Tutto esaurito nell’aula magna della ex Facoltà di Scienze per parlare di scienza, fra bufale, fake news e social network. Lo scorso 6 giugno si è svolta in Ateneo una giornata di formazione per insegnanti e studenti delle scuole superiori di secondo grado dal titolo “Anche la comunicazione scientifica è una scienza!”.
“Hanno partecipato all’incontro più di 110 tra docenti e studenti delle province di Pisa, Firenze, Livorno, Lucca, Massa Carrara, La Spezia insieme a circa 70 nostri studenti di Scienze Biologiche e Biotecnologie”, ha sottolineato il professore Filippo Barbanera, coordinatore dell’iniziativa.
La giornata si è aperta con i saluti di benvenuto del professore Alberto Castelli, direttore del Dipartimento di Biologia. Sono quindi intervenuti come relatori docenti delle università di Pisa, Torino, Trento, Trieste, della Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (Trieste), medici dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana e liberi professionisti (giornalisti scientifici, nutrizionisti, tecnici faunistici). L’obiettivo comune degli interventi è stato mettere a fuoco contenuti e metodi corretti cui dovrebbe ispirarsi la comunicazione scientifica sui mass media e sui sempre più diffusi social network. In particolare, si è parlato di inesattezze o vere e proprie bufale che circolano su temi di attualità in ambito naturalistico (dall’evoluzione ai conflitti uomo-lupo alle specie aliene ecc.) e biomedico (omeopatia, vaccini, cellule staminali, ecc.).
“E' stato un incontro molto partecipato e i commenti che abbiamo raccolto da parte degli insegnanti e degli studenti sono stati molto positivi – ha raccontato Filippo Barbanera – speriamo di poter ripetere presto il successo con qualche iniziativa analoga”.
La giornata di formazione è stata organizzata dal dipartimento di Biologia nell’ambito delle iniziative previste dal progetto “Piano nazionale Lauree Scientifiche” (PLS Biologia Biotecnologie) a cui l’Ateneo pisano aderisce insieme ad altre 42 università italiane. Il progetto, finanziato dal Ministero per l’Istruzione, Università e Ricerca, terminerà il 30 ottobre del 2018 ed ha come obiettivo finale accrescere le competenze biologiche e biotecnologiche degli studenti dell’ultimo triennio delle scuole secondarie, sviluppare le attività di autovalutazione da parte degli studenti delle scuole per una scelta più consapevole del loro futuro percorso universitario, ed aggiornare la formazione degli insegnanti. Per quanto poi riguarda gli studenti universitari, il progetto mira a ridurre il tasso di abbandono tra primo e secondo anno favorendo così il completamento del percorso di studio nei tempi previsti, ed a migliorare la didattica universitaria soprattutto negli insegnamenti del primo anno.
Ad oggi, nell’ambito del progetto PLS, circa 150 studenti di 12 scuole hanno potuto svolgere stage nei laboratori di ricerca del dipartimento di Biologia su temi concordati con i propri insegnanti. I docenti del dipartimento hanno inoltre svolto seminari nelle scuole che hanno visto un’alta partecipazione degli studenti. Similmente, gli insegnanti delle scuole interessati a partecipare a seminari di approfondimento presso il dipartimento di Biologia sono stati inseriti in un’apposita mailing list. Presso le scuole interessate, è stata poi avviata un’attività di autovalutazione in base alla quale gli studenti hanno potuto svolgere un test a risposta multipla che ricalca quello per accedere ai corsi di laurea a numero programmato di Scienze Biologiche e Biotecnologie. Infine, sono in corso azioni di tutorato nei confronti degli studenti del primo anno di Scienze Biologiche e Biotecnologie tramite attivazione di corsi di recupero di matematica con due tutor espressamente dedicati in ambito PLS, iniziative peraltro parallele allo svolgimento del corso previsto dal regolamento dei corsi di laurea.
Un innovativo laser in grado di emettere un fascio molto focalizzato è stato ottenuto grazie alla duplice natura delle onde Terahertz. Lo studio è stato pubblicato su Light: Science & Applications da un gruppo di ricercatori dell’Istituto nanoscienze del Consiglio nazionale delle ricerche (Nano-Cnr) e dell’Università di Pisa, in collaborazione con la Scuola normale superiore (Sns) e l’Università di Cambridge. Le onde Terahertz, che penetrano facilmente plastica, vestiti e altri materiali, sono una nuova frontiera della radiologia applicata alla rilevazione di armi o agenti biologici nascosti, o per evidenziare difetti nei materiali, negli imballaggi o nelle opere d'arte.
Le Terahertz sono onde elettromagnetiche 'vicine' alle microonde e all’infrarosso e hanno una natura ibrida: si propagano sia con le proprietà delle onde - come le onde radio – sia con quelle dei raggi di luce. Per questo è possibile manipolarle combinando le tecniche di questi due campi, sia con antenne che con lenti o specchi. È quanto è stato fatto nel nuovo laser, da Luca Masini, Alessandro Pitanti, Lorenzo Baldacci, Miriam Vitiello di Nano-Cnr, coordinati da Alessandro Tredicucci (foto in basso) dell'Università di Pisa, con l'obiettivo di generare un fascio di onde Terahertz altamente collimato da superare i limiti imposti dai microlaser disponibili finora.
"L’idea originale è quella di utilizzare in un unico dispositivo le due anime della radiazione Terahertz: quella ereditata dalla luce e quella proveniente dalle microonde - spiega Luca Masini di Nano-Cnr e Sns - Infatti, per generare la radiazione il dispositivo la tratta come fosse luce, usando un disco di materiale artificiale composto da strati di semiconduttore, mentre per diffonderla verso l'esterno la manipola come un’onda, utilizzando un'antenna in oro integrata nel dispositivo. Il risultato è un'emissione verticale e molto focalizzata che permette di impiegare questo laser in apparecchiature per analisi spettroscopica di materiali e di integrarlo nei nuovi laboratori miniaturizzati, i cosiddetti Lab-On-a-Chip".
Le onde Terahertz, considerate i raggi X del futuro per le grandi potenzialità di imaging (dai body scanner alla rivelazione di veleni, alle recenti applicazioni per il risparmio idrico), unite a bassi rischi per la salute, sono tra le frontiere della fotonica.
"Generare radiazione Terahertz ha rappresentato una sfida scientifica per molti anni - commenta Alessandro Tredicucci, pioniere di questo settore - ora la nuova sfida è farne una tecnologia, con dispositivi sempre meno complessi. Il nostro laser, che per la prima volta utilizza un approccio ibrido, va in questa direzione poiché permette di miniaturizzare il dispositivo e ridurre i consumi necessari per il funzionamento". Il laser è stato sviluppato nell’ambito del progetto europeo ERC SouLMan coordinato da Alessandro Tredicucci.
Riconoscersi allo specchio è una prerogativa degli esseri umani e di poche altre specie, come scimmie antropomorfe, elefanti asiatici, delfini e gazze, una capacità che presuppone una coscienza di sé e specifiche competenze cognitive e percettive. Il comune denominatore di queste specie è un cervello complesso, che spesso corrisponde a un sistema sociale altrettanto complesso. A partire da queste premesse quattro ricercatori del Dipartimento di Scienze Veterinarie e Museo di Storia Naturale dell'Università di Pisa, Paolo Baragli, Elisa Demuru, Chiara Scopa ed Elisabetta Palagi, hanno lanciato una nuova sfida scientifica per capire se anche i cavalli sono capaci di riconoscersi allo specchio. I risultati dello studio pilota sono stati pubblicati in un articolo uscito sulla rivista PlosOne e saranno presentati al pubblico in un incontro divulgativo che si svolgerà il 9 giugno alle 16.30 al Museo di Storia Naturale dell’Università di Pisa (via Roma 79, Calci).
“Abbiamo selezionato il cavallo non solo in quanto animale sociale capace di riconoscere individualmente gli esseri umani e i propri simili con modalità multisensoriali – spiega Paolo Baragli – ma soprattutto per il ruolo che questa specie ha svolto e svolge in condivisione con l'uomo, in ambito produttivo, ludico-sportivo e terapeutico grazie agli Interventi Assistiti con Animali, genericamente indicati con il termine di Pet Therapy”. “Inoltre la capacità di riconoscersi allo specchio è da considerare elemento predeterminante in forme sociali complesse sia dal punto di vista cognitivo che empatico” – aggiunge Elisabetta Palagi.
Per realizzare l’esperimento i ricercatori hanno utilizzato il mark test, una tecnica messa a punto e usata per i primati che consiste nell’applicare una marcatura colorata su un punto del corpo che l'animale può vedere solo con l'aiuto di una superficie riflettente. In questo modo il soggetto, se capace di riconoscersi, attua una serie di comportamenti volti a interagire con il segno, provando ad esempio a grattarlo via. Come controllo si applica una marcatura trasparente, invisibile, che garantisce la stessa sensazione tattile della marcatura colorata, senza però fornire alcuno stimolo visivo.
I risultati hanno rivelato che tre cavalli su quattro interagivano con la marcatura, grattandosi più frequentemente la guancia sinistra quando su essa era presente il segno colorato rispetto a quando la stessa guancia era marcata con il segno trasparente. Inoltre, uno dei tre cavalli ha mostrato un forte interesse anche quando il segno colorato era sulla guancia destra.
“Questi risultati non confermano appieno la capacità di riconoscersi allo specchio nel cavallo – specifica Elisabetta Palagi - tuttavia l'accurata video analisi ha rivelato la presenza di particolari comportamenti che i soggetti mettevano in atto esclusivamente davanti alla superficie riflettente; ad esempio, subito dopo aver esplorato la loro immagine riflessa, i cavalli guardavano dietro lo specchio, come a voler verificare l'assenza o la presenza di un altro individuo”.
A partire da questo studio pilota, i ricercatori intendono quindi sciogliere le riserve sulla capacità di auto-riconoscimento dei cavalli individuando una nuova metodologia sperimentale adatta a questi animali. Il mark test infatti è stato concepito per le grandi scimmie antropomorfe, animali con elevate capacità manipolatorie di cui i cavalli sono privi.
“La difficoltà di rimuovere la marcatura potrebbe indurre nei cavalli stati d'ansia e frustrazione che inevitabilmente ridurrebbero la motivazione a rimuovere il segno colorato, nonostante questo possa essere perfettamente percepito come presente sul proprio corpo – spiega Paolo Baragli - Abbiamo già eseguito dei nuovi test su un campione più numeroso presso il centro Addestramento Etologico (San Marcello Pistoiese) apportando modifiche al disegno sperimentale in modo da tenere conto delle specificità anatomiche dei cavalli e presto inizieremo l’analisi dei dati raccolti”.
Ne hanno parlato:
La Nazione Pisa
Il Tirreno
Il Tirreno Pisa
Larepubblica.it
Lastampa.it
Ilsole24ore.com
Fanpage.it
Agi.it
Nationalgeographic.it
Cavallomagazine.it
Controradio.it
Quotidiano.net
Pisainformaflash.it
Informazione.it
Intoscana.it
Greenreport.it
Il Ruggito del Coniglio (Rai Radio2)
Nasce all'Università di Pisa il Centro interdipartimentale di ricerca in Promozione della Salute e Information Technology (ProSIT), che si occuperà di innovazione in sanità pubblica, con l'obiettivo di progettare, realizzare, valutare e promuovere metodi e sistemi innovativi per migliorare l’accesso e l’efficienza dei servizi di prevenzione, riabilitazione e cura attraverso l’uso estensivo delle nuove tecnologie informatiche e di comunicazione. La nuova struttura - frutto della collaborazione tra i dipartimenti di Ricerca traslazionale e delle nuove tecnologie in medicina e chirurgia, Biologia, Informatica, Ingegneria dell’informazione e Civiltà e forme del sapere - è stata presentata a Palazzo alla Giornata dal rettore Paolo Mancarella, dal direttore del Centro, Pierluigi Lopalco, e dall'assessore regionale al Diritto alla salute, Stefania Saccardi.
La missione del Centro ProSIT, che ha sede al dipartimento di Ricerca traslazionale e delle nuove tecnologie in medicina e chirurgia, in via san Zeno 37, è dunque quella di promuovere e sostenere l'innovazione in sanità pubblica. Migliorare la qualità dell’offerta, l’efficacia e l’efficienza economica dei servizi preventivi è una sfida di tutti i sistemi sanitari occidentali. I cambiamenti demografici, insieme con la crescita del divario fra i budget allocati e i bisogni sanitari, impongono infatti un significativo incremento delle attività di prevenzione e promozione della salute quale mezzo più efficiente per garantire la sostenibilità del sistema nel tempo.
I nuovi strumenti di informazione e comunicazione rappresentano in questo campo una enorme opportunità per supportare i programmi di promozione della salute e migliorare l’adesione della comunità agli interventi di sanità pubblica attraverso l’innovazione. Per questo, temi di ricerca preminenti, anche se non esclusivi, del Centro saranno la comunicazione innovativa e personalizzata, la promozione della salute basata sull’analisi di Big Data e l’uso di Internet of Things per il supporto alla salute.
Oltre a promuovere iniziative nel campo dell'alta formazione, il Centro ProSIT avrà il compito di coordinare e svolgere ricerche interdisciplinari che riguardino la promozione della salute, sviluppare su questi temi attività di collaborazione con altri enti di ricerca pubblici e privati e sostenere il trasferimento tecnologico e la valorizzazione delle competenze, offrire servizi e consulenze a enti, aziende e associazioni.
"Il nuovo Centro di ricerca dell'Università di Pisa - ha dichiarato il rettore Paolo Mancarella - ha un profilo fortemente innovativo nel panorama nazionale, perché mentre nella quasi totalità degli altri casi il rapporto tra medicina e tecnologia è concentrato sul piano dell'assistenza e della terapia, esso sarà prevalentemente al servizio della prevenzione e della promozione della salute. Grazie a competenze e apporti multidisciplinari, il Centro ProSIT sarà un luogo di incontro utile a rendere fertili le idee, in cui i docenti biomedici avranno l'occasione di confrontarsi e di promuovere progetti di ricerca in collaborazione con esperti di tecnologie e di comunicazione."
"Il Centro ProSIT - ha aggiunto il professor Lopalco - funzionerà come un vero e proprio incubatore di idee. Quello che vogliamo creare è un ambiente fertile, dove le eccellenze dell'Università di Pisa nei campi tecnologico, biomedico e umanistico siano messe al servizio di studenti e giovani ricercatori che vogliano cimentarsi con le nuove frontiere della ricerca nel campo della salute. Fare incontrare idee, esperienze e competenze che altrimenti avrebbero viaggiato su binari paralleli: questa è la missione del Centro."
"Del nuovo Centro dell'Università di Pisa - ha concluso l'assessore Stefania Saccardi - condivido innanzitutto l'impostazione metodologica, con la volontà di mettere insieme competenze e discipline diverse in un'unica struttura per collaborare al raggiungimento di obiettivi comuni e condivisi. È importante, inoltre, che esso si caratterizzi sul fronte della prevenzione della malattia, che sta diventando e sempre più diventerà in futuro, un aspetto decisivo delle politiche in campo sanitario".
Siamo nel 1902 quando Guglielmo Marconi, l’inventore della radio, decide di costruire in Italia una stazione radiotelegrafica ultrapotente con l’intento di effettuare collegamenti con le Americhe e con le colonie italiane in Africa Orientale. Si sarebbe trattato della prima stazione intercontinentale in Italia e di una delle primissime al mondo. La scelta cadrà sul sito di Coltano, tra Pisa e Livorno, dove i lavori inizieranno nel 1905. Il risultato farà la storia delle telecomunicazioni.
Questo ed altro in uno studio dal titolo “Coltano: the forgotten Story of Marconi’s Early Powerful Intercontinental Station”, pubblicato dalla prestigiosa rivista “Aereospace and Electronic Systems Magazine”, a firma di Filippo Giannetti, docente di Telecomunicazioni al Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione dell’Università di Pisa e grande appassionato della figura di Gugliemo Marconi.
“La documentazione su Coltano – spiega Giannetti – è frammentaria e largamente incompleta. Molti testi sono inoltre di difficile reperimento e le ricostruzioni storiche in circolazione fino ad ora presentano spesso numerose inesattezze. Manca insomma una trattazione che sia completa dal punto di vista storico ed al tempo stesso rigorosa dal punto di vista tecnico e scientifico. Ho cercato così di colmare questa lacuna con un paziente lavoro bibliografico di ricerca delle fonti originali, raccogliendo e mettendo numerosi documenti conservati in diversi archivi, sia all'estero, tra cui quelli della Marconi Company, custoditi presso la Bodleian Library, di Oxford, sia in Italia e a Pisa, soprattutto grazie alla disponibilità del personale della biblioteca di Ingegneria. Questo è il primo studio competo sul sito di Coltano basato su documenti esistenti e, cosa estremamente importante, scritto in inglese, il che significa che tutta la comunità internazionale di studiosi potrà adesso averne accesso”.
La paziente e rigorosa ricostruzione di un contesto storico chiaro e organico sul sito e sulla palazzina marconiana dove il fisico italiano condusse i suoi esperimenti assume in questo momento un’importanza particolare, dato che la Stazione Marconi, ora in completo abbandono, è appena stata acquisita dal Comune di Pisa con l’intento di costruire un museo delle telecomunicazioni. In questo orizzonte, lo studio di Giannetti riconduce in modo storicamente fondato la scelta di Marconi di costruire una stazione radio ad una strategia di espansione commerciale della Marconi Wireless Telegraph Company in Italia, e ricostruisce in modo dettagliato le motivazioni sia storiche e sia legate alle caratteristiche del territorio che hanno portato il grande scienziato a scegliete proprio Coltano, a partire dall’alta conduttività del suolo, che facilita la trasmissione delle onde radio. Grazie alle sue caratteristiche uniche, la stazione di Coltano superò molti dei record del tempo.
“Al momento della sua entrata in servizio, nel 1911, oltre ad essere la prima in Italia –conclude Giannetti – venne salutata dal New York Times come la più potente al mondo, riuscendo a coprire con il proprio segnale circa un sesto della superficie terrestre. Fu inoltre la prima stazione ad inviare un segnale in grado di oltrepassare l’intero deserto del Sahara raggiungendo Massaua, in Eritrea. Infine, è stato attraverso la stazione di Coltano che, dal suo ufficio a Roma, Marconi accese le luci della gigantesca statua Cristo a Rio de Janeiro, il 12 ottobre 1931, in occasione delle celebrazioni per i 439 anni della scoperta dell’America”.
Una curiosità che emerge dallo studio di Giannetti è l'esistenza di una stazione "gemella" di quella di Coltano, cioè con la stessa struttura del sistema di antenne, installata nel 1914 della società Marconi nelle isole Hawaii.
La parola fine per il sito di Coltano venne decretata dallo scoppio della seconda guerra mondiale, con la totale militarizzazione dell’area e con i bombardamenti e le devastazioni che interessarono tutta l’area di Pisa nell’estate del 1944. La palazzina marconiana e l’intero sito, ora attendono un serio progetto di recupero e valorizzazione.
La Stazione Marconi com’è ora.
Marconi (quinto da sinistra) di fronte alla stazione di Coltano, a lavori quasi ultimati, il 6 giugno 1910.
L'Università di Pisa dedica un approfondimento e una riflessione al progetto industriale, sociale e culturale avviato da Adriano Olivetti in Toscana. La ricerca, che parte dal percorso fotografico sulle architetture olivettiane di Ivrea, curato dal fotografo di architettura Gianluca Giordano, è frutto dell'iniziativa del dipartimento di Ingegneria dell'Energia, dei Sistemi, del Territorio e delle Costruzioni, di quello di Civiltà e Forme del Sapere e del Museo degli Strumenti per il Calcolo, in collaborazione con la Fondazione Centro Studi sull’Arte Licia e Carlo Ludovico Ragghianti e con l’Associazione Archivio Storico Olivetti. In particolare, il gruppo di lavoro comprende la professoressa Denise Ulivieri, ricercatrice di Storia dell'Architettura, il professor Marco Giorgio Bevilacqua, presidente del corso di laurea magistrale in Ingegneria edile-architettura, i professori Fabio Gadducci e Giuseppe Lettieri, rispettivamente direttore e vice-direttore del Museo degli Strumenti per il Calcolo, il professor Sandro Paci del dipartimento di Ingegneria civile e industriale, le dottoresse di ricerca Stefania Landi e Lucia Giorgetti, del dipartimento di Ingegneria dell'Energia, dei Sistemi, del Territorio e delle Costruzioni.
I primi risultati saranno diffusi con una mostra fotografica che sarà inaugurata al Museo degli Strumenti per il Calcolo durante l’Internet Festival, dal 5 all'8 ottobre prossimi. Il Museo conserva una preziosa collezione di mainframe Olivetti degli anni Sessanta, oltre alla Calcolatrice Elettronica Pisana, il primo calcolatore scientifico costruito in Italia. Frutto di una joint venture fra Università di Pisa e la stessa azienda di Ivrea, la CEP simboleggia la perfetta integrazione e sinergia tra impegno produttivo, società e cultura nel panorama italiano e internazionale di Olivetti.
Le architetture toscane della Olivetti indagate attraverso immagini – fotografie realizzate da celebri fotografi, istantanee degli architetti ideatori di tali architetture, scatti realizzati per le riviste di settore e non, le raccolte relative all’uso collettivo degli spazi – stimolano un dialogo immediato e diretto. Gli edifici toscani testimoniano, infatti, “l’idea di una comunità concreta” attraverso la loro configurazione architettonica, il loro rapporto con il territorio e la loro organizzazione degli spazi.
Ciò nonostante l’urbanistica e l’architettura costituiscono parte essenziale di un pensiero, quello di Adriano Olivetti, ancora più vasto, che mette al centro l'economia, la società e la comunità.
Il "viaggio espositivo" si articolerà, dunque, in una serie di percorsi conoscitivi con lo scopo di raccontare temi, eventi, personaggi che hanno segnato intimamente la vicenda di Adriano Olivetti in Toscana: l’incontro con Carlo Ludovico Ragghianti che avviene nel campo della "diffusione della cultura" e tutte le iniziative a esso collaterali, così come la rete delle relazioni che il critico Ragghianti intreccia con studiosi, artisti e personalità legati direttamente o indirettamente all’azienda Olivetti. E ancora, i Centri comunitari della Valdera dove gli “urbanisti condotti” affrontano i temi dell’urbanistica fra gli operai e i contadini, o il Laboratorio di Ricerche Elettroniche Olivetti ospitato nelle immediate vicinanze di Pisa dove un gruppo di giovani ricercatori guidati da Mario Tchou lavora alla realizzazione dell’Elaboratore Elettronico Aritmetico - Elea.
La ricerca, tuttora in corso all’Associazione Archivio Storico Olivetti, alla Fondazione Ragghianti di Lucca e ad altri archivi, arricchirà di significato le immagini in mostra, ricostruendo l’esperienza toscana di Adriano Olivetti con materiali documentari inediti e rivelando inaspettati risvolti sociali e culturali propri dell'esperienza del grande industriale di Ivrea.
Foto in alto: la professoressa Ulivieri alla conferenza di presentazione del progetto tenuta a Milano negli scorsi giorni.
Foto al centro: l'Olivetti Programma 101, da molti considerato il primo esempio di personal computer.
Foto in basso: Officine ICO, Ivrea, architetti Luigi Figini, Gino Pollini, foto di Gianluca Giordano.
Ci sono anche i bioingegneri dell’Università di Pisa fra i padri dell’Homo Creatus che da maggio fa ufficialmente parte dell’esposizione permanente del “Museon”, il Museo della Cultura e della Scienza de L’Aia nei Paesi Bassi.
Accanto ai modelli dell’Homo Neanderthalensis, dell’Homo erectus, dell’Homo habilis e di Lucy, l’Homo Creatus rappresenta l’ultimo step dell’evoluzione umana e mostra tutte le parti del corpo che possono essere ricostruite e rigenerate grazie alle più recenti tecniche di biofabbricazione e stampa tridimensionale bio-inspirata come ad esempio strutture ossee, cartilagini o condotti vascolari. A svilupparlo è stato un pool di venti istituti di ricerca europei selezionati dal Ministero della Cultura e della Scienza olandese che rappresentano l’eccellenza del settore. E fra questi anche il gruppo di Biofabrication diretto dal professore Giovanni Vozzi del Centro di Ricerca “E. Piaggio” dell’Università di Pisa che ha realizzato e donato le costole in resina biocompatibile.
“Devo ammettere che inizialmente la richiesta da parte del Museon di partecipare alla realizzazione di Homo Creatus - racconta Giovanni Vozzi- mi lasciò un po’ interdetto. Infatti , riuscire a trasmettere al pubblico senso dell’evoluzione umana e della scienza applicata alla salute dell’uomo semplicemente tramite l’esposizione di parti anatomiche ricostruite tridimensionalmente con materiali similari biocompatibili mi sembrava di difficile lettura per un pubblico non sempre avvezzo alle nuove scoperte scientifiche”.
La scelta concordata con i partner europei è stata quindi quella di realizzare accanto all’Homo Creatus un vero e proprio percorso interattivo per mostrare il grande lavoro che c’è dietro la realizzazione di ogni singola protesi, ma anche tutti i limiti delle attuali tecnologie biomedicali. Grazie a dei touch-screen, i visitatori possono così toccare le varie parti del corpo che sono riproducibili, vedere come si realizzano le protesi e persino stamparne in diretta alcune in 3D.
“Per me ed il mio gruppo è stato emozionante partecipare a questo progetto perché abbiamo cercato per quanto di nostra competenza di rendere più facilmente comprensibile il nostro lavoro di ricerca e di sperimentazione - ha concluso Vozzi - il Centro Piaggio dell’Ateneo è uno dei pochi in Italia che porta avanti la ricerca nell’ambito della Biofabrication e posso anche affermare con certezza che è stato anche il primo ad aver aperto la strada a questa nuova branca della ricerca, dal momento che nel 2010 fui l’unico ricercatore italiano a partecipare attivamente in qualità di socio fondatore alla istituzione della International Society for Biofabrication”.
Un Ateneo fortemente attrattivo, con quasi la metà dei laureati magistrali proveniente da fuori regione, che assicura percentuali occupazionali più alte e maggiori guadagni rispetto sia alla media toscana che a quella nazionale. È questa, in estrema sintesi, la fotografia dell'Università di Pisa che emerge dal XIX Rapporto sul profilo e sulla condizione occupazionale dei laureati, presentato a Parma negli scorsi giorni da AlmaLaurea, il consorzio interuniversitario al quale aderiscono 74 atenei.
I laureati 2016 dell'Università di Pisa coinvolti nel Rapporto sono stati 6.844: si tratta di 3.643 di primo livello, 2.248 magistrali biennali e 924 a ciclo unico; i restanti sono laureati pre-riforma. Più di un terzo di loro (34%) arriva da fuori della Toscana, quota che sale al 44% per quanto riguarda i magistrali biennali, anche se Pisa rispetto al dato regionale e a quello nazionale registra una quota più bassa di laureati con cittadinanza estera. I laureati pisani sono inoltre più bravi dei loro colleghi, avendo un miglior voto medio di laurea, ma più lenti, con una minore percentuale di studenti che riescono ad acquisire il titolo di laurea entro gli anni di corso. Altri aspetti con qualche criticità, soprattutto ai fini della prospettiva occupazionale, riguardano la percentuale di studenti che svolge tirocini curriculari, che si reca all'estero per studiare e che associa allo studio altre esperienze di lavoro.
Sostanzialmente in linea con i dati toscani e italiani, i laureati dell'Ateneo pisano si dichiarano soddisfatti dell’esperienza universitaria e del rapporto costruito con i docenti, con una percentuale che tocca rispettivamente l’86% e l'83%. Sette su dieci si iscriverebbero di nuovo all’università, confermando sia il corso di studio che l’ateneo (in Toscana tale percentuale è del 69% e in Italia del 68,1%).
L’indagine sulla condizione occupazionale ha riguardato complessivamente 12.362 laureati dell'Università di Pisa. I dati si sono concentrati sull’analisi delle performance dei laureati triennali e magistrali biennali usciti nel 2015 e contattati a un anno dal titolo e su quelle dei laureati magistrali biennali usciti nel 2011 e coinvolti dopo cinque anni.
Il tasso di occupazione dei laureati triennali a un anno dalla laurea - che comprende anche la quota di coloro che sono in formazione retribuita, secondo le indicazioni dell’Istat - è del 70%, migliore di due punti sulla rilevazione dello scorso anno. Il 30% degli occupati può contare su un lavoro alle dipendenze a tempo indeterminato (compreso quello a tutele crescenti), mentre il 16% svolge un’attività autonoma effettiva (liberi professionisti, lavoratori in proprio, imprenditori e così via). Il dato positivo è che la retribuzione media dei laureati pisani, di 1.123 euro mensili netti, è superiore a quanto guadagnano in media i colleghi della Toscana (1.081 euro) e dell'Italia (1.104 euro). Poco più della metà di questi laureati, considera il titolo molto efficace o efficace per il lavoro che viene effettivamente svolto.
Il tasso di occupazione sale al 74% per i laureati magistrali biennali dell'Ateneo pisano, un dato migliore rispetto a quello toscano (73%) e italiano (71%). Più alta è anche la retribuzione media, che per i pisani è di 1.233 euro mensili netti, contro i 1.142 euro della Toscana e i 1.153 euro su base nazionale.
A cinque anni dal conseguimento del titolo, infine, l’86% dei laureati magistrali biennali è occupato: il 58% di questi ultimi è assunto con contratto a tempo indeterminato (compreso quello a tutele crescenti) e il 18% svolge un lavoro autonomo. Sul piano delle retribuzioni, l'Università di Pisa si conferma come un ottimo investimento, registrando una media di guadagno netto mensile di 1.514 euro, contro i 1.413 euro della Toscana e i 1.405 euro dell'Italia. I settori di maggior impiego sono quelli dei servizi (67%) e dell’industria (30%).
“Anche quest’ultima indagine - ha dichiarato il professor Rossano Massai, delegato del rettore al Job Placement - mette in evidenza come il conseguimento di un titolo universitario rappresenti un valore aggiunto che può dare un vantaggio lavorativo e retributivo consistente. L’Università di Pisa sta contribuendo ad accrescere il numero di laureati con una buona preparazione. Tuttavia un numero sempre crescente si dichiara propenso ad andare a lavorare all’estero: sta quindi al sistema produttivo italiano fare in modo che l’elevata preparazione dei nostri laureati rimanga nel nostro paese evitando che tante energie e tante competenze vengano assorbite da altre nazioni”.
La scheda completa con il Rapporto 2017 sul profilo e la condizione occupazionale dei laureati dell'Università di Pisa è disponibile sul sito del Job Placement, all'indirizzo: http://goo.gl/UCRuPe.
Serena Molla, Luca Gorreri e Linda Rossi sono i tre studenti dell’Università di Pisa vincitori del contest fotografico indetto dal Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali.
Il concorso, riservato agli studenti di agraria, quest’anno era dedicato al tema “Piante e animali”. La cerimonia di premiazione si è svolta venerdì 19 maggio al dipartimento di Scienze Agrarie in occasione della “Giornata Internazionale del Fascino delle Piante” celebrata con un convegno in cui si è parlato dei complessi rapporti fra mondo vegetale e animale nel corso di milioni di anni di coevoluzione.
A premiare i tre studenti è stato il maestro di fotografia naturalistica Carlo Delli, presidente della giuria del concorso. Serena, Luca e Linda, che si sono classificati rispettivamente prima, secondo e terza, si sono aggiudicati una fornitura di libri, abbonamenti a periodici tecnico-scientifici e materiale tecnico.
"Looking forward from a Knautia" di Serena Molla, primo premio
"Connubio prezioso" di Luca Gorreri, secondo premio
"Madama Butterfly" di Linda Rossi, terzo premio
L’utilizzo delle autostrade del mare in Italia è più conveniente del trasporto tutto-strada. E’ questa, in sintesi, la conclusione di uno studio, relativo ai collegamenti tra la Penisola italiana e la Sicilia, condotto all’Università di Pisa da un gruppo di ricercatori del dipartimento di Ingegneria Civile e Industriale e del Polo universitario Sistemi Logistici di Livorno, composto dai professori Marino Lupi e Antonio Pratelli e dai dottori Alessandro Farina e Denise Orsi.
Lo studio, pubblicato sul “Journal of Transport Geography”, ha messo a confronto i tragitti “tutto strada”, in cui l’unica parte marittima è l’attraversamento dello Stretto di Messina, e quelli “intermodali”, cioè strade più Autostrade del Mare (AdM), in modo tale da confrontare i costi monetari e i tempi di trasporto a partire dalle principali città della penisola italiana e verso i più importanti centri della Sicilia.
“Dal punto di vista del costo monetario il tragitto intermodale è quasi sempre il più conveniente – spiega Antonio Pratelli - mentre dal punto di vista del tempo il tutto strada risulta conveniente solo per alcune coppie origine/destinazione: dipende dalla disponibilità e dalla frequenza delle rotte e dalla posizione geografica delle città di origine e di destinazione”.
In termini assoluti, per fare alcuni esempi, il vantaggio di utilizzare le Autostrade del Mare può andare dalle 8 ore circa nella tratta Napoli-Messina o quantificarsi in quasi 1.000 euro nel tragitto fra Venezia e Palermo.
Nella seconda parte dello studio i ricercatori hanno quindi confrontato i dati e il modello di rete intermodale che hanno realizzato con i tragitti effettivamente scelti dai trasportatori attraverso una campagna di interviste ad alcune aziende che operano tra la penisola e la Sicilia. Quello che è emerso è che le scelte operate dalle aziende sono il più delle volte in linea con i risultati ottenuti dal modello. “Le aziende del nord Italia scelgono quasi sempre il trasporto intermodale, date le maggiori distanze – dice Alessandro Farina – al contrario di quelle del sud che utilizzano con maggior frequenza il tutto strada”.
“Il nostro studio ha evidenziato che è necessario incrementare il numero di rotte e le frequenze di quelle esistenti – ha concluso Marino Lupi - una ragione fondamentale per cui in Italia il trasporto merci tramite Autostrade del Mare è ancora una percentuale minoritaria è dovuta alle poche rotte in esercizio, specialmente nell’area adriatica, dove c’è solo la Ravenna – Brindisi – Catania, senza alcun collegamento con il nord-est e con Trieste malgrado l’alta densità di attività produttive e di strutture logistiche esistenti nell’area”.