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La nostra conoscenza delle scuole filosofiche greche è in gran parte basata sulle “Vite dei filosofi” di Diogene Laerzio (III secolo d.C.). Tra le fonti a cui quest’opera attinge figura la monumentale “Rassegna dei filosofi” del filosofo epicureo Filodemo di Gadara (110-post 40 a.C.), scritta alla fine dell’età ellenistica tra il 75 e il 50 a.C. Da questo trattato, trasmesso dai papiri carbonizzati di Ercolano, è possibile ricavare un resoconto sistematico della storia delle scuole filosofiche greche storicamente più attendibile e cronologicamente più vicino alle figure e ai fatti narrati. I manoscritti originali, sopravvissuti grazie all’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. e conservati a Napoli presso l’Officina dei Papiri Ercolanesi della Biblioteca Nazionale ‘Vittorio Emanuele III’, sono di difficile lettura e le edizioni attualmente disponibili delle opere in essi contenute sono ampiamente superate.

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Basandosi sui progressi più recenti della ricerca, il nuovo progetto GreekSchools dello European Research Council coordinato da Graziano Ranocchia (nella foto in basso), docente del Dipartimento di Filologia Letteratura e Linguistica dell’Università di Pisa, in cooperazione con il CNR-ISPC, il CNR-ILC e il MiBACT-Biblioteca Nazionale di Napoli, si prefigge di testare le più avanzate tecnologie oggi a disposizione per la decifrazione di questi preziosi manoscritti.

ranocchiaIn particolare, personale del CNR-ISPC e della Biblioteca Nazionale, facendo uso di laboratori mobili della piattaforma MOLAB appartenente all’infrastruttura di ricerca europea E-RIHS, applicherà tecniche non invasive a papiri opistografi e stratificati al fine di leggere il testo inaccessibile sul verso o nascosto all’interno di strati multipli.

Combinando queste tecniche d’indagine con i metodi propri della filologia e della papirologia i docenti e i ricercatori del Dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica dell’Università di Pisa produrranno un testo critico affidabile e accresciuto della “Rassegna dei filosofi” di Filodemo attraverso un nuovo sistema editoriale.

Infine, personale del CNR-ILC svilupperà un ambiente innovativo orientato alla filologia computazionale, web-based, open access, open source e supportato da tecniche avanzate di analisi automatica del testo, finalizzato alla produzione collaborativa e conservazione a lungo termine, l’indicizzazione multidimensionale, la pubblicazione digitale e la fruizione intelligente dell’edizione.

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Il progetto, della durata di cinque anni e del valore di quasi 2.500.000 euro, si svolgerà prevalentemente a Napoli presso l’Officina dei Papiri della Biblioteca Nazionale e sarà ospitato nella sede partenopea del CNR-ISPC nei locali messi a disposizione dall’Università Suor Orsola Benincasa. Le discipline coinvolte saranno la papirologia e la paleografia, la filologia classica e la storia della filosofia antica, la fisica e la chimica, la linguistica computazionale e il settore trasversale delle digital humanities. Dalla nuova edizione si attendono importanti ricadute in vari ambiti delle scienze dell’antichità e dello studio del patrimonio culturale.

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Copyright immagini: Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Turismo (Biblioteca Nazionale 'Vittorio Emanuele III', Napoli – Consiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto di Scienze del Patrimonio Culturale).

Un gruppo di scienziati ha per la prima volta creato in laboratorio un modello 3D in vitro di microbiota intestinale umano. Il modello permetterà in futuro di comprendere gli effetti di farmaci e alimenti sui singoli individui e di personalizzare terapie e dieta. La ricerca illustrata con un articolo sulla rivista Scientific Reports è stata condotta da Giovanni Vozzi ed Emilia Ghelardi dell’Università di Pisa e da Monica Mattioli Belmonte dell’Università Politecnica delle Marche.

“Attualmente non esistono altri dispositivi capaci di riprodurre con tale fedeltà topologica, meccanica e biochimica la generazione e l’evoluzione del microbiota intestinale umano – spiega il bioingegnere Giovanni Vozzi – il modello è costituito da strutture polimeriche naturali nanofabbricate sulle quali abbiamo innestato le colture di microbiota intestinale, questo ci ha permesso di replicare in modo fedele lo strato di biofilm batterico presente nell’intestino umano così da valutare l’effetto di farmaci, probiotici, prebiotici e degli alimenti sulla composizione e biodiversità delle popolazioni microbiche residenti”.

Nell’ambito della ricerca, il gruppo di Giovanni Vozzi, ha realizzato la struttura, in termini tecnici lo “scaffold” polimerico naturale elettrofilato, su cui è stato impiantato il biofilm batterico. Il gruppo di Emilia Ghelardi, si è occupato invece della semina e della crescita del microbiota intestinale sul supporto polimerico e della sua caratterizzazione mediante studi di metagenomica e real-time PCR quantitativa.

Giovanni Vozzi è professore al dipartimento di Ingegneria dell’Informazione e al Centro di Ricerca “E. Piaggio”, insieme a lui hanno collaborato alla ricerca Carmelo De Maria, Francesca Montemurro, Francesco Biagini, Anna Lapomarda, Aurora De Acutis e Chiara Magliaro. Emilia Ghelardi è professoressa al dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia e il suo team comprende Marco Calvigioni, Alessandra Vecchione, Francesco Celandroni e Diletta Mazzantini. I due gruppi dell’ateneo pisano collaborano da tempo allo sviluppo di piattaforme bioingegneristiche utili in medicina. Su questo argomento si sono già aggiudicati un progetto MIT-UNIPI che riguardava lo studio dell’influenza del microbiota intestinale sulla pielonefrite, una malattia infiammatoria del rene.

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Gruppo di ricerca Biofabrication, partendo da sinistra Giovanni Vozzi, Francesca Montemurro, Francesco Biagini, Aurora De Acutis, Gabriele Maria Fortunato, Anna Lapomarda, Carmelo De Maria (foto di archivio scattata prima dell’emergenza Covid-19)

“Abbiamo dato l’avvio a questo filone di ricerca – conclude Emilia Ghelardi – perché siamo convinti che l’insorgere, l’acutizzarsi o il cronicizzarsi di alcune patologie siano mediati dal microbiota e che quest’ultimo abbia un ruolo predominante nel determinare l’efficacia della terapia farmacologica. Capire bene come ciò che ingeriamo alteri il metabolismo e la funzionalità degli organi permetterà in futuro di cambiare la visione sul modo di curare una patologia, affiancando ad ogni terapia una giusta dieta e personalizzando il tutto”.






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