Trentasette studenti dell’Università di Pisa si sfideranno a colpi di progetti d’impresa per conquistare la possibilità di fare uno stage di almeno sei mesi nelle sedi europee di Unicredit. Ad dare questa possibilità è “Business Plan in Progress”, una iniziativa promossa dalla professoressa Giovanna Mariani del dipartimento di Economia e Management che coinvolge gli allievi del corso di laurea in Banca, finanza aziendale e mercati finanziari.
“E’ un primo passo importante verso la carriera e un confronto reale con il business– spiega Giovanna Mariani – quest’anno poi è cresciuto il numero delle aziende che daranno la possibilità ai nostri studenti di sviluppare un vero business plan, affiancati da manager ed imprenditori d'esperienza”.
Le imprese coinvolte in questa ottava edizione, per la quale è stato fondamentale il contributo organizzativo di Confindustria Livorno Massa Carrara e dell’Unione Industriale Pisana, sono Unicredit, Gruppo Lapi, Netresults, Pes e due nuove start-up.
La discussione dei business plan avverrà il 17 dicembre presso il dipartimento di Economia e Management alla presenza degli imprenditori e del dottor Andrea Burchi, direttore della Regione Centro Nord di Unicredit (Toscana, Emilia Romagna, Umbria, Marche), che dovrà valutare i progetti individuando il team migliore.
È attiva da alcune settimane la Consigliera di fiducia dell'Università di Pisa, che ha il compito di prevenire e contrastare discriminazioni e molestie nei luoghi di lavoro e di studio. Questa nuova figura di garanzia è stata istituita all'inizio dell'anno, dopo il passaggio negli Organi dell'Ateneo, ed è stata individuata al termine della procedura di selezione e nomina nell'avvocata Chiara Federici, che ha iniziato a svolgere la sua attività dai primi giorni di ottobre e che durerà in carica per tre anni.
Le funzioni, i compiti e gli obiettivi della Consigliera di fiducia sono stati illustrati lunedì 12 novembre, in rettorato, dalla stessa avvocata Federici, insieme alla prorettrice vicaria, Nicoletta De Francesco, che ha anche la delega sulle questioni di genere, e alla presidente del Comitato Unico di Garanzia (CUG), Elettra Stradella.
Il ruolo della Consigliera di fiducia è stato disciplinato da uno specifico Regolamento emanato dal rettore Paolo Mancarella nel dicembre scorso, su proposta del CUG, dando risposta all'esigenza ampiamente condivisa di dotare l’Ateneo di un importante strumento di gestione dei conflitti e di garanzia del benessere lavorativo. Tutte le persone appartenenti alla comunità universitaria possono così rivolgersi alla Consigliera per ottenere supporto contro discriminazioni e molestie, oltre che a difesa del rispetto della loro dignità, intimità e onore.
La Consigliera, in piena autonomia e nel rispetto della riservatezza di tutte le persone coinvolte, presta la sua assistenza, consulenza e attività di ascolto a tutela di chi si ritenga vittima di discriminazioni o molestie e si adopera per la soluzione del caso. Può inoltre acquisire testimonianze e accedere a eventuali atti amministrativi inerenti il caso in esame, proporre incontri a fini conciliativi e di mediazione, e, comunque, può suggerire azioni utili ad assicurare un ambiente di lavoro rispettoso della libertà, eguaglianza e dignità delle persone coinvolte.
La Consiglierà riceve su appuntamento, in condizioni tali da garantire il pieno rispetto della riservatezza, attraverso un contatto mail all’indirizzo Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
“L’istituzione della Consigliera di fiducia - ha sottolineato la professoressa Stradella - è stata fortemente voluta dal CUG per colmare un vuoto nel nostro Ateneo. Una risoluzione del Parlamento Europeo del 1994 già delinea il ruolo di questa figura, ma l’Unione Europea è intervenuta, anche successivamente, a orientare le istituzioni verso l’adozione di questo concreto strumento di difesa del rispetto della dignità delle persone nei luoghi di lavoro. Voglio segnalare che alla Consigliera possono rivolgersi tutte e tutti coloro che studiano e lavorano all’Università di Pisa, qualsiasi sia la loro tipologia di rapporto, anche quando operino temporaneamente nelle strutture dell’Ateneo. Questo è importante perché le persone che più spesso subiscono comportamenti discriminatori e abusi di potere sono le più giovani, che si trovano in condizioni di subordinazione gerarchica o che sono nelle prime fasi della carriera, con posizioni precarie”.
“Abbiamo voluto assegnare alla Consigliera un ruolo importante - ha concluso la professoressa De Francesco - mettendola in relazione sia, ovviamente, con il CUG, sia con la Commissione etica, alle cui sedute può essere chiamata a partecipare. Il suo operato si pone in attuazione del nostro Codice etico che sanziona molte delle condotte che potrebbero diventare oggetto di attenzione della Consigliera, dalle prassi discriminatorie, agli abusi di posizione, fino ai favoritismi, e sancisce i principi ai quali l’azione della Consigliera si ispirerà, basti pensare all’eguaglianza, alla parità di trattamento e alla valorizzazione del merito. Siamo certe che questa figura sarà efficace, perché ha la concreta possibilità di intervenire chiamando e ascoltando i protagonisti delle vicende che le vengono presentate, nonché di accedere ai documenti relativi ai casi, e, con i suoi compiti di conciliazione e mediazione, contribuirà a favorire un clima di lavoro sereno e collaborativo all’interno della nostra comunità accademica".
Nella foto in basso: da sinistra, Chiara Federici, Nicoletta De Francesco e Elettra Stradella.
Fabrizio Franceschini (foto a destra) il nuovo direttore del Centro interdipartimentale di Studi Ebraici dell’Università di Pisa (CISE). In carica da novembre, il professore di Linguistica Italiana nel Dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica dirigerà il Centro per i prossimi tre anni.
Il CISE, nato nel 2003, si è affermato come un’importante realtà italiana nel campo dei Jewish Studies, con ricerche che spaziano dal Medioevo all’ebraismo contemporaneo, e ha contribuito all’organizzazione delle iniziative di “San Rossore 1938” legate all’80 esimo anniversario della firma leggi razziali.
Fabrizio Franceschini guida anche il Progetto di Ricerca d’Ateneo Shem nelle tende di Yafet. Ebrei ed ebraismo nei luoghi, nelle lingue e nelle culture degli altri ed ha appena tenuto una serie di lezioni su Primo Levi in università statunitensi come la Princeton University e la University of Notre Dame.
“Il vivo interesse e le ricche discussioni che hanno accompagnato le mie lezioni a Princeton e Notre Dame – dichiara Franceschini – confermano che Pisa è un centro significativo di studio e di ricerca sull’opera di Primo Levi in tutti i suo aspetti storici, letterari e linguistici. Su questi temi il CISE lavorerà anche l’anno prossimo, quando ricorreranno l’anniversario della nascita di Levi e di un’altra sopravvissuta da Auschwitz, la livornese Frida Misul, il cui diario inedito dell’arresto e della prigionia sarà da me prossimamente pubblicato”.
“Accanto a questo filone di studi e a una serie di seminari interdisciplinari – conclude Franceschini – il programma del mio mandato, condiviso dai colleghi e dal precedente direttore Alessandra Veronese, prevede iniziative tese a radicare gli Studi ebraici negli ordinamenti istituzionali della nostra Università. Come infatti ha sottolineato la Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Noemi Di Segni, nell’importante Cerimonia delle Scuse tenutasi all’Università di Pisa lo scorso 20 settembre, il conseguente sviluppo degli impegni ivi assunti dalle Università italiane sono nuovi corsi di studio e formazione specialistica dedicati ai temi del mondo ebraico. Anche in questa direzione, dunque, è bene che Pisa sia in prima fila”.
Si aprono nuovi sbocchi nel settore automotive per i migliori studenti di ingegneria dell’Università di Pisa grazie ad un accordo quadro appena firmato fra l’Ateneo e Hpe Coxa, azienda fondata nel 2010 da Piero Ferrari, figlio ed erede di Enzo.
Il patto è stato siglato lo scorso ottobre nella sede di Hpe Coxa a Modena ed ha coinvolto oltre a quella di Pisa anche le università di Modena e Reggio, Bologna, Firenze e Perugia. Slogan dell’evento è stato Project 100, ovvero il progetto di Hpe Coxa di assumere 100 ingegneri neolaureati all’anno nei prossimi tre anni.
Per l’Università di Pisa erano presenti i professori Leonardo Bertini, in qualità di delegato del Rettore, e Francesco Frendo come responsabile dell’accordo.
I Box Lab che ospiteranno a Hpe tesisti e ricercatori
“L’intesa ha lo scopo di promuovere in maniera strutturata la cooperazione tra la nostra Università e Hpe Coxa in campo didattico e scientifico – spiega Leonardo Bertini - e costituisce un importante esempio di collaborazione università-aziende, volto a favorire la formazione avanzata dei nostri allievi ed il trasferimento tecnologico”.
Insieme al presidente di Hpe Coxa Piero Ferrari e all’amministratore delegato Andrea Bozzoli, hanno partecipato alla cerimonia i rettori e i delegati degli Atenei coinvolti, i docenti responsabili delle convenzioni e circa 300 studenti. Fra gli ospiti anche Giampaolo Dallara di Dallara automobili, il sindaco di Modena, l’architetto Claudio de Gennaro e l’assessore alle Attività Produttive della Regione Emilia Romagna Palma Costi.
Da sinistra verso destra , Andrea Bozzoli (CEO di Hpe), Francesco Ubertini (Rettore Università di Bologna), Piero Ferrari (HPE Coxa), Luigi Dei (Rettore Università degli Studi di Firenze), Angelo Oreste Andrisano (Rettore Università di Modena e Reggio), Leonardo Bertini (Delegato Rettore Università di Pisa), Franco Moriconi (Rettore Università di Perugia)
Sempre in occasione della cerimonia sono stati inaugurati i primi due Box Lab, ovvero gli edifici di 400 metri quadrati ciascuno che potranno ospitare presso Hpe sino a 50 tesisti, dottorandi e ricercatori. Realizzati su progetto dell’architetto Claudio De Gennaro, sono un esempio di “circular economy”, perché realizzati riutilizzando il 70% dei container originali, ma anche di “green economy”, visto che sono autosufficienti sotto il profilo idrico per l’80% e sotto quello energetico per il 90%.
Medicinali che si deteriorano durante la spedizione, oggetti fragili che vengono danneggiati da shock e vibrazioni o, ancora, articoli di lusso che vengono sottratti o manomessi. Sono molti i problemi che possono insorgere quando particolari beni viaggiano, ma per trasportare in tutta sicurezza oggetti fragili, deperibili o costosi arriva eQuality4Logistics, un progetto finanziato dalla Regione Toscana che punta a trovare soluzioni ICT per il trasporto intelligente delle merci. Con un team di ingegneri e chimici che comprende i professori Donato Aquaro, Fabio Di Francesco ed Elvezia Cepolina, l’Università di Pisa è partner scientifico dell’iniziativa e affianca le tre aziende del progetto, Caen RFID Srl, Alha Servizi Srl e Omnia Service Italia Srl.
Foto a sinistra (da sinistra) Michele Lanzetta, Paola Forte, Donato Aquaro e Leonardo Tognotti; foto a destra (da sinistra) Elvezia Cepolina e Ilaria Giusti mentre ricevono il Best Award Paper al Congresso Internazionale “The 15th International Multidisciplinary Modelling & Simulation Multiconference I3M 2018” September 17-19, 2018 Budapest.
L’obiettivo finale di eQuality4Logistics è quello di realizzare un servizio innovativo di monitoraggio e tracciamento delle merci durante il trasporto aereo. In particolare, il progetto prevede la realizzazione di sensori che, abbinati alla tecnologia RFID, consentiranno di memorizzare le informazioni relative alle merci in modo da monitorarle durante la spedizione attraverso una piattaforma software, accessibile via web da qualsiasi tipo di dispositivo.
Nell’ambito del progetto il dipartimento di Ingegneria Civile ed Industriale (DICI) dell’Ateneo pisano si occuperà di validare il funzionamento dell’intera filiera della spedizione merci mentre il quello di Chimica e Chimica Industriale (DCCI) svilupperà materiali innovativi per la realizzazione di etichette RFID sensorizzate in grado di intercettare le sostanze volatili liberate da merci alimentari in fase di degradazione.
Controllo merci con il sistema RFID
“L’idea innovativa è quella di fornire, oltre ai dati quantitativi relativi alla spedizione, anche informazioni aggiuntive basate su aspetti qualitativi, relativi ad esempio allo stato e alla gestione delle merci - spiega Donato Aquaro - Attualmente, alcuni trasportatori usano sistemi di monitoraggio, ma si tratta per lo più di soluzioni private, non standardizzate e limitate al solo vettore. Il nostro obiettivo, invece, è quello di sviluppare un sistema ad “interfacce aperte” e fortemente standardizzato che consenta l’interoperabilità ed il dialogo a tutti i partner della catena di fornitura. Solo in questo modo, infatti, sarà possibile creare una “catena di custodia” continua ed affidabile”.
Il team di ricerca del Dipartimento di Ingegneria Civile e Industriale comprende anche i professori Gabriella Caroti, Paola Forte, Maria Chiara Giorgi, Michele Lanzetta, Andrea Piemonte, Leonardo Tognotti e i dottori Andrea Rossi, Ilaria Giusti e Riccardo Cangelosi.
Il professor Giacomo Lorenzini è il primo direttore del neonato Centro interdipartimentale di ricerca per lo studio degli effetti del cambiamento climatico (CIRSEC) dell’Università di Pisa. Docente di Patologia vegetale del Dipartimento di Scienze agrarie, alimentari e agro-ambientali, e membro del Senato Accademico, il professore resterà in carica per i prossimi tre anni.
La mission del Centro è quella di promuovere, coordinare e svolgere studi e sostenere il trasferimento tecnologico sul tema del cambiamento climatico e attualmente vi aderiscono i dipartimenti di Biologia, Scienze politiche e Scienze agrarie, alimentari e agro-ambientali, per un totale di 72 docenti.
“Per noi sarà prioritario confrontarci con i vari stakeholder, a cominciare dagli amministratori pubblici e dai policy maker su scala locale, regionale e nazionale – spiega Lorenzini – il Centro promuoverà inoltre eventi scientifici e corsi di formazione, aggiornamento e divulgazione rivolti a professionisti, produttori, associazioni e cittadini, e naturalmente una particolare attenzione sarà data anche all’educazione ambientale, con il coinvolgimento di insegnanti e alunni”.
Anfore per vino, olio e salse di pesce, vasellame da cucina e da tavola e, ancora, in grande quantità, ossa di animali residuo dei pasti. L’ultima campagna di scavi dell’Università di Pisa condotta a Luni ha portato alla luce nuovi reperti che documentano la vita quotidiana dei lunensi nell’età tardo antica fra VI e VII secolo dopo Cristo.
“E’ emerso che gli abitanti dell’area consumavano vino ed olio provenienti dai mercati mediterranei, in particolare dal Nord-Africa, dall’Asia minore e dalla fascia costiera siro-palestinese, e che avevano una dieta molto ricca, a base di carne – racconta la professoressa Simonetta Menchelli dell’Ateneo pisano che ha diretto gli scavi - lo studio dei reperti delle ossa e dei vasi da cucina ha evidenziato infatti un notevole consumo di maiale, ed anche di bovini ed ovini, oltretutto macellati in giovane età, indizio di una comunità con un alto tenore di vita”.
Gli scavi in corso
Complessivamente, la campagna di scavi che è terminata lo scorso ottobre ha interessato il settore meridionale di Luni, presso Porta Marina, e quello settentrionale, documentando una complessa stratificazione databile dall’epoca romana sino al VII-inizi dell’VIII secolo, quando la città passò dal dominio bizantino a quello dei Longobardi.
In particolare gli archeologi hanno portato in luce cospicui resti di due domus romane costruite agli inizi I sec. a.C. e già individuate negli anni precedenti. Nella domus meridionale sono stati ritrovati dei pavimenti a mosaico e, al di sotto, i resti di un’altra domus costruita intorno al 130 a.C., sulla quale fu costruita, ampliandola, quella del I secolo. Su quest’ultima residenza, nel corso del II secolo d.C. si impiantò un ulteriore edificio quadrangolare di notevoli dimensioni, diviso in almeno tre ambienti, per la cui sottopavimentazione furono utilizzati grossi frammenti di intonaco dipinto – prevalentemente di secondo stile pompeiano -, con tutta probabilità derivati dalla distruzione dei muri della domus sottostante. Il riutilizzo di strutture preesistenti è testimoniato anche nell’area della domus settentrionale, occupata nel IV-V sec. d.C. da un impianto artigianale per il lavaggio e la produzione di tessuti. Qui gli archeologi hanno individuato i resti di vari edifici costruiti in parte sfruttando i muri preesistenti e in parte con strutture lignee, in particolare tettoie rette da pali. Fra tutti è risultato particolarmente ben conservato un lungo ambiente rettangolare con il focolare al centro, una struttura tipica delle abitazioni di età tardo antica/altomedievale.
Un frammento di intonaco dipinto appena portato in luce
Gli scavi sono stati svolti in regime di concessione da parte della Soprintendenza Archeologica Liguria e in sinergia con il Museo Archeologico Nazionale di Luni. Hanno partecipato studenti dell’Università di Pisa, dell’Istituto Parentucelli Arzelà di Sarzana e del Liceo Costa di La Spezia, coordinati sul campo dal dottore Paolo Sangriso, con i dottori Stefano Genovesi, Alberto Cafaro, Silvia Marini, Rocco Marcheschi. In particolare, lo studio dei reperti archeoozoologici è stato eseguito da Julie Reynaert dell’Università di Ghent, con Traineeship Contract con l’Università di Pisa.
Al progetto degli scavi hanno inoltre partecipato il professore Adriano Ribolini del Dipartimento Scienze della Terra (con gli studenti della Laurea Magistrale in Geofisica di Esplorazione ed Applicata) per le indagini Ground Penetrating Radar volte all’individuazione delle strutture sepolte e il professore Vincenzo Palleschi del CNR di Pisa per le rilevazioni mediante drone per la modellazione delle strutture in 3D.
I risultati della campagna archeologica sono stati presentati nel corso di un open day, sabato 20 ottobre, con visite guidate agli scavi, esposizione dei reperti e punti informativi sulla metodologia, gli strumenti e le tecniche utilizzate. L’evento ha registrato un notevole successo di pubblico, con la partecipazione di oltre 170 visitatori.
Lo zen e l’arte della lotta alla corruzione (Altraeconomia, 2018) è l’ultimo libro di Lucio Picci e Alberto Vannucci. I due autori, esperti a livello internazionale sul tema della corruzione, insegnano rispettivamente alle università di Bologna e Pisa. Alberto Vannucci dirige inoltre il Master universitario in Analisi, prevenzione e contrasto della criminalità organizzata e della corruzione, in collaborazione con Libera e Avviso Pubblico.
Pubblichiamo di seguito alcuni estratti dall’introduzione del libro.
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Per raggiungere un obiettivo di conoscenza, nello Zen ci si deve distanziare da esso, per guardare altrove e, in un certo senso, scartare di lato. E così, per lottare contro la corruzione noi sosteniamo che sia utile, anzi, indispensabile, fare qualcosa di simile e ragionare soprattutto d’altro. Solo per questa via, andando al di là del pensiero corrente, si può alla fine raggiungere il Satori, ovvero, la comprensione della verità dello Zen. E in modo analogo, per questa via indiretta e “orientale”, si può costruire un piano credibile per combattere seriamente la corruzione.
Il lettore troverà in questo libro da una parte leggerezza e distacco, e dall’altra, serietà e preoccupazione. Crediamo che atteggiamenti così contrastanti non solo possano, ma anzi, in un certo senso, debbano coesistere. Solo distanziandosi dal problema, evitando reazioni istintive spesso inutili o peggio dannose, per quanto provocate da un comprensibile sdegno morale; solo guardando altrove, senza perdere l’orientamento su quali siano le ragioni e le nostre finalità ultime, possono nascere nuove idee e proposte sensate per affrontare il problema.
Proposte indirizzate a chi? Non certo “al Principe”. Questo libro non è rivolto a chi governa per un semplice motivo, lo stesso chealimenta la contraddizione insita nella natura stessa della lotta alla corruzione. Se la corruzione rappresenta un equilibrio perverso che chiama in causa tutti i cittadini, soluzioni calate dall’alto e in un certo senso tecnocratiche, indipendenti da una consapevolezza diffusa e da un consenso popolare, sono quasi sempre inutili, velleitarie e inconcludenti.
Le nostre proposte sono rivolte invece alle italiane e agli italiani, con un duplice auspicio. Primo, che i cittadini imparino a riconoscere meglio la natura di un problema complesso e dalle mille sfaccettature. E, di conseguenza, a non farsi abbindolare da ricette miracolistiche che vengono spesso spacciate per soluzioni risolutive, e che tali non sono.
Noi speriamo che le proposte che avanziamo, sicuramente eterodosse rispetto alle ricette semplificate che vanno per la maggiore, possano divenire il fondamento di richieste rivolte “alla politica”, ma anche - in una certa misura - a ciascun gruppo e formazione sociale. E che rappresentino un metro di giudizio per valutare la credibilità dei programmi e delle proposte avanzate nel dibattito pubblico.
Dovremo però procedere con ordine. Così nel primo capitolo porremo le basi per l’analisi successiva, cercando di chiarire che cosa sia la corruzione: solo definendone il concetto possiamo porci il problema di misurarne l’entità, e quindi di valutarne effetti e cause da un lato, possibili strumenti di contrasto dall’altro. Della misurazione della corruzione ci occupiamo nel secondo capitolo, le cui conclusioni sono fin d’ora riassumibili con un messaggio semplice e un po’ scoraggiante: la corruzione è un problema complicato, tutte le misure di cui disponiamo sono non solo imperfette, ma potenzialmente fuorvianti, e dunque vanno prese con le molle. Attingendo da più fonti d’informazione tentiamo comunque di dare una risposta a una domanda che sicuramente interessa molti: quanta corruzione c’è in Italia, e com’è cambiata nel tempo. Armati della nostra conoscenza, per quanto imperfetta, circa la diffusione del malaffare, e sulle sue caratteristiche, nel terzo capitolo ne consideriamo cause ed effetti, quasi sempre legati tra loro fino ad alimentare veri e propri “circoli viziosi”. Nel quarto capitolo ci occupiamo di come siano strutturate le politiche anticorruzione nei due pilastri della repressione e della prevenzione. Dedichiamo infine l’ultimo capitolo, il quinto, a descrivere quelle caratteristiche “Zen” che a nostro avviso quelle politiche dovrebbero assumere.
E da qui ad allora - si rassicuri il lettore - si incontreranno molteplici divagazioni che sicuramente faranno perdere la strada - perché, e valga come primo kōan (affermazione paradossale, e pratica meditativa Zen) da noi inventato -: “per scoprire la propria destinazione, è necessario perdersi”.
Lucio Picci e Alberto Vannucci
In Toscana si forma un “ambasciatore” in grado di valorizzare le produzioni vitivinicole dell’Italia nel mondo, un esperto in grado di conoscere i vini italiani, i territori che li producono e i risvolti qualitativi, culturali, sociali, economici e commerciali. Questa nuova figura si specializza a Pisa, grazie al master universitario “Vini italiani, mercati mondiali” promosso congiuntamente dalla Scuola Superiore Sant'Anna, Università di Pisa, Università per Stranieri di Siena, Associazione Italiana Sommelier. La nuova edizione del master, la quarta, si inaugura giovedì 8 novembre alla Scuola Superiore Sant’Anna (ore 15.00, aula magna), dopo che le precedenti edizioni sono state caratterizzate da un successo crescente, anche in termini di risvolti occupazionali degli allievi.
Il master forma la nuova figura professionale in grado di intervenire e di operare in settori differenti, ma finalizzati alla diffusione della conoscenza dei vini italiani all’estero, nonché alla loro promozione e alla loro diffusione sui mercati mondiali, considerando quelli consolidati (Stati Uniti, Germania, Regno Unito) e quelli in espansione (Cina, Corea, Russia), con una particolare attenzione verso paesi “emergenti” dal punto di visto del consumo del vino come possono essere l’India, l’Africa, il Sud-est asiatico, il Messico. Gli “ambasciatori del vino italiano nel mondo” acquisiscono con questo master universitario la capacità e le competenze anche per analizzare le tendenze dei diversi mercati mondiali e le aspettative dei consumatori, per contribuire a promuovere la diffusione di un prodotto per eccellenza del “made in Italy” che, legato al marchio “Italia”, assume una grande capacità di attrazione.
Le lezioni della quarta edizione del master universitario “Vini italiani, mercati mondiali”, che si aprono giovedì 8 novembre e che si chiudono a giugno 2019, sono dirette a laureati di primo livello in viticoltura ed enologia, in discipline agrarie-alimentari, economiche, di comunicazione e di marketing o a laureati di primo o secondo livello in altre discipline attinenti al profilo professionale da formare, anche in relazione al percorso e alle motivazioni dei candidati. Il corso prevede in totale 400 ore di formazione di aula e 450 ore di stage presso aziende ed imprese del settore della produzione, della comunicazione (old & new media) ed organizzazione di eventi, del marketing e dell’export dei prodotti enologici.
“Quando è stato attivato il master – commenta Pietro Tonutti, direttore del master - l’Italia aveva da poco superato la soglia dei 5 miliardi di euro di export di vino, ma negli ultimi tre anni si sono verificati almeno due fatti importanti: l’Italia ha raggiunto la leadership produttiva a livello mondiale e l’ha mantenuta anche nell’annata 2017, che pure ha visto forti cali produttivi in tutta Europa, con una quota del 16 per cento della produzione mondiale, ma ha anche costantemente incrementato il valore complessivo dell’export per un valore che, nel 2017, ha raggiunto e superato il valore record dei 6 Mld di euro. Questo trend positivo, a cui ha contribuito in maniera determinante anche la Toscana, appare destinato a consolidarsi nel tempo. Anche a causa della diminuzione dei consumi interni, l’export del vino rappresenta un fattore di assoluta importanza per il settore enologico nazionale con positive ripercussioni anche su altri aspetti ad esso collegati come aumento dei flussi turistici e promozione più generale del ‘Made in Italy’. Da qui la necessità di formare figure professionali in grado di creare opportunità e diffondere la conoscenza dei vini italiani, nonché accompagnare, gestire ed implementare i flussi di esportazione in stretta sinergia con il mondo produttivo”.
La tecnologia porta direttamente a casa dei bambini colpiti da emiplegia una qualità della riabilitazione simile a quella clinica. È quanto hanno sperimentato a domicilio 30 famiglie toscane e tante famiglie in ben otto regioni d’Italia, ottenendo risultati sovrapponibili al training svolto presso il centro di riabilitazione.
È l’obiettivo raggiunto dal progetto quadriennale denominato “Tele-UPCAT”, che è stato finanziato dal Ministero della Salute nell’ambito del progetto Giovani Ricercatori, coordinato da Giuseppina Sgandurra, ricercatrice dell’IRCCS Fondazione Stella Maris e dell’Università di Pisa come Principal Investigator per un finanziamento di 278 mila euro. Lo studio si è svolto in collaborazione con i ricercatori dell’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna, guidati dall’ing. Francesca Cecchi e del Laboratorio di Risonanza Magnetica dell’IRCCS Fondazione Stella Maris, guidati dalla dr.ssa Laura Biagi. Sono loro le giovani ricercatrici del team tutto femminile che hanno avviato, integrando le loro diverse e complementari competenze, il progetto Tele-UPCAT.
Del progetto che volge alla conclusione è stato fatto un bilancio il 2 novembre presso l’Auditorium della Stella Maris in occasione dell’evento che ha riunito le famiglie, i ricercatori e gli esperti che hanno partecipato a questo importante studio. Il pomeriggio è stato alternato dagli interventi degli specialisti, con momenti conviviali dedicati a genitori e bambini. Presenti le Associazioni ASD Eppursimuove e il Coordinamento etico dei Caregiver.
Tele-UPCAT è una piattaforma dedicata a programmi di riabilitazione intensiva domiciliare per l’arto superiore in bambini ed adolescenti tra 5 e 20 anni affetti da emiplegia, cioè da un grave disturbo del movimento che interessa una metà del corpo, causata da lesioni cerebrali congenite. Il trattamento “Osservare per Imitare” si basa scientificamente sullo stimolazione dell’uso da parte del nostro cervello del sistema dei Neuroni Specchio (“Mirror neurons in inglese), e consiste in far osservare ai bambini azioni significative, che poi devono subito ripetere (Action Observation Therapy). Ad ogni soggetto viene proposto un training intensivo con attività quotidiane manuali a difficoltà crescente, pianificate sulla base del proprio livello di abilità manuale e presentate con un’interfaccia adatta alla propria età (cartone animato o voce-guida). L’attività manuale dei partecipanti viene registrata grazie all’utilizzo di braccialetti sensorizzati.
“Il progetto è stato vinto, superando la concorrenza di centinaia di altri progetti per lo stesso bando, grazie ai dati preliminari ottenuti in un precedente studio del nostro gruppo che avevano dimostrato che l’Action Observation Therapy permetteva di promuovere l’integrazione dell’utilizzo dell’arto superiore in compiti bimanuali”, dice la dr.ssa Sgandurra. “In quel caso però la stimolazione avveniva per molti giorni presso i nostri ambulatori, con comprensibili disagi dei bambini e delle famiglie che venivano anche da città lontane del nostro paese. A questo punto abbiamo pensato che utilizzando moderne tecnologie potevamo portare questo tipo di trattamento direttamente a casa del bambino, coinvolgendo attivamente le famiglie”.
Uno dei successi del progetto è stato proprio il coinvolgimento di 30 famiglie residenti principalmente in Toscana, ma anche in altre 8 altre regioni Italiane, dal Nord al Sud, i cui bambini erano in cura per l’emiplegia presso l’IRCCS Fondazione Stella Maris o l’Arcispedale S. Maria Nuova di Reggio Emilia, presso il servizio diretto dal prof. Adriano Ferrari. Da un punto di vista scientifico, i dati preliminari dimostrano che con il training a domicilio si possono ottenere risultati sovrapponibili a quelli ottenuti in clinica, ed addirittura superiori per alcuni domini. Conclude la dr.ssa Sgandurra: “Oggi tutti insieme, ricercatori, clinici, ingegneri, genitori e bambini potremo esclamare a gran voce che “Osservare per imitare, aiuta ad imparare e curare”… e che tale nuovo approccio terapeutico è fattibile direttamente a domicilio, proponendo un ambiente di gioco ed interattivo con l’equipe di riabilitazione”.
Aggiunge il prof. Giovanni Cioni, Direttore Scientifico dell’IRCCS Fondazione Stella Maris. “La scoperta tutta italiana dei neuroni mirror, fatta dal gruppo di fisiologi dell’Università di Parma diretto dal prof. Rizzolatti, con i quali da anni collaboriamo, ha aperto nuove frontiere nell’ambito della riabilitazione e noi siamo stati i primi a proporre il paradigma dell’action observation nella riabilitazione dell’arto superiore dei soggetti in età evolutiva con emiplegia”. “In Italia ogni anno più di 400 nuovi bambini sviluppano una emiplegia, con una importante compromissione della funzionalità dell'arto superiore che determina difficoltà nell'ambito delle abilità di vita quotidiana- prosegue il prof Cioni -. Per la riabilitazione in questo ambito, le famiglie e il Sistema Sanitario Nazionale dedicano notevoli sforzi con un elevato impegno economico. Un contesto questo, dove le tecnologie a domicilio possono rappresentare un'opzione per ridurre il disagio delle famiglia, ridurre il costo dei servizi ed ottenere miglioramenti funzionali”. “Infine - conclude il professore - la possibilità di proporre un simile approccio riabilitativo e tecnologico ad altre forme di disturbi del movimento, con compromissione dell’utilizzo dell’arto superiore è la nostra futura sfida. Per vincerla, il contributo dei bioingegneri è stato e sarà molto importante, permettendoci di utilizzare tecnologie di ITT (Information Communication Technology) non solo per fare svolgere la stimolazione riabilitativa a casa, ma anche per monitorarne l’esecuzione via rete dai centri ospedalieri di ricerca anche distanti centinaia di chilometri”.
“L’utilizzo di tecnologie avanzate e sensori miniaturizzati - continua l’Ing. Francesca Cecchi - ci ha permesso di realizzare una piattaforma ad alto contenuto tecnologico ‘nascosto’ rendendo il sistema finale divertente per il bambino, flessibile e adattabile a un ambiente domestico. Abbiamo sviluppato un’interfaccia dedicata progettata sulla base di un’analisi dei gusti e dei bisogni dell’utente e sviluppata come se fosse un gioco interattivo dove il bambino accompagna un personaggio fantastico nella scoperta e salvataggio di vari mondi in difficoltà. Ogni giorno, infatti, ili bambino si interfaccia con l’esploratore galattico Ubi e lo aiuta a compiere delle missioni effettuando contemporaneamente la terapia”.
“Sono molto contento che il nostro Istituto abbia contribuito a un progetto di teleriabilitazione in età scolare – conclude il Prof. Christian Cipriani, Direttore dell’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna - i ricercatori sono stati coinvolti attivamente in tutte le fasi del progetto e i primi risultati sono incoraggianti e sembrano dimostrare che le tecnologie sviluppate possono diventare un supporto concreto allo staff clinico sia nella fase di valutazione che in quella riabilitativa permettendo di monitorare da remoto la terapia mediante la registrazione di importanti parametri”.
Fondamentale per questo progetto la collaborazione delle famiglie e dei bambini di tutta Italia dal sud al nord. Per questo fondamentali sono le testimonianze dell’ASD Eppursimuove e del Coordinamento Etico dei Caregivers. “Questo progetto è importante - dichiara la dr.ssa Stefania Bargagna, Presidente di Eppursimuove, un’associazione che riunisce famiglie e operatori del settore a Pisa, Livorno e dintorni, diventando un centro di vita associativa per promuovere l'integrazione fra bambini e adolescenti disabili, con ragazzi normodotati attraverso attività motorie, sportive e ludiche - È infatti cruciale e rilevante occuparsi della qualità della vita delle famiglie con un bambino con disabilità. Uno studio che pone la sua attenzione di questo aspetto deve non solo essere promosso, ma va considerato come parte integrante della presa in carico del bambino con paralisi cerebrale infantile”.
Secondo la dott.ssa Antonietta Scognamiglio presidente del Coordinamento etico dei Caregiver "il risultato del progetto è molto confortante per le Associazioni e per le famiglie. Porta a guardare alla riabilitazione da un'ottica completamente nuova ne migliora la fruibilità e di conseguenza i risultati. Permette inoltre di rimuovere il vincolo dello spostamento fisico presso le Strutture che nelle varie situazioni, già difficili, produce stress e fatica oltre che costi aggiuntivi per le famiglie. Ancora una volta la ricerca e l'innovazione danno un contributo importante alla gestione del quotidiano per queste famiglie". (Fonte Ufficio stampa IRCCS Fondazione Stella Maris).