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Un eccezionale traguardo è stato raggiunto in Aoup con l’esecuzione del primo trapianto di fegato da donatore a cuore non battente mediante utilizzo del sistema di perfusione normotermica. Si tratta del primo intervento di questo tipo mai realizzato in ambito internazionale. Altri centri italiani ed esteri hanno infatti realizzato trapianti di fegato da donatore a cuore non battente, ma nessuno aveva finora usato la combinazione delle due procedure, ossia anche la perfusione normotermica.

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Il programma regionale di trapianto di organi da donatore a cuore non battente (DCD-donazione dopo la morte cardiocircolatoria) era stato avviato sul finire del 2016 e aveva visto la realizzazione solo di trapianti di rene. Nel 2017 però la macchina organizzativa del Centro trapianti di fegato ha lavorato alla realizzazione della perfusione normotermica del fegato, un’innovativa tecnica che consente di perfondere l’organo del donatore dopo il prelievo con sangue e nutrienti e prim’ancora che sia trapiantato nel ricevente. Così, dopo aver eseguito 14 procedure con questo tipo di perfusione, l’équipe dell’Aoup l’ha applicata ieri per la prima volta alla donazione del fegato da un donatore a cuore non battente.

Lo scopo di combinare la perfusione normotermica al trapianto da DCD è di migliorare le condizioni del fegato e di “testarlo” prima che sia trapiantato, valutandone la qualità. Così, nella serata di sabato 3 febbraio, all’Aou di Careggi si è reso disponibile un donatore DCD. Sono immediatamente partite le procedure di segnalazione, l’attivazione dell’équipe di coordinamento infermieristico aziendale guidata dal dottor Juri Ducci e l’allerta dell’équipe di prelievo composta dal dottor Davide Ghinolfi e dal dottor Emanuele Balzano. Dopo aver prelevato il fegato, l’organo è stato riportato a Pisa dove è stato sottoposto a circa 3 ore di perfusione normotermica prima di essere trapiantato. La perfusione normotermica è stata realizzata dai dottori Davide Ghinolfi ed Erjon Rreka in collaborazione con Elisa Lodi. La procedura di trapianto è stata eseguita dal professor Paolo De Simone assistito dai dottori Nicolò Roffi e Marina Lucchesi, con l’assistenza anestesiologica fornita dal dottori Luca Meacci, Alicia Spelta e Lucia Bindi. Del trapianto ha beneficiato un paziente toscano in lista al Centro trapianti dell’Aoup da circa 2 mesi.

Questo intervento apre la strada all’attivazione su grande scala del programma DCD regionale con la prospettiva di offrire una soluzione terapeutica a pazienti in attesa di un fegato. Il risultato raggiunto rappresenta lo sforzo collettivo di una macchina organizzativa aziendale complessa ed efficiente, che ha visto impegnati circa 200 professionisti tra chirurghi, medici, anestesisti, infermieri e tecnici, insieme a tutti gli altri servizi aziendali. Un ringraziamento speciale va all’équipe anestesiologica dell’Unità operativa di Anestesia e rianimazione trapianti diretta dal professor Gianni Biancofiore; all’équipe di infermieri del Coordinamento trapianti di fegato diretta dal dottor Juri Ducci; a quella della degenza protetta del Centro trapianti di fegato diretta dalla dottoressa Elisa Giannessi; all’équipe infermieristica di sala operatoria diretta dalla signora Marilise Ibba, all’Unità operativa di Medicina trasfusionale e biologia dei trapianti, all’Anatomia patologica, al Laboratorio di analisi chimico-cliniche, al Laboratorio trapianti, alla Radiodiagnostica. Tutti hanno lavorato senza sosta per la realizzazione della prima procedura e per l’attivazione del programma.

Con questo eccezionale intervento l’Aoup e l’Università di Pisa confermano la vocazione trapiantologica, il ruolo di leadership internazionale e l’impegno a innovare ed esplorare nuove modalità terapeutiche per i pazienti in lista d’attesa di trapianto. Questi ed altri temi saranno dibattuti in occasione della prossima celebrazione per i 2000 trapianti di fegato che avrà luogo a Pisa, al Teatro Verdi, il prossimo 4 maggio. (Fonte Ufficio stampa AOUP).

È stata discussa per la prima volta in videoconferenza con gli Stati Uniti una tesi di laurea del corso di laurea in Medicina e Chirurgia dell’Università di Pisa: la tesista Valentina Nardi, originaria di Carrara, ha presentato il suo lavoro in collegamento con la Mayo Clinic di Rochester, in Minnesota, da dove ha partecipato il professor Amir Lerman, direttore della “Chest Pain and Coronary Physiology Clinic”, Division of Ischemic Heart Disease and Critical Care, Department of Cardiovascular Medicine.

Il titolo della tesi, che ha avuto come relatore il professor Stefano Taddei, docente di Medicina interna al dipartimento di Medicina clinica e sperimentale dell’Ateneo pisano, era “Nuovi predittivi di eventi clinici avversi in pazienti sottoposti a endoaterectomia carotidea: studio longitudinale di coorte”.

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Lo studio ha valutato in modo retrospettivo il potere predittivo dell’acido urico e dell’infiammazione nel predire gli eventi cardiovascolari maggiori in circa 500 pazienti sottoposti a endoarterectomia. Il lavoro di Valentina Nardi è stato quello di creare il date-base e mettere a punto un algoritmo di studio che potesse calcolare il valore predittivo delle variabili studiate. La studentessa ha svolto la ricerca dal 1 giugno al 31 dicembre 2017 a Rochester con la borsa del corso di laurea per le tesi all’estero e con una borsa del dipartimento di Medicina clinica e sperimentale.

Ascoltare i pazienti e renderli parte attiva nella cura, è questa la chiave del progetto europeo INTEGRATE partito a gennaio 2018 con un finanziamento di circa 500mila euro per due anni. Coordinatrice dello studio è la professoressa Marta Mosca del Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale dell’Università di Pisa che lavorerà insieme ai colleghi Giuseppe Turchetti della Scuola Superiore Sant’Anna e Matthias Schneider della Heinrich-Heine-Universitaet Duesseldorf.

“L’obiettivo del progetto - spiega Marta Mosca - è quello di sviluppare un sistema che aiuti ad integrare il punto di vista del paziente, cioè quanto riferisce sia come sintomi o effetti di una terapia sia come qualità della vita in generale, con il punto di vista del medico che talvolta è più freddo e attaccato a dati ‘oggettivi’”.

 La comunicazione tra medico e paziente è infatti talvolta difficile e spesso aspetti della cura che sono importanti per il medico non lo sono altrettanto per il paziente e viceversa. Questa difficoltà rischia di mettere medici e pazienti su “due fronti opposti” anziché alleati nel combattere la malattia. Per mettere a punto una strategia di cura integrata medico-paziente, il progetto si concentrerà sul Lupus Eritematoso Sistemico (LES), una malattia reumatica cronica caratterizzata da un quadro clinico eterogeneo e complesso che incide in modo significativo sulla qualità della vita dei pazienti. 


Il progetto prevede il coinvolgimento dei medici, dei pazienti e dei loro familiari attraverso surveys ed incontri che verteranno sulla identificazione dei bisogni e delle aspettative di cura. In particolare, sarà centrale anche il coinvolgimento delle associazioni a livello europeo per consentire di raggiungere pazienti di diversi stati membri e assicurare che la valutazione tenga conto delle differenti esperienze, organizzazioni e culture in modo che il risultato della analisi sia quindi applicabile in contesti anche molto diversi.

“INTEGRATE potrà avere un ruolo centrale nell’aumentare le conoscenze del medico sulla patologia - in particolare sul suo impatto sulla vita del paziente – conclude Marta Mosca - ma soprattutto nel consentire al paziente di avere un ruolo attivo nella gestione della propria malattia migliorando quindi il processo di cura”.

Lopez premioL’Accademia di Storia dell’Arte Sanitaria ha conferito il premio letterario-scientifico 'Cesare Serono' a Francesco Lopez, autore del volume 'Democede di Crotone e Udjahorresnet di Saïs. Medici primari alla corte achemenide di Dario il Grande', pubblicato nel 2016 dalla Pisa University Press, la casa editrice dell'Università di Pisa.

La cerimonia di consegna si è svolta giovedì 25 gennaio a Roma, nella Sala Alessandrina del Complesso Monumentale di Santo Spirito, in occasione dell’inaugurazione del 98° anno accademico e nell’ambito di un importante congresso dedicato alla Storia delle vaccinazioni in Italia, alla presenza della ministra della Salute, Beatrice Lorenzin, e della senatrice Maria Pia Garavaglia.

A consegnare il prestigioso riconoscimento sono stati il professor Gianni Iacovelli, presidente dell’Accademia, e il prof. Adelfio Elio Cardinale, presidente della Società Italiana di Storia della Medicina e vice-presidente del Consiglio Superiore di Sanità.

cover democedeIl premio, intitolato al senatore Cesare Serono (1871-1952), rappresenta il massimo riconoscimento in Italia per gli studi di Storia della Medicina.

La pubblicazione di Francesco Lopez, che nasce da un progetto dell’Università di Pisa in collaborazione con i Musei Vaticani, si è distinta per aver aperto nuovi e fecondi orizzonti di ricerca nello studio della storia dell’arte medica tra Oriente e Occidente nel VI sec. a.C., proponendo per la prima volta la disamina comparata dei ‘medici personali’ del re dei Persiani Dario I, l’uno Democede di Crotone, magnogreco, e l’altro Udjahorresnet di Sais, egizio.

L’Accademia di Storia dell’Arte Sanitaria, una delle più illustri istituzioni culturali internazionali di Storia della Medicina, ha origini molto antiche. Fondata nel 1922 sotto l’egida dei ministeri della Salute e della Difesa, ha raccolto l’eredità dell’Accademia Romana di Medicina che aveva sede sin dal XVII secolo nell’ospedale Santo Spirito di Roma. Costituita in Ente Morale, l’Accademia svolge attività culturali e scientifiche con la finalità di contribuire alla diffusione e l’incremento degli studi storici dell’arte sanitaria.

Vitantonio Di BelloLunedì 29 gennaio ci ha lasciati, dopo pochi mesi di malattia, il professor Vitantonio Di Bello. Aveva 66 anni ed era associato di Cardiologia all’'Università di Pisa, al dipartimento di Patologia chirurgica, medica, molecolare e dell'area critica. In Aoup dirigeva invece la sezione dipartimentale di Cardio-angiologia, succedendo al professor Alberto Balbarini.

Pur consapevole della gravità della sua patologia, si è dedicato al suo lavoro fino a pochi giorni fa, impegnando tutte le sue residue energie nell’'organizzazione di un convegno internazionale sull’”'imaging cardiovascolare”, tema a lui molto caro, che si è tenuto la scorsa settimana, purtroppo senza la sua partecipazione.

Grande studioso, specializzato oltreché in Cardiologia, anche in Medicina dello sport e Medicina nucleare, in questi anni aveva concentrato i suoi interessi scientifici e il filone delle sue ricerche, come detto, nel campo dell'’imaging cardiaca e delle innovazioni sempre più avanzate in questo specifico settore. Dalla scorsa estate ricopriva anche l’incarico di direttore del Cirhta-Centro interdipartimentale per la ricerca in health technology assessment, una delle prime strutture in Italia ad occuparsi di valutazione delle tecnologie medicali in sanità. Il professor Di Bello era anche membro di numerose società scientifiche: la Società italiana di Cardiologia, la Società italiana di Cardiologia dello sport, il Gruppo italiano di Cardiologia nucleare, la Società italiana di Ecografia cardiovascolare (per la quale ha ricoperto anche la carica di presidente), l’'American Institute of Ultrasound in Medicine, l’'American Society of Nuclear Cardiology, l’'American Society of Echocardiography.

La sua prematura scomparsa rappresenta, per tutti i suoi allievi, la perdita di un importante punto di riferimento professionale e umano. La porta del professor Di Bello infatti è sempre stata aperta per tutti i suoi collaboratori, che ha sempre sostenuto e incoraggiato anche negli ultimi giorni di vita. La sua passione per il ragionamento clinico e la ricerca è testimoniata dall’'affetto dei suoi pazienti e di tutti i suoi allievi, che hanno ammirato la tenacia, la serenità, il coraggio e la dignità con cui ha affrontato la malattia: il loro impegno è quello di portare avanti l’'attività assistenziale e di ricerca, come lui ha insegnato. (fonte: Ufficio Stampa AOUP)

L'Università di Pisa si associa al personale del dipartimento Cardio-toraco-vascolare dell’'Aoup e alla Direzione aziendale, nello stringersi intorno alla famiglia e ai colleghi della sua struttura per esprimere le più sentite condoglianze.

Un sentito messaggio di cordoglio, firmato dai professori Emanuele Neri, Simone Lazzini, Luca Anselmi e dall'ing. Massimo Mancino, arriva dal CIRHTA:  «A nome dei componenti del Centro Interdipartimentale per la Ricerca in Health Technology Assessment (CIRHTA) ci uniamo al cordoglio della Comunità Accademica per la prematura scomparsa del Direttore, il Prof. Vitantonio di Bello. Il Prof. Di Bello aveva da alcuni mesi assunto l’incarico di Direzione con grande entusiasmo e progettualità. La sua prematura scomparsa ci addolora profondamente e lascia un vuoto incolmabile nel CIRHTA:».

 

 

 

Al via all’Università di Pisa il corso di perfezionamento “Disturbi specifici dell’apprendimento (DSA): diagnosi e presa in carico”, un percorso formativo di 129 ore, con riconoscimento di 12 crediti CFU, riservato a laureati in Medicina e Chirurgia, Psicologia e Logopedia. Il corso inizierà l’8 febbraio 2018 e avrà una durata di 6 mesi circa. Per iscriversi c’è tempo fino al 29 gennaio, il bando è consultabile a questo link.

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«Obiettivo del corso è fornire ai partecipanti elementi per una corretta anamnesi, diagnosi e gestione pratica dei DSA, con particolare riferimento alla normativa e all’intervento in ambito clinico e scolastico» – spiega Ciro Conversano, direttore del corso e ricercatore di Psicologia generale presso il dipartimento di Patologia chirurgica, medica, molecolare e dell’area critica.

«Infatti, nonostante l’ormai nota classificazione e il riconoscimento di questo tipo di disturbi, che nella maggior parte dei casi non permettono di gestire efficacemente alcuni mezzi di apprendimento come la lettura e la scrittura e la presenza in crescita di bambini con questa diagnosi, non sempre se ne osserva un’adeguata gestione da parte del Servizio Sanitario Nazionale e spesso si nota una certa confusione in materia di diagnosi e di figure professionali incaricate della stessa». 

Il  corso fornirà strumenti conoscitivi e pratici a chi vuole operare nel settore, così come disposto dalla delibera n° 1321 del 27/11/2017 della Regione Toscana, che norma lo psicologo a possedere “oltre all'iscrizione all'Albo dell'Ordine degli Psicologi anche un master universitario I livello o master universitario II livello o perfezionamento universitario o corso privato o pubblico di almeno 100 ore riconosciuto con crediti CFU o ECM residenziali”, per far parte dell’equipe di specialisti abilitati alla certificazione del DSA.

La Fondazione Stella Maris perde un’altra importante figura che ha contribuito alla nascita e allo sviluppo scientifico ed assistenziale dell’Istituto. Mercoledì sera è mancata dopo una breve malattia la professoressa Mara Marcheschi, 87 anni, già associato di neuropsichiatra infantile dell’Università di Pisa e coordinatrice della linea di ricerca in Psicopatologia dello sviluppo della Stella Maris. I funerali si svolgeranno venerdì 12 gennaio alle ore 15 a Pisa nella Chiesa del Carmine.

Il decesso della professoressa Marcheschi è avvenuto nemmeno un anno dopo quello del marito, il professore Pietro Pfanner, riconosciuto insieme a lei tra i “padri fondatori” di quello che negli anni ’50 era l'Istituto Medico-Pedagogico Stella Maris, nucleo di quello che è poi diventato l’attuale IRCCS Fondazione Stella Maris, un moderno ospedale di ricerca, completamente dedicato ai disturbi neurologici e psichiatrici del bambino e dell’adolescente.

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Densissimo è stato il percorso professionale della professoressa Mara Marcheschi, dalla laurea in Medicina e Chirurgia a pieni voti ottenuta all’Università di Pisa nel 1954. Dopo la specializzazione in Malattie Nervose e Mentali, ha ottenuto sempre a pieni voti quella in Neuropsichiatria Infantile e nel 1970 l’idoneità a primario ospedaliero. Dopo il ruolo di assistente universitario, nel 1980 è diventata professore associato in Neuropsichiatria Infantile all'Università di Pisa, con sede operativa all’Istituto Scientifico Stella Maris.

La professoressa Marcheschi è stata direttore della scuola a fini speciali per Terapisti della Riabilitazione della Neuro e Psicomotricità dell'Ateneo pisano e poi presidente del corso di diploma universitario per lo stesso settore. Alla Stella Maris la professoressa Marcheschi è stata coordinatrice prima della linea di ricerca in "Fisiopatologia delle funzioni cognitive e dell’apprendimento” e poi di quella in "Ricerca psicopatologia dello sviluppo". Ha mantenuto questi ruoli fino al suo pensionamento nel 2001.

Nella sua carriera la professoressa Marcheschi ha svolto numerose missioni scientifiche presso Istituti e Laboratori di Ricerca in Italia e all’estero e prodotto circa 400 lavori pubblicati su autorevoli riviste del settore, italiane e straniere, oltre a contribuire a numerosi capitoli di libri, alcuni dei quali anche dopo la conclusione del ruolo assistenziale e di docenza.

Al suo impegno di docente universitario e di neuropsichiatra dell'età evolutiva si è sempre affiancata la formazione delle persone legate alla cura. Anche dopo il pensionamento, infatti, è rimasta a lungo attiva, in ambito universitario, in riferimento alla formazione degli insegnanti di sostegno per ogni ordine e grado di scuola, pubblicando insieme al marito, Pietro Pfanner, testi rivolti alle cosiddette "figure d'aiuto": non solo medici, ma anche psicologi, pedagogisti, insegnanti, terapisti ed educatori.

Per anni si è pensato che la causa della morte di un bambino vissuto circa 500 anni fa, il cui corpo fu imbalsamato e conservato nelle arche sepolcrali della Basilica di San Domenico Maggiore a Napoli, fosse il vaiolo. Oggi, un team internazionale di ricercatori della McMaster University di Hamilton in Canada, diretto da Hendrik Poinar, e della Divisione di Paleopatologia dell’Università di Pisa, costituito da Gino Fornaciari e Valentina Giuffra, ha appurato che il bambino era portatore del virus dell’epatite B, gettando nuova luce su un agente patogeno complesso e mortale, che uccide quasi un milione di persone ogni anno. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista online "Plos Pathogens".

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La mummia del bambino, indossante ancora la veste monastica dell’Ordine Domenicano.

Nel corso delle missioni esplorative dell’Università di Pisa nella Basilica di San Domenico Maggiore a Napoli, dirette dal professor Gino Fornaciari negli anni '80-'90, fu ritrovata la mummia intatta di un bambino di due anni indossante ancora la veste monastica dell’Ordine Domenicano, grazie alla quale i ricercatori hanno ottenuto il sequenziamento completo del genoma di un antico ceppo del virus dell'epatite B (HBV).

Fig. 4 Faccia con eruzione

«Mentre in genere i virus si evolvono molto rapidamente, è stato visto che questo antico ceppo di HBV è mutato poco negli ultimi 450 anni – spiega il professor Fornaciari – È stata infatti rilevata una stretta relazione tra i ceppi antichi e moderni di epatite B: entrambi mancano di quella che è nota come “struttura temporale”. In altre parole, non vi è alcun tasso misurabile di evoluzione per tutto il periodo di 450 anni, che separa il campione prelevato dalla piccola mummia da quelli moderni. La spiegazione potrebbe consistere nel fatto che essendo l’epatite B una malattia sessualmente trasmessa, e non tramite animali o insetti vettori, il virus non ha avuto la necessità di mutare almeno negli ultimi cinque secoli».

L’eruzione vescicolo-pustolosa del bambino e le analisi immunologiche di trenta anni fa (allora gli studi sul DNA antico non erano ancora disponibili) avevano suggerito che il bambino fosse stato affetto da vaiolo. Utilizzando tecniche avanzate di mappatura genetica, i ricercatori hanno dimostrato chiaramente che il bambino era stato infettato dall'HBV. È interessante notare che i bimbi con infezione da epatite B possono sviluppare un'eruzione facciale, nota come sindrome di Gianotti-Crosti, che potrebbe essere stata identificata come vaiolo. Non può essere però esclusa anche una co-infezione.

Secondo alcune stime, oltre 350 milioni di persone oggi hanno infezioni croniche da epatite B, mentre circa un terzo della popolazione mondiale risulta essere stata infettata a un certo punto della vita. Ecco perché, secondo i ricercatori, è importante studiare i virus antichi: «Più comprendiamo meglio il comportamento delle pandemie e delle epidemie passate, maggiore è la nostra comprensione di come i moderni agenti patogeni potrebbero diffondersi. E queste informazioni alla fine contribuiranno agli sforzi per controllare questi minuscoli killer», afferma Hendrik Poinar, genetista evolutivo del McMaster Ancient Dna Center e investigatore principale all'Istituto Michael G. DeGroote per la ricerca sulle malattie infettive.

Nei giorni 1 e 2 dicembre si è tenuto a Firenze il convegno dal titolo “L’Università del Carcere”, organizzato dalle Università di Firenze, Pisa, Siena e Università per Stranieri di Siena, dalla Regione Toscana e dal Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria. Per l'Ateneo pisano sono intervenuti il prorettore per i Rapporti con gli enti del territorio, Marco Gesi, e il delegato per il Polo Penitenziario Universitario dell’Istituto Don Bosco, Andrea Borghini.

Nel suo saluto, il professor Marco Gesi ha citato "l'esperienza del Polo Penitenziario Universitario di Pisa, nato ufficialmente nel 2003 e da alcuni anni intitolato al compianto professor Renzo Corticelli, come sintesi felice dell’incontro tra sapere pubblico e istituzioni di rieducazione, finalizzato alla crescita culturale e al reinserimento sociale dei detenuti e orientato a garantire il diritto all’istruzione, come chiaramente espresso in numerosi articoli del nostro dettato costituzionale".
Pubblichiamo di seguito la riflessione post convegno del professor Andrea Borghini.

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Il convegno su “L’Università del Carcere” è stato una prima fondamentale occasione per affrontare l’esperienza dei Poli Universitari Penitenziari, sia in ambito regionale, sia in ambito nazionale. Nella due giorni fiorentina, docenti, mondo del volontariato, mondo istituzionale, e studenti hanno discusso punti di forza e di criticità del progetto Polo Penitenziario Universitario, sottolineando come tale realtà si stia espandendo a livello nazionale. Sono infatti stati censiti fino ad ora 21 poli penitenziari che lavorano su 50 istituti di pena.
In tal senso, nel corso del convegno, è emersa la necessità di rafforzare il ruolo di un Coordinamento nazionale dei Poli, avviando un’interlocuzione con la CRUI, in grado farsi portavoce del progetto con gli interlocutori politici di riferimento; e al contempo, si è lavorato a cercare di individuare procedure standardizzate che permettano agli studenti di usufruire di trattamenti univoci in qualsiasi sede essi siano collocati.
In particolare, è emersa la centralità e la validità del modello toscano. La Toscana ha avviato dal 2010 un accordo che costituisce il Polo Regionale della Toscana, l’unico sistema integrato di formazione universitaria presente a livello nazionale. All’interno di tale accordo, che prevede anche un finanziamento annuale della Regione Toscana, spicca il Polo di Pisa, il quale si struttura in una sede ‘storica’ come quella presso la Casa Circondariale Don Bosco della città toscana, ma vede studenti, iscritti all’Ateneo pisano, collocati anche in altre realtà penitenziarie quali quelle di Volterra, Massa, Porto Azzurro, Livorno e Gorgona. Ciò fa del Polo di Pisa una realtà sui generis, che necessita di un grande impegno dell’ateneo per venire incontro alle esigenze della popolazione studentesca detenuta. Nel corso degli anni, l’ateneo ha accettato la sfida, lavorando a standardizzare le procedure di iscrizione, azzerando le tasse universitarie, individuando funzionari amministrativi in grado di coordinare i vari passaggi burocratici; e ancora, individuando personale docente incaricato, in grado di coordinarsi con gli istituti per seguire al meglio le carriere degli studenti, che ormai, a partire dal 2003, anno di istituzione del polo pisano, sono stati oltre 115.

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Dal convegno fiorentino è inoltre emerso, soprattutto attraverso le testimonianze degli ex studenti detenuti, l’utilità di questa attività, spesso percepita da essi come fonte di riscatto sociale. E’ stato, inoltre, evidenziato come sia importante per gli studenti detenuti sentirsi parte della comunità accademica, superando il senso di isolamento dato dal contesto in cui vivono: esperienze di contatto con altri studenti sono vissute come momento di scambio, oltre che momenti di confronto sui percorsi formativi.
La figura dei tutor è risultata essere di grande importanza al fine di consentire una reale attuazione del diritto all’istruzione e dei princìpi di inclusione e di integrazione.
E’ stato inoltre ribadito che il dialogo fra le istituzioni coinvolte prosegua in modo sempre più stretto e si traduca in interventi concreti quali, ad esempio, la messa a disposizione di spazi che permettano la creazione di un contesto idoneo allo studio. Infine, è stato sottolineato come l’esperienza dei Poli debba darsi un piano comunicativo più efficace sia attraverso la costruzione di eventi pubblici ad hoc sia con la creazione di siti web dedicati: si tratta di una strategia, quest’ultima, utile a diffondere nel mondo universitario la consapevolezza del ruolo svolto dall’Università nel garantire il diritto allo studio e nel sensibilizzarlo verso questo tipo di utenza, anche al fine di costruire una comunità accademica solidale e aperta ed evitare i rischi di stigmatizzazione e isolamento dello studente detenuto.

Andrea Borghini
Delegato del Rettore per il Polo Penitenziario Universitario dell’Istituto Don Bosco

Con la nuova area della degenza del Centro multidisciplinare di Chirurgia robotica mini-invasiva, riservata ai pazienti dell’area vasta nord-ovest e alle pazienti ginecologiche dell’Aoup, arriva a completamento il progetto di potenziamento del settore della robotica per l’Aoup cominciato nel lontano 2001 con l’acquisto del primo sistema robotico “Da Vinci” e ora concretizzatosi in un Centro che è di riferimento europeo per la formazione, con tre sistemi robotici in dotazione, di cui l’ultimo all’avanguardia (il Da Vinci Xi) e una caratterizzazione multidisciplinare e multispecialistica che ne fa il primo centro europeo per numero di interventi effettuati. Solo nel 2016 sono stati infatti 1139 e per l’anno che sta per finire la quota verrà anche superata di qualche decina. Un punto di forza ne ha decretato il successo: la standardizzazione delle procedure e il coordinamento centralizzato dell’utilizzo delle risorse umane e tecnologiche, che è anche la chiave della sostenibilità dei costi.

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Adesso i pazienti provenienti dall’area vasta (più le pazienti ginecologiche dell’Aoup) sottoposti a intervento di chirurgia robotica avranno dei letti dedicati (10, in 5 camere doppie) per completare il percorso assistenziale fino alla dimissione, senza più trasferimenti negli altri reparti di degenza dell’ospedale.

“Sono stati tre gli obiettivi nella realizzazione logistica del Centro e di questa nuova area dedicata al ricovero – spiega la professoressa Franca Melfi, chirurgo toracico e direttore del Centro – l’omogeneità di trattamento per tutti i pazienti, il training (la formazione anche attraverso la simulazione) e la ricerca. Pisa è riconosciuto centro di formazione e ogni settimana molti sono i chirurghi provenienti da tutta Europa. Siamo infatti centro di riferimento per la chirurgia robotica toracica e per i trapianti robotici e l’esperienza qui maturata da tutto lo staff, medico, infermieristico e tecnico, ha fatto sì che il centro venisse individuato come piattaforma clinica per la produzione di dati valutati dalla FDA-Food & Drug Administration, l’Agenzia del governo americano che si occupa di regolamentare i prodotti che vengono immessi in commercio, compresi i dispositivi e le attrezzature mediche, per l’applicazione clinica del software Table Motion relativo al tavolo operatorio integrato con i sistemi robotici. Una piattaforma multispecialistica cui guarda con interesse anche l’industria, per l’applicazione e lo sviluppo di nuove tecnologie”.

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Ma l’area della degenza non è l’unica nuova acquisizione del Centro multidisciplinare di Chirurgia robotica dell’Aoup, che si trova al piano terra dell’Edificio 30 A e dove i tre robot vengono utilizzati (per interventi di chirurgia generale, ginecologica, toracica, urologica, otorinolaringoiatrica, dell’esofago, bariatrica, endocrinochirurgia e trapianti) anche dai chirurghi provenienti dall’area vasta. Nei nuovi spazi è stata anche allestita, oltre a una saletta soggiorno dedicata per i pazienti, un’area meeting per la didattica e la formazione, direttamente collegata con le tre sale operatorie, in modo da consentire le sedute di training sul “Da Vinci” agli operatori sanitari in addestramento (chirurghi e infermieri). Tutta l’organizzazione del Centro pisano rientra nel contesto del Polo regionale di chirurgia robotica per coordinare il quale la Regione ha creato un tavolo tecnico-scientifico guidato dalla professoressa Melfi, con l’obiettivo di estendere il modello su tutto il territorio regionale. (Fonte Ufficio stamps AOUP).

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