del progetto Sens4Bio (Ultra-Sensitive Flow-Through Optofluidic MicroResonators for Biosensing Applications) finanziato dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca.. I risultati della ricerca sono stati pubblicati su due riviste internazionali dell’American Chemical Society: ACS AnalyticalChemistry e ACS Sensors.
“Lo scenario entro cui si collocano queste ricerche – spiega Giuseppe Barillaro - è quello dei “Lab-on-Chip” cioè dei laboratori di analisi miniaturizzati realizzati su un chip delle dimensioni di pochi cm quadrati che, entro la prima metà del XXI secolo, permetteranno di effettuare la maggior parte delle analisi chimiche e biologiche, attualmente svolte in laboratori specializzati con costi elevati, con sistemi portatili ed a basso costo”.
Il cuore dei Lab-on-Chip sono proprio i biosensori, dispositivi miniaturizzati capaci di riconoscere, per esempio, una specifica molecola di interesse clinico e diagnostico correlata a un stato patologico o ad una alterazione funzionale dell’organismo. In particolare, i biosensori ottici in silicio poroso nanostrutturato hanno potenzialmente un bassissimo costo se prodotti su larga scala, meno di un centesimo di euro per pezzo, ma di contro sono poco sensibili se adoperati in modalità label-free, cioè senza l’uso di molecole fluorescenti. Ovviare a questo inconveniente era uno degli obiettivi del progetto e per questo i ricercatori, fra cui Stefano Mariani che si è occupato della preparazione e caratterizzazione dei biosensori e Lucanos Marsilio Strambini che si è occupato dell’elaborazione dei segnali, hanno sviluppato una nuova tecnica di lettura (IAW, Interferogram Average over Wavelength Reflectance Spectroscopy) che permette di migliorare di 10mila volte le prestazioni dei biosensori.
“Non è difficile intravedere in un prossimo futuro l’utilizzo di questi biosensori in Lab-on-Chip per fare analisi sul campo mediante utilizzo di uno smartphone – concludono Stefano Mariani e Lucanos Strambini - visto che la tecnica di lettura ottica sviluppata coniuga un aumento della sensibilità con riduzione della potenza di calcolo richiesta”.
Foto, da sinistra Giuseppe Barillaro, Stefano Mariani e Lucanos Marsilio Strambini
Il 2016 si è chiuso con un tris di riconoscimenti per i professionisti della Sezione dipartimentale di Chirurgia generale universitaria dell'Aoup (diretta dal professor Giulio Di Candio), in particolare per gli interventi mini invasivi con tecnica robotica e tecnologie ultra-moderne.
Al 27° congresso nazionale di Chirurgia dell'apparato digerente tenutosi a Roma, infatti, il dottor Simone Guadagni è stato premiato dalla commissione scientifica per un video di un intervento multi-organo e multi-quadrante effettuato a Pisa con il nuovo robot Da Vinci Xi ed il nuovo lettino operatorio wireless integrato.
Inoltre, in Corea, all'VIII Congresso mondiale della Clinical Robotic Surgery Association, il gruppo di ricerca guidato da Luca Morelli, professore associato di Chirurgia generale all'Università di Pisa e in forze nella medesima Sezione, è stato premiato per un lavoro sull'utilizzo delle ultimissime novità in tema di aggiornamento tecnologico, applicate alla resezione del retto per cancro.
Infine in Perù, al X Congresso internazionale di Chirurgia endoscopica a Lima, sempre il professor Morelli (nella foto) ha tenuto due Letture magistrali proprio sull'utilizzo delle nuove tecnologie in chirurgia colo-rettale e sulla formazione dei chirurghi attraverso l'utilizzo dei simulatori, venendo nominato, nell'occasione, anche membro onorario della società. L'occasione è stata utile anche per consolidare il gemellaggio attivo da anni tra l'Università di Pisa e l'Università Ricardo Palma di Lima, una delle più prestigiose dell'America Latina e per porre le basi per portare lo sviluppo tecnologico offerto dalla chirurgia robotica anche in Perù, dove da anni è attivo un impegno da parte del gruppo pisano, grazie anche al supporto della Fondazione Arpa (www.fondazionearpa.it) presieduta dal professor Franco Mosca
Nell’ambito della convenzione di collaborazione scientifica tra l’Università di Pisa e l’Istituto Lama Tzong Khapa di Pomaia, una delegazione di docenti dell’Ateneo è stata invitata dal Dalai Lama a seguire i lavori dello Emory-Tibet Symposium che si è tenuto a Mundgod, in India, dal 18 al 20 dicembre. Al simposio sono intervenuti esperti di livello internazionale nelle discipline che riguardano la scienza della mente, come la filosofia, la psicologia, la biologia e le neuroscienze.
Nell’occasione il Dalai Lama ha voluto incontrare personalmente i professori Angelo Gemignani e Bruno Neri, membri insieme ad Alfonso Maurizio Iacono del comitato scientifico che presiede la convenzione, per discutere dello sviluppo e della prosecuzione delle iniziative già avviate nell’ambito degli accordi. Prima fra tutte il master dell’Università di Pisa in “Neuroscienze, mindfulness e pratiche contemplative” al quale già collaborano alcuni insigni studiosi dell’ILTK. Altro argomento del colloquio è stato l’organizzazione a Pisa nel 2017 di una conferenza internazionale, multidisciplinare, sulle principali tematiche legate allo studio della mente, che vedrà come ospite d’onore lo stesso Dalai Lama.
I rappresentanti della Convenzione UniPi-ILTK insieme al Dalai Lama. Da sinistra: il direttore dell'ILTK Filppo Scianna, il Ven. Massimo Stordi, Fabrizio Pallotti, interprete personale del Dalai Lama; alla sinistra del Dalai Lama i professori Angelo Gemignani e Bruno Neri.
L’Istituto Lama Tzong Khapa è uno dei principali centri in Occidente della Fondazione per la Preservazione della Tradizione Mahaiana (FPMT), sviluppatasi in Tibet a partire dal IX secolo. Al suo interno si svolgono attività di studio, formazione e approfondimento indirizzati a una migliore comprensione della natura interiore e dei processi mentali, attraverso lo studio della filosofia e della psicologia buddiste.
La convenzione tra Università di Pisa e l’ILTK ha lo scopo di promuovere un approccio multidisciplinare allo studio della coscienza e dell’interazione mente-corpo. Tale approccio si avvarrà, da una parte, dei metodi, degli strumenti e delle acquisizioni delle scienze occidentali (biofisica, neuroscienze, psicologia, psicofisiologia, filosofia della mente) dall’altra dell’enorme bagaglio di conoscenze accumulate, in oltre 2500 anni di storia, dalla tradizione buddista nel campo dell’analisi in prima persona dei processi mentali, introspezione, concentrazione, meditazione, mindfulness.
Il professor Bruno Neri (a destra) consegna al Dalai Lama una medaglia col simbolo del Cherubino. Con loro Fabrizio Pallotti, interprete personale del Dalai Lama.
L'inquinamento atmosferico provoca un danno al DNA, seppur modesto, e ciò costituisce un fattore di rischio per la salute futura dei bambini. Su questo versante, inoltre, emerge l'utilità di effettuare indagini precoci, che possano far conoscere e dunque prevenire gli eventuali pericoli. Sono questi i principali risultati raggiunti dal progetto MAPEC_LIFE ("Monitoring Air Pollution Effects on Children for supporting public health policy”), approvato nel 2013 dalla Commissione Europea nell’ambito del Programma LIFE+2012, Environment Policy and Governance. Il progetto è il primo grande studio multicentrico sugli effetti biologici precoci degli inquinanti aerei sulle cellule buccali dei bambini di 6-8 anni, residenti in cinque città italiane - oltre a Pisa, Brescia, Lecce, Perugia e Torino -, in relazione alla concentrazione di alcuni inquinanti atmosferici e alle caratteristiche socio-demografiche e agli stili di vita dei bambini.
I dati del progetto MAPEC_LIFE sono stati presentati in Rettorato da Annalaura Carducci, docente responsabile dell'unità di ricerca dell'Ateneo pisano; da Lisandro Benedetti-Cecchi, prorettore per la Ricerca in ambito europeo e internazionale; da Alberto Castelli, direttore del Dipartimento di Biologia; da Maria Luisa Chiofalo, assessore comunale alle Politiche socioeducative e scolastiche; da Marco Redini, dirigente comunale all’Ambiente; da Liliana Cori, del CNR; da Germana Delle Canne, in rappresentanza delle scuole coinvolte nel progetto.
Nel progetto, di durata triennale, è stato coinvolto il Dipartimento di Biologia dell'Università di Pisa che, oltre ad effettuare l’indagine biologica, ha sviluppato insieme alle scuole ausili didattici sui temi dell'inquinamento e sugli stili di vita sani.
A livello operativo, nella città di Pisa sono stati reclutati 210 bambini frequentanti cinque scuole primarie (Newbery, Collodi, Filzi, De Sanctis e Gereschi), situate in zone diverse della città. E’ stato richiesto il consenso dei genitori e dei bambini stessi ed è stato somministrato un questionario per rilevare la caratteristiche socio-demografiche e comportamentali che potevano avere effetti sui risultati dello studio. Per ogni bambino sono stati raccolti 2 campioni di cellule della mucosa buccale, uno nel periodo invernale ed uno nel periodo primaverile. Su questi campioni è stata determinato il numero di micronuclei, che sono un indicatore di effetto biologico sul DNA (piccoli nuclei accessori rilevabili in cellule che hanno subito un danno al DNA). Contemporaneamente al campionamento biologico è stata rilevata nell’aria la presenza di inquinanti (PM10, PM0.5, IPA, Nitro-IPA). Altri dati di inquinamento dell’aria (PM2.5, SO2, Ozono) sono stati ottenuti dalle centraline ARPAT esistenti. Per alcune città erano disponibili anche le concentrazioni di benzene, non per Pisa perché le centraline ARPAT non lo rilevano.
Risultati
A livello nazionale l’effetto biologico precoce evidenziato nelle cellule dei bambini come presenza di micronuclei è mediamente basso. Si evidenzia comunque una significativa differenza stagionale: il 52,7% dei bambini in inverno ed il 35,9% in primavera presenta almeno un micronucleo, con una media in inverno di 0,44 MN/1000 cellule e in primavera di 0,22 MN/1000 cellule. La frequenza di micronuclei risulta inoltre moderatamente influenzata dalle concentrazioni di benzene, PM2.5, SO2, e Ozono nell’aria e di IPA nel particolato ultrafine (PM0.5). L’effetto biologico precoce appare attenuato da un’alimentazione sana e aggravato da esposizione a fumo passivo e sovrappeso.
Fra le città coinvolte nello studio si sono rilevate differenze. Rispetto alle altre città, Pisa si colloca al secondo posto dopo Brescia per frequenza di micronuclei nelle cellule buccali dei bambini. La concentrazione dei micronuclei (MN) rilevata nella campagna invernale è stata di 0.5 MN/1000 cellule, nella campagna primaverile di 0.23 MN/1000 cellule, con una diminuzione significativa, come riscontrato nelle altre città. La riduzione del numero di micronuclei osservata nelle due campagne effettuate sugli stessi bambini indica la reversibilità di questo effetto biologico.
A Pisa i valori di PM10 misurati nelle scuole coinvolte sono risultati sempre inferiori al limite giornaliero di 50 µg/m3 e in linea con i dati derivanti dal monitoraggio delle 2 centraline ARPAT (Borghetto e Passi). Questo indica che anche livelli di inquinamento non molto elevati possono essere associati ad effetti biologici precoci sul DNA delle cellule buccali dei bambini.
Lo studio condotto è il più ampio nel suo genere a livello mondiale per numero di bambini coinvolti, tuttavia i dati raccolti nelle singole città riguardano un numero di soggetti troppo piccolo per poter fare analisi specifiche.
Complessivamente si può concludere che una danno al DNA, seppure modesto, è stato rilevato e che questo può indicare un rischio di futuri effetti nocivi sulla salute. Tali indagini possono avere l’utilità di mostrare gli effetti dell’inquinamento atmosferico più precocemente della rilevazione delle malattie ad esso correlate. La frequenza dei micronuclei tuttavia non può essere considerato un indicatore di rischio individuale, ma solo a livello di popolazione.
I contatti con le scuole sono stati anche l’occasione per sviluppare un progetto didattico mirato alla spiegazione dei concetti fondamentali alla base del progetto (inquinamento atmosferico, effetti sulla salute e sulle cellule, strategie di prevenzione e stili di vita sani). Sono stati prodotti ausili didattici (schede informative per gli adulti, cartone animato e video games), validati mediante uno studio pilota su 266 bambini frequentanti 7 classi degli istituti scolastici che hanno aderito al progetto. I risultati hanno mostrato una buona efficacia per l’aumento delle conoscenze dei bambini, soprattutto per gli alunni delle seconde classi. A seguito di questo studio gli ausili didattici sono stati diffusi a 140 docenti del Comune di Pisa mediante incontri formativi sulle tematiche del progetto. I docenti hanno espresso giudizio positivo sull’intervento formativo e sull’efficacia degli ausili utilizzati.
Per approfondimenti sul progetto si può consultare il sito web del progetto (www.mapec-life.eu), dove è disponibile il "Layman’s report" con i risultati conclusivi.
Ne hanno parlato:
Tirreno Pisa
Nazione Pisa
Greenreport
PisaInformaFlash.it
Controradio
gonews.it
La realtà aumentata entra in sala operatoria grazie ad un visore indossabile che assisterà e guiderà occhi e mani del chirurgo durante gli interventi. E’ questo l’obiettivo del progetto europeo VOSTARS coordinato dal dipartimento di Ingegneria dell’Informazione dell’Università di Pisa che coinvolge numerosi partner italiani ed europei, fra enti di ricerca, aziende del settore e centri clinici. Appena finanziato con circa 3,8 milioni di euro per tre anni nell’ambito dal programma d’innovazione e ricerca H2020 dell’Unione Europea, VOSTRARS - acronimo di Video Optical See-Through Augmented Reality Surgical system – punta infatti alla realizzazione di una visore indossabile con un approccio ibrido, capace di integrare e ottimizzare quanto di meglio è stato studiato e sviluppato dagli albori della realtà aumentata ad oggi.
“Grazie a questa tecnologia, il chirurgo potrà avere di fronte ai propri occhi, senza dover distogliere lo sguardo dal campo operatorio, informazioni come il battito cardiaco, l’ossigenazione del sangue e tutti i parametri del paziente – spiega il coordinatore del progetto Vincenzo Ferrari, ricercatore d’ingegneria biomedica dell’Ateneo pisano che da anni porta avanti ricerche sul tema della realtà aumentata in chirurgia– grazie al visore sarà inoltre possibile visualizzare tutte le immagini medicali acquisite prima e durante l’intervento che, perfettamente allineate con l’anatomia del paziente, daranno a chi opera ‘una vista ai raggi X’ virtuale per guidare la sua mano con estrema precisione”.
Buona parte del progetto sarà svolta presso Centro EndoCAS dell’Università di Pisa per la chirurgia assistita dal calcolatore, dove l’ingegner Fabrizio Cutolo, esperto di sistemi di realtà aumentata indossabili, affiancherà Vincenzo Ferrari nel coordinamento del progetto. Sempre in ambito pisano, il gruppo di ricerca di economia sanitaria guidato dal professore Giuseppe Turchetti della Scuola Superiore Sant’Anna lavorerà al fine di ottenere un dispositivo non solo clinicamente efficace ma anche economicamente sostenibile.
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In alto, i partner del progetto Vostars all’Università di Pisa per l’avvio ufficiale del progetto a il 12 e 13 dicembre 2016
Sotto, una applicazione della realtà aumenta in sala operatoria
È stato testato per la prima volta su un paziente l'innovativo sistema di imaging INSIDE (“Innovative Solution for Dosimetry in Hadronthreapy”) sviluppato per rendere ancora più efficace l’adroterapia, una terapia oncologica avanzata che cura i tumori non operabili e resistenti alla radioterapia tradizionale con fasci di protoni e ioni carbonio generati da acceleratori di particelle. INSIDE è frutto di un progetto di ricerca che è stato coordinato dall'Università di Pisa in collaborazione con gli Atenei di Torino e di Roma "La Sapienza", il Politecnico di Bari, l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e, per la fase sperimentale, con il Centro Nazionale di Adroterapia Oncologica (CNAO) di Pavia dove si è svolto il test sul paziente.
INSIDE è un sistema di monitoraggio innovativo, basato sulla tecnologia dei rivelatori, capace di fotografare ciò che avviene nel paziente durante il trattamento. In adroterapia, infatti, le cellule tumorali vengono irraggiate con fasci di particelle cariche (protoni o ioni) emessi da un acceleratore. Questa tecnica di altissima precisione consente di minimizzare il danno prodotto ai tessuti sani circostanti. INSIDE misura con un brevissimo scarto temporale la profondità di penetrazione nel tessuto dei fasci di particelle cariche durante il trattamento e consente di verificare che sia in accordo con il valore desiderato.
Nel dettaglio il progetto, finanziato con un PRIN di un milione di euro nel triennio 2013-2016, ha realizzato un sistema di imaging bi-modale, con uno scanner per la Tomografia a Emissione di Positroni (PET) e un tracciatore di particelle cariche in grado di funzionare durante l'erogazione del fascio di trattamento di tumori del distretto testa-collo. Dopo la sua costruzione nel febbraio 2016 presso l’INFN di Torino, il prototipo è stato installato al CNAO di Pavia, l’unico centro in Italia (e il quinto al mondo) per il trattamento di tumori mediante fasci di protoni e ioni carbonio, con cui è stato sottoscritto un accordo scientifico finalizzato alla sperimentazione dello scanner. A oggi, nel mondo, ci sono in totale 10 acceleratori impiegati nel trattamento dei tumori con adroterapia con ioni carbonio, le particelle più pesanti e “distruttive” per le cellule tumorali: 5 in Giappone, 2 in Cina e 3 in Europa. Solo 5, tra cui il CNAO di Pavia, sono in grado di utilizzare sia gli ioni carbonio che i protoni a seconda delle necessità cliniche. Alcuni giorni fa, il sistema PET è stato testato per la prima volta durante il trattamento di un paziente affetto da tumore alle ghiandole lacrimali, con risultati molto promettenti.
Il progetto INSIDE - la cui descrizione dettagliata è disponibile all'indirizzo: http://131.114.131.146/insidewiki/- è stato coordinato da Maria Giuseppina Bisogni, dell'Università di Pisa. Le unità di ricerca sono state coordinate da Piergiorgio Cerello, dell’INFN e Università di Torino, Vincenzo Patera, dell’Università "La Sapienza" di Roma, Francesco Corsi, del Politecnico di Bari, Giuseppe Battistoni, dell’INFN di Milano, e Sandro Rossi per il CNAO.
“L’impiego clinico di INSIDE - ha dichiarato la professoressa Maria Giuseppina Bisogni, dell'Università di Pisa - potrà permettere la verifica in tempo reale della qualità dei trattamenti in adroterapia, aumentandone così la sicurezza e l’efficacia". “Questa tecnologia - ha aggiunto Piergiorgio Cerello dell’INFN di Torino - rappresenta un eccellente esempio di integrazione tra rivelatori per il medical imaging, sviluppati per la diagnostica, e l’adroterapia, nata dalla fisica degli acceleratori”. “INSIDE - ha concluso Mario Ciocca, responsabile Fisica Medica della Fondazione CNAO - è un sistema che si sta dimostrando affidabile, accurato e non invasivo nel verificare in tempo reale sui nostri pazienti la corrispondenza tra la dose pianificata e quella effettivamente erogata. È un ulteriore salto in avanti in termini di sicurezza e qualità dei trattamenti con adroterapia”.
Foto in alto: il sistema di imaging INSIDE.
Foto in basso: il gruppo di ricerca con al centro la professoressa Maria Giuseppina Bisogni.