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Sono prorogate al 14 febbraio le iscrizioni al master in Educazione ed istruzione cinofila dell’Università di Pisa. L’obiettivo è di fornire approfondite nozioni relative all'etologia del cane, alla modificazione di comportamenti indesiderati e ad una corretta gestione della relazione con questo animale, oltre che alle più moderne tecniche addestrative. La frequenza del master consente l'acquisizione di nozioni utili per la gestione di scuole di educazione cinofila e di canili rifugio. Il programma didattico comprende lezioni frontali ed esercitazioni pratiche e si avvale della collaborazione sia di docenti universitari, sia di professionisti italiani e stranieri. Per maggiori info: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Si intitola “Demal te niew” ed è un webdoc che racconta le storie di tre migranti senegalesi che, dopo un periodo in Italia, sono tornati nel loro Paese di origine e lì hanno avviato un’attività lavorativa. Il lavoro, pubblicato sul sito dell’Espresso mediapartner dell’iniziativa, è stato realizzato con il contributo di un team del KDD Lab di Università di Pisa e Isti Cnr, con il supporto dell’Infrastruttura di ricerca SoBigData che ha eseguito un lavoro di analisi e visualizzazione di dati utilizzati con lo scopo di contestualizzare le storie dei tre protagonisti del documentario nel quadro più ampio delle migrazioni attuali. In particolare ci hanno lavorato Viola Bachini, che si è occupata delle interviste e della ricerca giornalistica, Daniele Fadda e Salvatore Rinzivillo che hanno curato la parte scientifica di ricerca sui dati.
Nato da un’idea di due italiane - Silvia Lami e Marcella Pasotti - che lavorano come cooperanti internazionali in Senegal, e diretto da Roberto Malfagia de La Jetee, il webdoc è stato realizzato da un team multidisciplinare grazie al supporto dello European Journalism Centre, partendo da una ricerca etnografica condotta su decine di migranti di ritorno. «“Demal te niew” (che significa “Va’ e torna” in lingua wolof) parla di migrazioni di ritorno attraverso le storie di Karou, Ndary e Mouhammed, che dopo aver trascorso diversi anni in Italia hanno deciso di scommettere su un futuro in Senegal, il Paese in cui sono nati - spiega Viola Bachini - Il webdoc interattivo racconta la vita quotidiana, le difficoltà e i successi di questi tre piccoli imprenditori attraverso testi, foto, interviste e dati. Il documentario è interattivo perché gli utenti possono scegliere tra i diversi percorsi narrativi proposti, i dati presentati e le foto scattate in Senegal».
Per inquadrare meglio le storie dei tre protagonisti, il team del KDD Lab ha eseguito un lavoro di analisi e visualizzazione dati. «Abbiamo utilizzato dati provenienti da fonti istituzionali, come l’Istat, per raccontare meglio il fenomeno delle migrazioni tra Italia e Senegal - racconta Daniele Fadda, information designer al KDD - Inoltre, abbiamo fatto un’analisi sui volumi del traffico telefonico da e verso il Senegal, scoprendo qualcosa di più sui flussi migratori delle persone». I dati sulle chiamate internazionali senegalesi del 2013 sono stati messi a disposizione dalla compagnia telefonica Orange. All’analisi ha lavorato anche Ruben Bassani, ex studente del master in Big Data dell’Università di Pisa ed esperto di migrazioni di ritorno.
Il web doc è stato selezionato per partecipare all’Ethnographic Film Festival di Amsterdam a inizio dicembre. Sempre a dicembre, l'OIM, Organizzazione Internazionale Migrazioni, lo ha presentato a Dakar in anteprima per l’Africa. Nelle prossime settimane sarà tradotto anche in spagnolo per il sito del quotidiano El Pais e sarà presentato in diversi eventi sulle migrazioni da Trento a Londra. Il dietro le quinte delle interviste girate in Senegal la scorsa estate si trova invece sulla rivista Micron.
Il webdoc è disponibile al link: http://video.espresso.repubblica.it/inchieste/va-e-torna-la-strada-dei-migranti-il-webdoc-in-esclusiva/9607/9700.
Le foto sono di Sylvain Cherkoui – Cosmos.
I protagonisti del documentario:
Ndary, 37 anni, è socio di una gelateria italiana a Saly, località turistica sull’Oceano Atlantico. Lavorava come addetto alla segnaletica stradale a Pescara.
Karou, 35 anni, dopo 15 a Bergamo sta per avviare una produzione di tubi in plastica riciclata a Thiès. Con lui si sono trasferiti la moglie e i sei figli.
Mouhammed, 40 anni, lavora a Dakar nel commercio di abiti usati con soci italiani e senegalesi. Faceva il venditore ambulante a Como e Napoli.

Giovedì, 19 Gennaio 2017 10:18

Pubblicazione della rivista "120g"

L'associazione 120g, che promuove attività culturali interdisciplinari tra arti visive, architettura e ingegneria, ha realizzato il primo numero della rivista 120g, dedicato al tema della "lacuna" in tre casi studio differenti: Gibellina, Ground Zero e la Basilica di Siponto.

Cesare Brandi, uno dei massimi teorici del restauro italiano scrisse: “Una lacuna, per quanto riguarda l’opera d’arte, è, fenomenologicamente, un’interruzione nel tessuto figurativo, come un’interruzione nel testo di un’opera trasmesso non integralmente. Ma quel che stacca la lacuna dell’opera d’arte dalla lacuna del testo, è che la lacuna dell’opera d’arte assume un’importanza a sé, come una figuratività negativa”. Questo passaggio fa riflettere molto sul ruolo della mancanza, della perdita dovuta ad eventi catastrofici o dall’incuria del nostro patrimonio urbanistico ed architettonico, e di come questi segnino una cicatrice indelebile nelle coscienze. Oltre il forte dramma delle vite umane perse in questi eventi, ciò che resta alle generazioni successive sono la memoria e le macerie, dense di vuoti che possono essere colmati, manipolati ed enfatizzati; Proprio di questi vuoti vuole parlare questa rivista, affrontando la lacuna in tre casi studio differenti — Gibellina, Ground Zero e la Basilica di Siponto — analizzando come il rapporto con il vuoto e la mancanza giochino un ruolo chiave nel patrimonio culturale ed emotivo collettivo.

L'associazione 120g promuove attività culturali, interdisciplinari e trasversali, tra le arti visive, come l’architettura, l’ingegneria, la fotografia, il cinema, il teatro, il design industriale, il design grafico e l'illustrazione.
L’ultimo progetto realizzato in collaborazione con l’Università di Pisa ed il Sistema Museale di Ateneo è stata la realizzazione dell’allestimento della mostra monografica sull’architetto Roberto Mariani, ospitata dal Museo della Grafica di Pisa da ottobre 2016 a gennaio 2017.
Attualmente è al lavoro con il Comitato Giovani UNESCO Toscana su un progetto relativo all’educazione nelle scuole secondarie di secondo grado di Pisa e sta preparando la candidatura ai principali Film Festival di architettura di tutto il mondo con il lungometraggio “Tuscanyness”, un documentario sull’architettura toscana.

Info
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Si intitola Demal te niew ed è un webdoc che racconta le storie di tre migranti senegalesi che, dopo un periodo in Italia, sono tornati nel loro Paese di origine e lì hanno avviato un’attività lavorativa. Il lavoro, pubblicato sul sito dell’Espresso mediapartner dell’iniziativa, è stato realizzato con il contributo di un team del KDD Lab di Università di Pisa e Isti Cnr, con il supporto dell’Infrastruttura di ricerca SoBigData che ha eseguito un lavoro di analisi e visualizzazione di dati utilizzati con lo scopo di contestualizzare le storie dei tre protagonisti del documentario nel quadro più ampio delle migrazioni attuali. In particolare ci hanno lavorato Viola Bachini, che si è occupata delle interviste e della ricerca giornalistica, Daniele Fadda e Salvatore Rinzivillo che hanno curato la parte scientifica di ricerca sui dati.

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Nato da un’idea di due italiane - Silvia Lami e Marcella Pasotti - che lavorano come cooperanti internazionali in Senegal, e diretto da Roberto Malfagia de La Jetee, il webdoc è stato realizzato da un team multidisciplinare grazie al supporto dello European Journalism Centre, partendo da una ricerca etnografica condotta su decine di migranti di ritorno. «“Demal te niew” (che significa “Va’ e torna” in lingua wolof) parla di migrazioni di ritorno attraverso le storie di Karou, Ndary e Mouhammed, che dopo aver trascorso diversi anni in Italia hanno deciso di scommettere su un futuro in Senegal, il Paese in cui sono nati - spiega Viola Bachini - Il webdoc interattivo racconta la vita quotidiana, le difficoltà e i successi di questi tre piccoli imprenditori attraverso testi, foto, interviste e dati. Il documentario è interattivo perché gli utenti possono scegliere tra i diversi percorsi narrativi proposti, i dati presentati e le foto scattate in Senegal».

fadda bachiniPer inquadrare meglio le storie dei tre protagonisti, il team del KDD Lab ha eseguito un lavoro di analisi e visualizzazione dati. «Abbiamo utilizzato dati provenienti da fonti istituzionali, come l’Istat, per raccontare meglio il fenomeno delle migrazioni tra Italia e Senegal - racconta Daniele Fadda, information designer al KDD (nella foto a destra con Viola Bachini) - Inoltre, abbiamo fatto un’analisi sui volumi del traffico telefonico da e verso il Senegal, scoprendo qualcosa di più sui flussi migratori delle persone». I dati sulle chiamate internazionali senegalesi del 2013 sono stati messi a disposizione dalla compagnia telefonica Orange. All’analisi ha lavorato anche Ruben Bassani, ex studente del master in Big Data dell’Università di Pisa ed esperto di migrazioni di ritorno.

Il web doc è stato selezionato per partecipare all’Ethnographic Film Festival di Amsterdam a inizio dicembre. Sempre a dicembre, l'OIM, Organizzazione Internazionale Migrazioni, lo ha presentato a Dakar in anteprima per l’Africa. Nelle prossime settimane sarà tradotto anche in spagnolo per il sito del quotidiano El Pais e sarà presentato in diversi eventi sulle migrazioni da Trento a Londra. Il dietro le quinte delle interviste girate in Senegal la scorsa estate si trova invece sulla rivista Micron.

Il webdoc è disponibile a questo link. Le foto sono di Sylvain Cherkoui - Cosmos.


I protagonisti del documentario:

Ndary
, 37 anni, è socio di una gelateria italiana a Saly, località turistica sull’Oceano Atlantico. Lavorava come addetto alla segnaletica stradale a Pescara.

gelato1.jpg

Karou, 35 anni, dopo 15 a Bergamo sta per avviare una produzione di tubi in plastica riciclata a Thiès. Con lui si sono trasferiti la moglie e i sei figli.

tubi2.jpg

Mouhammed, 40 anni, lavora a Dakar nel commercio di abiti usati con soci italiani e senegalesi. Faceva il venditore ambulante a Como e Napoli.

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Giovedì, 19 Gennaio 2017 08:10

I corsi di dottorato

sport variAl via all’Università di Pisa la prima edizione del master “Preparatore fisico-istruttore, allenatore in sport di situazione: scherma, arti marziali, lotta e pugilato” che qualifica alla professione di allenatore "tecnico sportivo". L’obiettivo del corso è di formare professionisti in grado di seguire gli atleti a livello motivazionale e fisico e di definire strategie di gara ed innovative tecniche di gioco. Attivato dal dipartimento di Medicina e clinica sperimentale dell’Ateneo pisano, il corso fornirà nozioni di anatomia, fisiologia, biochimica, medicina, psicologia e pedagogia.

“Si tratta di un master unico nel panorama nazionale – spiega il direttore, professore Ferdinando Franzoni – voluto fortemente dall’Ateneo, dal CONI regionale toscano e dal Comune di Livorno per promuovere gli sport di situazione che negli ultimi anni hanno dato grandi soddisfazioni allo sport italiano nelle competizioni olimpiche, ma per i quali c’è il bisogno di una formazione tecnico-professionale anche di livello universitario”.

Tra i docenti figurano medagliati olimpici nelle discipline oggetto del master stesso, nonché professionisti dei settori tecnico-sportivi del CONI. Per presentare domanda di iscrizione c’è tempo sino al 10 febbraio, mentre le lezioni cominceranno il 24 febbraio. Il costo del master è di 2.500 e sono previste borse di studio. I posti disponibili sono da un minimo di 8 a un massimo di 25. Per informazioni: tel. 050 2211842, Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo..

 

Al via all’Università di Pisa la prima edizione del master “Preparatore fisico-istruttore, allenatore in sport di situazione: scherma, arti marziali, lotta e pugilato” che qualifica alla professione di allenatore "tecnico sportivo". L’obiettivo del corso è di formare professionisti in grado di seguire gli atleti a livello motivazionale e fisico e di definire strategie di gara ed innovative tecniche di gioco. Attivato dal dipartimento di Medicina e clinica sperimentale dell’Ateneo pisano, il corso fornirà nozioni di anatomia, fisiologia, biochimica, medicina, psicologia e pedagogia.
“Si tratta di un master unico nel panorama nazionale – spiega il direttore, professore Ferdinando Franzoni – voluto fortemente dall’Ateneo, dal CONI regionale toscano e dal Comune di Livorno per promuovere gli sport di situazione che negli ultimi anni hanno dato grandi soddisfazioni allo sport italiano nelle competizioni olimpiche, ma per i quali c’è il bisogno di una formazione tecnico-professionale anche di livello universitario”.
Tra i docenti figurano medagliati olimpici nelle discipline oggetto del master stesso, nonché professionisti dei settori tecnico-sportivi del CONI.
Per presentare domanda di iscrizione c’è tempo sino al 10 febbraio, mentre le lezioni cominceranno il 24 febbraio. Il costo del master è di 2.500 e sono previste borse di studio. I posti disponibili sono da un minimo di 8 a un massimo di 25. Per informazioni: tel. 050 2211842, Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo..

È considerato uno dei più grandi predatori mai esistiti sulla faccia della Terra, con esemplari che potevano superare anche i sedici metri di lunghezza e si ritiene che le sue enormi fauci potessero mordere con una forza dieci volte maggiore di quella dell’odierno squalo bianco. È il Carcharocles megalodon, un gigantesco squalo estinto che ha ispirato celeberrimi mostri marini del mondo del cinema, come il terrificante protagonista de “Lo Squalo” di Steven Spielberg, diventando una vera e propria icona pop.
Questo terribile killer del passato è stato identificato dai paleontologi grazie ai suoi resti fossili (principalmente denti e vertebre dalle dimensioni strabilianti ritrovati all’interno di sedimenti marini depositatisi tra 20 e 3 milioni di anni fa circa), ed è ormai ben noto al grande pubblico come uno spietato cacciatore delle balene degli antichi mari. Tuttavia, al netto delle speculazioni, fino ad ora le testimonianze fossili non offrivano molti dati oggettivi circa le abitudini alimentari di questo animale dalla fama leggendaria. Ma una recente ricerca coordinata dai paleontologi dell’Università di Pisa potrebbe gettare un po' di luce su questi aspetti enigmatici della storia naturale del “Megalodon”.
Da oltre dieci anni l’Università di Pisa, in collaborazione con quelle di Camerino e Milano-Bicocca e con diverse istituzioni peruviane ed europee, conduce ricerche nel deserto costiero del Perù meridionale: una delle aree più ricche al mondo di fossili di cetacei, squali, uccelli e rettili marini. Gli scheletri di questi vertebrati affiorano dalla sabbia del deserto eccezionalmente conservati e spesso ancora perfettamente articolati. I sedimenti che li racchiudono si sono depositati nel corso di milioni di anni su un antico fondale marino, poi emerso a seguito degli intensi movimenti della crosta terrestre che interessano il versante occidentale della catena Andina. “Uno dei nostri obiettivi - afferma Giovanni Bianucci, professore di paleontologia presso il dipartimento di Scienze della Terra dell'Università di Pisa e coordinatore delle ricerche in Perù - è quello di ricostruire, grazie allo studio dei fossili, l’intera fauna che visse in questi mari. Tuttavia non vogliamo limitarci a dare un nome agli animali ma, sopratutto, capire come interagivano tra loro, di cosa si nutrivano e come si sono evoluti nel corso dei milioni di anni”.
In questo tipo di studi, non sono sempre i reperti fossili più completi e spettacolari a fornire i dati più interessanti e inaspettati, ed è infatti su alcune ossa frammentarie, risalenti a circa 7 milioni di anni fa, che i ricercatori pisani e i loro colleghi hanno scoperto le lunghe incisioni lasciate dal morso di un grande squalo.
“L’approfondita analisi e lo studio di queste tracce - spiega Alberto Collareta, dottorando presso il dipartimento di Scienze della Terra di Pisa e responsabile dello studio pubblicato nella rivista internazionale “Palaeogeography, Palaeoclimatology, Palaeoecology” - hanno permesso di identificare sia gli animali 'morsicati' che il responsabile del morso. I primi sono rappresentati da foche e cetacei (fra cui la Piscobalaena nana, una balena di piccola taglia appartenente alla famiglia oggi estinta dei Cetotheriidae), mentre il loro predatore è ragionevolmente identificabile in Carcharocles megalodon, i cui denti sono gli unici che, per forma e dimensioni, possono aver prodotto le tracce osservate.
Questo è un risultato di per sé importante, perché per la prima volta possiamo dare un nome specifico a uno degli 'ingredienti' della dieta del Megalodon; ma è anche intressante il fatto che la Piscobalaena nana fosse un mammifero marino di dimensioni relativamente piccole (presumibilmente non superava i 4-5 metri di lunghezza) perché contraddice la credenza secondo cui il Megalodon si nutriva esclusivamente di grandi balene.
Se facciamo un parallelo con le abitudini alimentari dello squalo bianco, considerato un analogo moderno e 'miniaturizzato' del Carcharocles megalodon, possiamo ragionevolmente ipotizzare che questo gigantesco squalo estinto avesse una dieta ampia e diversificata che, pur comprendendo pesci e molluschi era comunque incentrata sui mammiferi marini di media taglia (foche e cetacei). Al contrario, l'ipotesi secondo cui C. megalodon era un attivo predatore di grandi balene non appare adeguatamente supportata dai dati attualistici. È anche possibile ipotizzare che l’estinzione delle balene di piccole dimensioni, fra cui i Cetotheriidae, intorno ai 3 milioni di anni fa (cioè alla fine del Pliocene) abbia privato questo grande predatore delle sue prede predilette, favorendone l’estinzione”.
“Il nostro studio - conclude Bianucci - non solo contribuisce a conoscere la biologia del più grande squalo mai esistito, ma anche a chiarire le dinamiche evolutive che hanno portato ai grandi cambiamenti nella fauna marina, spesso legati al rompersi di delicati equilibri tra prede e predatori, fino alla messa in posto della fauna attuale”.

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