Luigi Russo, comunista liberale nell’Italia del Novecento
Intellettuale, critico letterario, candidato come indipendente nelle fila del PCI in Sicilia, sua terra di origine, da dove era partito per frequentare la Scuola Normale Superiore e di cui era diventato direttore dal 1943 al ’48. Ma anche professore alle Università di Firenze e Pisa negli anni Venti e Trenta, fondatore della rivista Belfagor nel 1948 e certo fra i protagonisti della vita culturale italiana del Novecento. Alla figura di Luigi Russo è dedicato l’ultimo libro del professore Alessandro Volpi del dipartimento di Scienze Politiche dell’Ateneo pisano edito dalla Pisa University Press: “Una singolare militanza. Luigi Russo "comunista liberale" attraverso le sue corrispondenze”.
”Luigi Russo - spiega Alessandro Volpi - visse con estrema intensità le grandi discussioni che hanno attraversato la comunità degli intellettuali del nostro Paese, partecipando a ruvidi scontri nelle commissioni per i premi letterari e a vere e proprie battaglie campali combattute attorno a recensioni e concorsi a cattedra”.
E accanto alla “militanza” culturale anche quella politica, da “comunista liberale”, un tratto che il libro analizza a partire da corrispondenze in gran parte inedite del letterato siciliano. Ne emerge così il profilo di un comunista indipendente con la capacità di costruire una cultura politica, “popolare” e accademica al contempo, in grado di avvicinare la sinistra italiana ad una dimensione “nazionale” del comunismo.
“Da questo punto di vista – conclude Volpi - Luigi Russo appare come l’interprete in parte consapevole in parte involontario delle strategie del partito di Togliatti, impegnato nella ricerca di una vocazione maggioritaria dove far confluire un esteso patrimonio di idee, dal liberalismo, al socialismo progressista, fino ad un pezzo del cattolicesimo”.
"Italiani emigrati all'estero": la mobilità intellettuale-economica e la cosiddetta fuga dei cervelli
Il volume “Italiani emigrati all’estero. Progettualità, rotte, adattamento e rientro in patria”, edito dalla Pisa University Press, raccoglie i risultati di una ricerca coordinata dal Centro Interdipartimentale per l'aggiornamento, la formazione e la ricerca educativa (CAFRE) dell'Università di Pisa.
Il volume e l'intera ricerca sono stati recentemente presentati nella sala stampa della Camera dei Deputati, nell'ambito di un incontro dedicato ad approfondire i temi dell'emigrazione italiana, della mobilità dei giovani e della fuga dei cervelli, di strategie per la valorizzazione del patrimonio umano di cui è ricco il Paese. Pubblichiamo di seguito il comunicato predisposto dal CAFRE.
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Il progetto "ItE Italiani Emigrati all’estero", durato diciotto mesi, è stato ideato e coordinato da Serena Gianfaldoni, docente di Gestione delle risorse umane, sostenuta nella conduzione della ricerca da un team multidisciplinare composto da oltre 170 persone fra esperti, docenti universitari di numerosi atenei italiani, 50 manager e 50 studenti dell’Università di Pisa, la maggior parte dei quali segue il corso di laurea in Ingegneria gestionale.
Il progetto ha previsto una fase di elaborazione statistica con la raccolta di 800 questionari e l’analisi di 34.000 dati, utili per offrire un quadro del migrante-tipo: i push factor che spingono ad emigrare; i pull factor che attraggono verso l’estero; le principali rotte; le problematiche nella fase di adeguamento; le strategie professionali; la rete di relazioni e il senso di appartenenza; i legami con la madre patria e l’eventuale rientro in Italia.
Nella fase di analisi qualitativa il fenomeno degli Italiani all’estero è stato invece analizzato nella sua complessità, con il contributo di qualificati esperti, da una prospettiva demografica, storica, filosofica, letteraria, economica, sociale, formativa.
I risultati della ricerca ItE sono stati raccolti in un cospicuo testo (oltre 800 pagine) edito dalla Pisa University Press e stampato con i contributi offerti dall'Ateneo per progetti speciali per la didattica 2019-20.
Nel testo “Italiani emigrati all’estero. Progettualità, rotte, adattamento e rientro in patria” compaiono anche alcune preziose strategie elaborate concordemente da manager, dirigenti e studenti coinvolti nel progetto per sostenere il sistema paese, favorendo da una parte la mobilità e la brain circulation, ma al tempo stesso gestendo il fenomeno e mitigando la cosiddetta “fuga dei cervelli”. Corredano il testo anche numerose storie di migrazione che testimoniano la persistenza e l’evoluzione di un fenomeno che continua a interessare numerosi Italiani talentuosi.
Secondo la coordinatrice Serena Gianfaldoni, “bisogna distinguere il fenomeno della mobilità che spinge molti Italiani a cercare nuove strade, percorsi professionali e opportunità all’estero, da quello che viene chiamato brain drain, fuga dei cervelli, legato a una dispersione dell’investimento formativo. Il nostro progetto di ricerca ha investigato per mesi, col supporto di qualificati esperti e l’analisi statistica un fenomeno chiaramente complesso. In riferimento alla migrazione giovanile, se da una parte si mostra necessario stimolare i giovani a viaggiare, provare esperienze internazionali, indispensabili per completare il percorso formativo, dall’altra parte è necessario però sostenere coloro che vorrebbero rimanere in Italia e fanno molta fatica a trovare una piena realizzazione. Da quanto è emerso, il nostro sistema paese dovrebbe migliorare l’offerta lavorativa per i giovani Italiani, laureati o diplomati, non solo nelle aree umanistiche. Dai dati raccolti, i giovani che emigrano non sembrano scappare dall’Italia, dalla cultura italiana, dalla rete di relazioni amicali o familiari intessute. Al contrario, risulta molto apprezzato lo stile di vita italiano. I nostri punti di forza però, non sembrano bastare. Dal campione che abbiamo esaminato viene troppo spesso lamentata la precarietà del lavoro, la difficoltà di fare carriera, uno scarso riconoscimento del valore e del talento, l’assenza di meritocrazia, una scarsa capacità attrattiva, una forma di immobilismo che ingessa l’Italia e il mercato del lavoro. Al contrario, all’estero, gli emigrati italiani sembrano trovare spazio per realizzare compiutamente il proprio percorso professionale, pur dovendo affrontare evidenti problematiche e una fase di adattamento che, indubbiamente, forma a una mentalità globale. Se risulta, infatti, che da una parte gli ambienti di lavoro all’estero risultano più stressanti e competitivi, risulta anche che all’estero sia più facile vedere riconosciute le proprie abilità, fare carriera, ottenere maggiori riconoscimenti economici e premi per giovani qualificati, oltre alla possibilità di lavorare nel settore disciplinare per il quale sono stati dedicati gli anni e le energie del periodo formativo. In ogni caso emerge che i nostri giovani sono ben considerati dal punto di vista della formazione, altamente qualificati per le posizioni offerte, capaci di portare valore e farsi apprezzare in ambiti professionali competitivi”.
Sul tema è intervenuto il professor Michele Lanzetta, direttore del CAFRE. “Il Progetto ItE - ha detto - mostra chiaramente l’urgenza di strategie coraggiose rivolte ai giovani e concordate fra università, aziende, istituzioni. Tra i punti di forza delle nostre iniziative è il coinvolgimento degli studenti nella progettazione, la formazione dei docenti e l'internazionalizzazione, strategie utili a migliorare il sistema paese".
Per maggiori informazioni e per guardare il video integrale della presentazione:
http://www-cafre.unipi.it/2020/10/convegno-italiani-emigrati-allestero.html
(fonte: CAFRE)
Borsa di Ricerca dal titolo “Studio della NETosi nelle patologie infiammatorie croniche delle alte e delle basse vie aeree”
Avviso di fabbisogno interno per l’incarico di: "Supporto allo sviluppo dell’attività di ricerca finalizzata a definire una metodologia integrata per il recupero e la valorizzazione dei centri storici minori".
Incarico di lavoro autonomo occasionale – Obblighi Formativi Aggiuntivi (OFA) in “Comprensione del testo” da conferirsi da parte della Direzione Servizi per la Didattica e gli Studenti.
Avviso di fabbisogno interno per il progetto di ricerca “Studio osteologico dei reperti umani rinvenuti nella campagna di scavo 2019 a Roselle (GR)”.
Borsa di ricerca “Progettazione di un dispositivo innovativo di controllo termico di una lampada a testa mobile e sviluppo di un modello semplificato per lo studio termico del fenomeno”
Avviso di fabbisogno interno " incarico per le esigenze del progetto di ricerca “Il Museo di Anatomia patologica: restauro e catalogazione dei reperti"
Sindrome di Pitt-Hopkins: all’Università di Pisa un progetto di ricerca studia le mutazioni del gene TCF4
Generare nuovi modelli per studiare gli effetti di tre mutazioni del gene TCF4 che causano la sindrome di Pitt-Hopkins, una rara patologia cranio-facciale che colpisce i bambini. È questo l’obiettivo di un progetto di ricerca coordinato dal Dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa che è stato finanziato dalla Comunità Europea nell’ambito del Consorzio Solve-RD, “Solving the unresolved rare diseases”. Il team di ricerca è composto dalla professoressa Michela Ori, responsabile del progetto, dalla dottoranda Miriam De Sarlo e dalla ricercatrice Chiara Gabellini. Partner della ricerca è il Centro Ospedaliero Universitario di Digione, in Francia, coordinato dal professor Antonio Vitobello.
Le ricercatrici utilizzeranno biotecnologie molecolari e tecniche di gene editing su modelli oggi ampiamente impiegati negli studi di biomedicina – come le larve del pesciolino Danio rerio (zebrafish) e della rana Xenopus laevis – per capire come queste mutazioni creino difetti nello sviluppo embrionale. Obiettivo finale è generare modelli ad oggi non esistenti su cui testare eventuali interventi terapeutici e che potranno essere utilizzati da tutta la comunità scientifica per studiare più approfonditamente le patologie associate a mutazioni in questo gene.
“I modelli che andremo a generare ci aiuteranno a studiare gli effetti di tre mutazioni del gene TCF4, descritte in bambini che presentano gravi difetti nella forma del viso e della testa e che hanno purtroppo un forte impatto su tutta la loro vita, sia da un punto di vista della salute che delle interazioni sociali – spiega la professoressa Michela Ori – La ricerca, oltre ad essere importante per dare risposte alle famiglie dei bambini coinvolti, è anche un esempio di approccio di medicina personalizzata: infatti ricreeremo nel pesciolino zebrafish la stessa mutazione genetica presente nei pazienti utilizzando le nuove tecnologie di gene editing grazie a CRISPR-Cas9, il sistema sviluppato da Jennifer Doudna e Emmanuelle Charpentier, le due scienziate insignite proprio quest’anno del Premio Nobel per la Chimica”.
Le mutazioni oggetto dello studio non sono mai state descritte in letteratura e il team di ricerca dell’Università di Pisa proverà a capire per la prima volta il meccanismo cellulare e molecolare che causa la patologia nei bambini.
Sindrome di Pitt-Hopkins: all’Università di Pisa un progetto di ricerca studia le mutazioni del gene TCF4
Generare nuovi modelli per studiare gli effetti di tre mutazioni del gene TCF4 che causano la sindrome di Pitt-Hopkins, una rara patologia cranio-facciale che colpisce i bambini. È questo l’obiettivo di un progetto di ricerca coordinato dal Dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa che è stato finanziato dalla Comunità Europea nell’ambito del Consorzio Solve-RD, “Solving the unresolved rare diseases”. Il team di ricerca è composto dalla professoressa Michela Ori, responsabile del progetto, dalla dottoranda Miriam De Sarlo e dalla ricercatrice Chiara Gabellini. Partner della ricerca è il Centro Ospedaliero Universitario di Digione, in Francia, coordinato dal professor Antonio Vitobello.
Nella foto il team di ricerca del Dipartimento di Biologia: da sinistra Miriam De Sarlo, la professoressa Michela Ori e Chiara Gabellini.
Le ricercatrici utilizzeranno biotecnologie molecolari e tecniche di gene editing su modelli oggi ampiamente impiegati negli studi di biomedicina – come le larve del pesciolino Danio rerio (zebrafish) e della rana Xenopus laevis – per capire come queste mutazioni creino difetti nello sviluppo embrionale. Obiettivo finale è generare modelli ad oggi non esistenti su cui testare eventuali interventi terapeutici e che potranno essere utilizzati da tutta la comunità scientifica per studiare più approfonditamente le patologie associate a mutazioni in questo gene.
“I modelli che andremo a generare ci aiuteranno a studiare gli effetti di tre mutazioni del gene TCF4, descritte in bambini che presentano gravi difetti nella forma del viso e della testa e che hanno purtroppo un forte impatto su tutta la loro vita, sia da un punto di vista della salute che delle interazioni sociali – spiega la professoressa Michela Ori – La ricerca, oltre ad essere importante per dare risposte alle famiglie dei bambini coinvolti, è anche un esempio di approccio di medicina personalizzata: infatti ricreeremo nel pesciolino zebrafish la stessa mutazione genetica presente nei pazienti utilizzando le nuove tecnologie di gene editing grazie a CRISPR-Cas9, il sistema sviluppato da Jennifer Doudna e Emmanuelle Charpentier, le due scienziate insignite proprio quest’anno del Premio Nobel per la Chimica”.
Le mutazioni oggetto dello studio non sono mai state descritte in letteratura e il team di ricerca dell’Università di Pisa proverà a capire per la prima volta il meccanismo cellulare e molecolare che causa la patologia nei bambini.