Arnaldo Testi è professore ordinario di Storia americana alla facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Pisa. Ha scritto una storia degli Stati Uniti in due volumi, La formazione degli Stati Uniti (Il Mulino, 2003) e Il secolo degli Stati Uniti (Il Mulino, 2008). Ha curato l'edizione italiana di Plunkitt di Tammany Hall (Ets, 2010). La sua ultima pubblicazione in volume è Capture the Flag: The Stars and Stripes in American History (New York University Press, 2010). L'articolo che segue prende spunto dal saggio Riprendersi l’America: il patriottismo americano dopo l’11 settembre, pubblicato nel volume Oltre il secolo americano? Gli Stati Uniti prima e dopo l'11 settembre, a cura di Raffaella Baritono e Elisabetta Vezzosi, Roma: Carocci, 2011.
Che i cittadini degli Stati Uniti siano patriottici sembra un fatto indiscutibile. Che siano fra i più disponibili del mondo occidentale a dirlo senza pudori, e a mostrarlo in pubblico esibendone i simboli più popolari, la bandiera e l'inno nazionale, anche. Che siano diventati ancora più patriottici dopo l'11 settembre 2001, appare ragionevole ed è una sensazione diffusa; ne sono convinti sia gli osservatori stranieri che gli americani stessi. E i sondaggi lo confermano, benché moderatamente e solo per un limitato periodo di tempo: dopo qualche anno, la febbre patriottica è scomparsa e si è tornati a livelli "normali" (comunque molto alti).
Certo, avvertono i sondaggisti, chiedere agli americani se sono patriottici, soprattutto in un tragico momento di emergenza, è un po' come chiedere loro se pagano le tasse o votano: vivono in una cultura politica in cui è difficile rispondere di no, anche se poi nella vita reale praticano una fisiologica evasione fiscale e una patologica diserzione delle urne. Quindi, i sondaggi sarebbe bene non prenderli troppo sul serio, anche se conviene tenerli presente, tanto per cominciare.
Naturalmente, capire che cosa significhi essere patriottici, che cosa significhi il patriottismo americano, è la vera questione da dipanare. Nel dibattito pubblico più partigiano e urlato, e dopo l'11 settembre si è urlato molto, capita di sentir parlare di rispetto o mancanza di rispetto per la bandiera, di chi recita e chi no il giuramento di fedeltà a essa (il Pledge of Allegiance), di chi porta o meno al bavero della giacca il distintivo a stelle e strisce (il flag pin, ormai un must per le persone pubbliche), del luogo in cui qualcuno vive o è nato (si è forse più patrioti nel cuore del continente, a Omaha, Nebraska, che ai suoi margini geografici e culturali, alle Hawaii, a Manhattan o, Dio ci scampi, a Cambridge, Massachusetts?).
I simboli sono importanti, quando sono considerati importanti; e tuttavia il discorso sul patriottismo va al di là del loro uso aggressivo, è ben più complesso e non può essere ignorato né dai politici che vogliano essere attivi ed efficaci nella polity democratica americana, né dagli osservatori che vogliano capire qualcosa della cultura politica degli Stati Uniti. Come ha ricordato Barack Obama, riflettere su questo discorso è necessario perché è di rilevanza strategica: «Dopo tutto, quando discutiamo di patriottismo, discutiamo di che cosa siamo come paese, e soprattutto di che cosa dovremmo essere». Ed è una discussione aperta da sempre, conflittuale, inasprita dopo l'11 settembre, e oggi, a dieci anni da quell'evento, più aspra che mai. Una discussione senza una soluzione univoca o inevitabile.
Per saperne di più:
Arnaldo Testi, Riprendersi l’America: il patriottismo americano dopo l’11 settembre, in Oltre il secolo americano? Gli Stati Uniti prima e dopo l'11 settembre, a cura di Raffaella Baritono e Elisabetta Vezzosi, Roma: Carocci, 2011
Sono aperte le iscrizioni al nuovo master attivato all'Università di Pisa in "Linguistica e nuove tecnologie per l'insegnamento delle lingue moderne (Inglese)". Il corso, le cui lezioni si svolgeranno presso il Centro linguistico interdipartimentale dal prossimo mese di dicembre fino a giugno 2012, è rivolto a laureati e insegnanti che intendono approfondire e aggiornare le proprie competenze e abilità didattico-professionali.
Il master si articola in moduli che analizzano le problematiche legate all'insegnamento della lingua inglese sia dal punto di vista teorico sia dal punto di vista applicativo. Oltre allo studio dei fondamenti neurocognitivi dell'apprendimento linguistico, sono trattati i principali orientamenti teorici della linguistica della lingua straniera, con attenzione alle attuali tendenze della grammatica della lingua inglese e sono messi a fuoco, in particolar modo, gli strumenti per lo sviluppo di una capacità autonoma di costruzione di modelli personalizzati dell'insegnamento. Vista la sempre maggiore importanza delle nuove tecnologie, il percorso del master dà particolare rilievo proprio al loro utilizzo nell'insegnamento delle lingue straniere. Per iscriversi c'è tempo fino al 31 ottobre. Maggiori informazioni sono disponibili sul sito www.unipi.it/master/dett_master281.html oppure www.cli.unipi.it.
Il canto e la poesia come armi di battaglia, come veri e propri strumenti di comunicazione rivoluzionari. E' questo un aspetto importante del Risorgimento livornese secondo Fabrizio Franceschini, professore di Linguistica italiana all'Università di Pisa, che sull'argomento ha scritto il saggio "Vite, lotte, versi: poeti popolari tra Toscana Corsica e Sardegna", scaricabile direttamente dal web (www.incontrotransfrontaliero.com) e comparso in un volume che raccoglie gli studi conclusivi del progetto "IN.CON.TRO (programma europeo Italia-Francia "Maritime").
"Si discute se il Risorgimento sia stato un fatto solo di élites intellettuali e di diplomazie. A differenza di quanto accadde nel resto della Toscana – spiega Franceschini – a Livorno le lotte risorgimentali furono davvero un fenomeno di massa e in questo senso la città è paragonabile a capitali italiane del movimento patriottico come Milano, Venezia o Roma". Nel suo studio Franceschini delinea i tratti di alcune "anime rivoluzionarie" della città labronica e della Toscana: anzitutto Giovanni Guarducci, capo della disesa antiaustriaca nel 1849, e poi Gian Luigi Tognocchi, Pirro Giacchi, e Demetrio Ciofi. "Siamo di fronte – continua Franceschini – a scrittori e poeti di varia estrazione sociale (Guarducci si occupava di commerci, Ciofi e Giacchi erano avvocati, Tognocchi un prete spretato) che misero al servizio del patriottismo tanto il fucile quanto la penna".
Le canzoni sovversive e anti-austriche che questi uomini scrissero spesso riprendevano arie d'opera o motivi popolari. Cantate per strada o nelle osterie, magari con l'accompagnamento di una chitarra, contribuirono a formare una coscienza risorgimentale diffusa e "dal basso". Pensiamo ad esempio alla Rondinella pellegrina, dal Marco Visconti di Tommaso Grossi, e alla Rondinella che libere l'ali stesa da Enrico Mayer nel carcere di Castel Sant'Angelo. Questi testi, nati per sottolineare l'infelicità degli esuli o dei prigionieri (tipicamente la rondine portava con sé notizie di chi era lontano), divennero una specie di "giornale cantato", dove si cambiavano le parole per raccontare le ultime novità dai campi di battaglia. Ci furono così la Rondinella di Livorno, scritta dopo l'arrivo degli austriaci (11 maggio 1849) che mise fine alla "Repubblica di Livorno", le Rondinelle legate alla II Guerra di Indipendenza e infine La Rondinella d'Aspromonte e quella di Mentana.
"Fra i patrioti livornesi e italiani che ripararono da Livorno a Bastia dopo l'arrivo degli austriaci – continua Franceschini – ci fu anche Guarducci, che di fatto divenne il capo della nutrita colonia italiana di esuli, composta da circa mille persone". Ma anche dalla Corsica questi uomini, penna in mano, continuarono a combattere inviando in Toscana opuscoli e canzoni "sovversive" stampate al di là del Tirreno. "Siam raminghi Livornesi, / siamo profughi infelici / ma terribili ai nemici / della nostra libertà./ Noi pugnammo un contro mille, / vinti sì, ma senza scorno: / la caduta di Livorno / tutta Italia onorerà", scriveva ad esempio Giacchi nel 1849. "In generale questi canti – spiega il professore – erano scritti in italiano, ma si usava anche il dialetto livornese (ad es. "noi semo livornesi/ veri repubbriàni,/ lo sa anch'er Cipriani/ se noi si sa pugnar"); analogamente a Roma il famoso Ciceruacchio, ossia Angelo Brunetti, usava il romanesco come strumento di comunicazione politica".
Un fenomeno particolare è poi l'uso del "bagitto", cioè del dialetto ebreo-livornese, nelle rime del Guarducci stampate a Bastia (che Franceschini sta per pubblicare in edizione critica e con un ampio studio presso Belforte di Livorno). Si tratta di poesie che satireggiavano non solo certi aspetti tradizionali della comunità ebraica livornese, ma anche gli israeliti impegnati in prima linea nel movimento patriottico e repubblicano, sulla linea indicata da Giuseppe Mazzini, mentre Guarducci era schierato sulle posizioni, spesso diverse e più moderate, di Francesco Domenico Guerrazzi. "E' probabile che Guarducci, ricordando anche in Corsica le lotte comuni e le rivalità intestine, – conclude Franceschini – riempisse il vuoto di azione dell'esilio, ma la faccenda aveva anche un risvolto economico: appena queste opere arrivavano a Livorno la comunità ebraica le acquistava in blocco per levarle di circolazione. Ma i proventi di queste vendite andavano comunque a sostenere la comunità degli esuli. Allo stesso modo Giacchi e Ciofi facevano al Teatro di Bastia serate di poesia estemporanea, devolvendo gli incassi a favore dei compagni in difficoltà. La poesia popolare era così uno strumento di lotta, ma anche di vita".
Ne hanno parlato:
Danilo Barsanti è docente di Storia contemporanea alla Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Pisa. Nei suoi numerosi studi si è interessato delle trasformazioni del territorio, delle istituzioni politiche, dei ceti dirigenti e dell'università nella Toscana dei secoli XVI-XIX con particolare riguardo all'area pisana e maremmana.
Il libro si compone di due parti costruite con l'utilizzo di documentazione archivistica inedita. Nella prima parte viene tracciato l'importante contributo in materia di supporto ideologico e di vite umane offerto dall'Università di Pisa alla prima guerra mondiale in nome degli ideali di indipendenza e compimento dell'unità nazionale tipici dell'interventismo democratico italiano e strettamente connessi con lo spirito patriottico risorgimentale, già testato dagli studenti e dai docenti pisani nelle gloriose battaglie di Curtatone e Montanara del 1848.
Ciò spiega la massiccia partecipazione alla guerra del personale docente (37 professori e 68 aiuti e assistenti) e impiegatizio (34 fra amministrativi, tecnici e inservienti) e soprattutto degli studenti (ben 1484). Alla fine del conflitto gli studenti dell'Università di Pisa morti risultarono 125 (36 di scienze, 34 di legge, 21 di agraria, 18 di medicina, 8 di lettere, 6 di veterinaria e 2 di farmacia), cui però andavano aggiunti 4 dispersi, 2 insegnanti, e 1 inserviente, per complessivi 132 caduti (di essi 2 erano studenti della Scuola Normale).
Si trattava di un numero elevato di caduti, pari all'8% di coloro che erano stati richiamati o andati volontari alle armi. Anche per questo il rettore Supino il 9 dicembre 1919 chiese e ottenne dal ministero della Pubblica Istruzione l'autorizzazione per poter istallare una epigrafe commemorativa in marmo nel cortile della Sapienza. L'impossibilità di trovare la copertura finanziaria della spesa complessiva prevista, costrinse l'amministrazione universitaria a rinviare la realizzazione del progetto. Solo il 29 maggio 1924 fu inaugurato nel cortile della Sapienza il monumento in memoria dei 132 universitari pisani morti nella Grande Guerra, scolpito dall'artista milanese Gigi Supino. Nel suo basamento trovava finalmente posto in una piccola lastra di bronzo quella lapide con i nomi degli studenti morti che cinque anni prima non si era riusciti a realizzare.
Nella seconda parte del volumetto, viene descritta la curiosa vicenda del conferimento della laurea pisana honoris causa al presidente americano Woodrow Wilson, quando questi nei primi giorni del gennaio 1919 in un veloce viaggio in Italia fu accolto entusiasticamente da tutte le forze politiche per il suo spirito umanitario e per l'intervento determinante degli Stati Uniti nella grande guerra, mentre amministrazioni comunali e università fecero a gara a conferirgli cittadinanze e lauree onorarie.
Anche il rettore Supino dovette essere ben contento di rendere esecutiva la proposta lanciata dalla facoltà di Giurisprudenza e cercò di affrettare i tempi per consegnare il diploma ufficiale al presidente Wilson durante la sua visita in Italia. Il 4 gennaio 1919 venne approntato il diploma in pergamena, con la motivazione che "il prof. Woodrow Wilson, dall'alto seggio di presidente degli Stati Uniti d'America ed in nome di quel libero popolo, tanto nobilmente ed efficacemente ha proclamato i principi di scienza e di giustizia, di civiltà e di umanità, professati dalla sua cattedra e nei suoi scritti".
Per la brevità del soggiorno italiano e la complessità delle cerimonie ufficiali, non fu possibile consegnare il diploma personalmente al presidente Wilson e di conseguenza si dovette accettare con dispiacere di farglielo recapitare a Parigi in un prezioso "astuccio di peluche bleu con sigillo universitario". Così il 14 gennaio 1919 il rettore Supino inviò il prezioso plico al ministero della Pubblica Istruzione, perché provvedesse a inoltrarlo alla nostra ambasciata di Parigi. Il 22 gennaio 1919 da Parigi il presidente del consiglio Vittorio Emanuele Orlando, colà arrivato ormai da una quindicina di giorni per la conferenza di pace, rassicura il rettore Supino di aver provveduto a far consegnare personalmente a Wilson il diploma. Il 30 gennaio 1919 Wilson in persona invia da Parigi una lettera autografa di ringraziamento al rettore Supino.
Dopo lo scontro apertosi sulla questione dalmata, le ragioni della politica presero il sopravvento su quelle della cultura e tutto fu messo a tacere e anche della moderata e prudente laudatio della laurea ad honorem pisana non si parlò più.
Danilo Barsanti
I primi resti sono venuti alla luce agli inizi di luglio, quando gli studenti dell'Università di Pisa hanno avviato la campagna di scavi presso la Badia Pozzeveri (Altopascio, Lucca) e rinvenuto le tracce di un cimitero risalente alla prima metà del XIX secolo. Antiche sepolture con preziose testimonianze del passato che, sottoposte a un'attenta campagna archeologica, potrebbero portare alla scoperta di reperti risalenti a periodi storici più lontani. "Il nostro obbiettivo è quello di esplorare i livelli di epoca medievale – dichiara Gino Fornaciari, direttore della divisione di Paleopatologia dell'Università di Pisa e responsabile della campagna archeologica. "Fra l'altro, è proprio intorno all'antica abbazia che nel 1325 lucchesi e fiorentini si affrontarono nella battaglia di Altopascio ed è probabile che nell'area intorno alla chiesa siano presenti le fosse comuni con i resti dei soldati caduti nello scontro. Inoltre, grazie a questo scavo sarà possibile tracciare non solo un quadro della ritualità funeraria medievale, ma anche conoscere qualcosa di più sulle antiche malattie e le epidemie che nel passato colpirono la zona".
Fino ad oggi sono stati rinvenuti i resti di 15 individui, tutti risalenti alla prima metà del XIX secolo. Tra questi uno scheletro che ha attirato subito l'attenzione degli archeologi perchè tumulato in una posizione non consueta per l'Ottocento. Si tratta infatti di una sepoltura prona, con il defunto con il volto rivolto verso il basso: "Questo tipo di tumulazione era presente in tempi molto più antichi rispetto all'epoca del cimitero - precisa il professor Fornaciari. "Inoltre era una pratica con un forte valore simbolico: talora erano gli eretici e le streghe ad essere sepolti a faccia in giù, ma nell'Ottocento questa usanza era ormai lontana. La nostra ipotesi è che si tratti di una sepoltura affrettata, probabilmente dettata dall'urgenza di liberarsi di un corpo affetto da qualche malattia infettiva. È noto infatti che questa zona fu colpita duramente dall'epidemia di colera del 1855 e quindi potrebbe trattarsi una vittima di quella malattia". I resti riportati alla luce verranno studiati con le tecniche più moderne nei laboratori di paleopatologia dell'Università che si trovano alla Certosa di Calci e alla Scuola Medica di via Roma.
La prima fase degli scavi ha avuto come protagonisti gli studenti del Master in Bioarcheologia, Paleopatologia e Antropologia Forense organizzato dalle Università di Bologna, Milano e Pisa, mentre dal 25 luglio parteciperanno allo scavo 25 studenti e dottorandi provenienti dalla Ohio State University, partner della campagna archeologica insieme alla Università di Pisa. Sul sito http://www.paleopatologia.it/ sarà possibile seguire l'avanzamento degli scavi giorno per giorno e leggere notizie storiche e curiosità sull'intera campagna di scavi.
Il progetto archeologico è svolto in collaborazione con la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana, con il Comune di Altopascio, col Comitato per Badia Pozzeveri e con la Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca.
I primi resti sono venuti alla luce agli inizi di luglio, quando gli studenti dell'Università di Pisa hanno avviato la campagna di scavi presso la Badia Pozzeveri (Altopascio, Lucca) e rinvenuto le tracce di un cimitero risalente alla prima metà del XIX secolo. Antiche sepolture con preziose testimonianze del passato che, sottoposte a un'attenta campagna archeologica, potrebbero portare alla scoperta di reperti risalenti a periodi storici più lontani. "Il nostro obbiettivo è quello di esplorare i livelli di epoca medievale – dichiara Gino Fornaciari, direttore della divisione di Paleopatologia dell'Università di Pisa e responsabile della campagna archeologica. "Fra l'altro, è proprio intorno all'antica abbazia che nel 1325 lucchesi e fiorentini si affrontarono nella battaglia di Altopascio ed è probabile che nell'area intorno alla chiesa siano presenti le fosse comuni con i resti dei soldati caduti nello scontro. Inoltre, grazie a questo scavo sarà possibile tracciare non solo un quadro della ritualità funeraria medievale, ma anche conoscere qualcosa di più sulle antiche malattie e le epidemie che nel passato colpirono la zona".
Fino ad oggi sono stati rinvenuti i resti di 15 individui, tutti risalenti alla prima metà del XIX secolo. Tra questi uno scheletro che ha attirato subito l'attenzione degli archeologi perchè tumulato in una posizione non consueta per l'Ottocento. Si tratta infatti di una sepoltura prona, con il defunto con il volto rivolto verso il basso: "Questo tipo di tumulazione era presente in tempi molto più antichi rispetto all'epoca del cimitero - precisa il professor Fornaciari. "Inoltre era una pratica con un forte valore simbolico: talora erano gli eretici e le streghe ad essere sepolti a faccia in giù, ma nell'Ottocento questa usanza era ormai lontana. La nostra ipotesi è che si tratti di una sepoltura affrettata, probabilmente dettata dall'urgenza di liberarsi di un corpo affetto da
qualche malattia infettiva. È noto infatti che questa zona fu colpita duramente dall'epidemia di colera del 1855 e quindi potrebbe trattarsi una vittima di quella malattia". I resti riportati alla luce verranno studiati con le tecniche più moderne nei laboratori di paleopatologia dell'Università che si trovano alla Certosa di Calci e alla Scuola Medica di via Roma.
La prima fase degli scavi ha avuto come protagonisti gli studenti del Master in Bioarcheologia, Paleopatologia e Antropologia Forense organizzato dalle Università di Bologna, Milano e Pisa, mentre dal 25 luglio parteciperanno allo scavo 25 studenti e dottorandi provenienti dalla Ohio State University, partner della campagna archeologica insieme alla Università di Pisa. Sul sito http://www.paleopatologia.it/ sarà possibile seguire l'avanzamento degli scavi giorno per giorno e leggere notizie storiche e curiosità sull'intera campagna di scavi. Il progetto archeologico è svolto in collaborazione con la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana, con il Comune di Altopascio, col Comitato per Badia Pozzeveri e con la Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca.
Ne hanno parlato:
Technological research, team work and multi-disciplinary competence are the key words of the 'E-Team', the University of Pisa racing team, which for many years has taken part in the 'Formula SAE' and 'Formula Student' international competitions. There is no exception to the above work involved in the creation of the new ET4, or rather Etken, which was inaugurated at Palazzo Vitelli in the presence of the Chancellor Massimo Augello and the Vice Chancellor, Nicoletta De Francesco.
The novelty of the 2011 vehicle begins with its name, the product of a sophisticated symbolic game. ET4, in fact, should more properly be read as Etken from the capital letter 'Ken' from the Armenian alphabet which looks very similar to a 4, whose Unicode (a standard for representing characters as integers) is 1343, the year the University of Pisa was founded. Furthermore, 'Ken' is an old English term that the philosopher John Locke used to identify knowledge and from which derives the single-seater's motto: "Think beyond your ken."
Technologically speaking this new vehicle (the fourth created and built by the Pisa University team) has an Aprilia SXV engine with its chassis in steel tubes created at the 'Pieracci Meccanica' garage and super-light components designed by the students and built by 'Brusa Meccaniche' and 'INFN.' Tests were carried out thanks to vehicles being available from 'Liberty Rentals.'
The 'E-Team Project' was established in 2008. Over the course of the years, the 34 (original) members from the Faculty of Engineering were joined by students from the Faculties of Economics, Law, Letters and philosophy, Foreign languages and literatures, and Political Science, whose competences are fundamental because the team is not called only to design and build the vehicles, but also to face problems relating to research and management of economic resources, marketing, public relations and communication.
After a rather radical generational overhaul this year the team is composed of 35 students from various scientific and 'humanities' Faculties.
The debut of the single-seater on the track dates back to 2008 on the Fiorano circuit in the 'Formula SAE Italy' race. The ETI ranked first among the novices and third among the Italian teams in the endurance race. 2009 was a crucial year. With ET2ev the Pisan team took part in the 'Formula Student Germany' driving on the historical Hockenheim track, together with other 78 teams from universities all over the world. They arrived at tenth place in the 'cost report' static test . In the same year they took part in 'Formula SAE Italy' at the Varano dè Melegari racetrack, under the eyes of a technical jury, composed of engineers from the most prestigious Italian automobile firms including: Lamborghini, Ferrari, Maserati and Dallara. In the race the single-seater came in at second place in the Italian group and twelfth place out of 39 of the international teams. They arrived at ninth place in the 'design event' static test and at fifth place in the 'cost event.' 2010 was the year of ET3, created by a more numerous and heterogeneous team (a mark of the growing notoriety of the project). The team returned to competitions in Italy and Germany and projected themselves up to the top place of all the Italian teams and reached ninth place in the world championships. The 2011 program is set to have 'Formula Student Germany' in August and 'Formula SAE Italy' in September.
The objectives reached in these years go beyond the already excellent sporting results. The 'E-Team Project', in fact, represents a training ground where the aim is to design and create, in a short time, a technologically advanced product which is solidly verifiable on the track when competing in races. A laboratory for learning through competition, therefore, is a priceless opportunity for young students who wish to work in the most prestigious car and motorbike firms in Italy and abroad.
Ricerca tecnologica, lavoro di gruppo e competenze multidisciplinari sono le parole d'ordine dell'E-Team (www.eteamsquadracorse.it), la squadra corse dell'Università di Pisa che da diversi anni partecipa alle competizioni internazionali della Formula SAE e della Formula Student. A queste regole non sfugge la nuova monoposto, la ET4 o meglio ETken, che è stata inaugurata a Palazzo Vitelli alla presenza del rettore Massimo Augello, del prorettore vicario, Nicoletta De Francesco, del faculty advisor, Massimo Guiggiani, e del capo progetto, Gabriele Fantechi. I due piloti sono Mario Bertolotto e Tommaso Castellini, entrambi studenti di Ingegneria.
Le novità della vettura 2011 partono dallo stesso nome, frutto di un sofisticato gioco simbolico. ET4, infatti, andrebbe letto più propriamente come ETken, dalla lettera maiuscola "ken" dell'alfabeto armeno molto simile a un 4, il cui numero Unicode è 1343, anno di fondazione dell'Università di Pisa. Inoltre "ken" è il termine in antico inglese che il filosofo John Locke utilizza per identificare la conoscenza e da qui deriva il motto della monoposto: "Think beyond your ken".
A livello tecnico la nuova vettura, la quarta ideata e costruita dal team universitario di Pisa, pesa circa 200 chili e monta un motore Aprilia SXV, con potenza di 65 cavalli e capacità di accelerazione da 0 a 100 chilometri in 4 secondi. Ha un telaio in tubi di acciaio realizzato alla Pieracci Meccanica e componenti superleggeri - cerchi in magnesio, carene, sospensioni e semiassi in carbonio - progettati dagli studenti e realizzati da Brusa Meccaniche e dall'INFN. È inoltre dotata di cambio sequenziale e telemetria bidirezionale. I test sono effettuati grazie agli automezzi messi a disposizione da Liberty Rentals.
Il progetto dell'E-Team è nato nel 2008. Nel corso degli anni, ai 34 elementi provenienti da Ingegneria si sono aggiunti studenti delle facoltà di Economia, Giurisprudenza, Lettere, Lingue e Scienze politiche, le cui competenze sono fondamentali perché, ai fini delle gare, la squadra non è chiamata solo a progettare e costruire la vettura, ma anche ad affrontare i problemi legati alla ricerca e gestione delle risorse economiche, al marketing, alle pubbliche relazioni e alla comunicazione. Dopo un ricambio generazionale piuttosto radicale, quest'anno la squadra è composta da 35 studenti di diverse facoltà scientifiche e umanistiche.
Il debutto in pista della monoposto risale al 2008, sul circuito di Fiorano, in una gara di Formula SAE Italy. La ET1 si classifica prima tra i debuttanti e terza tra le squadre italiane alla gara di durata. Il 2009 è un anno cruciale: con la ET2ev il team pisano prende parte alla Formula Student Germany, sullo storico circuito di Hockenheim, insieme ad altre 78 squadre provenienti dalle università di ogni parte del mondo e si qualifica al decimo posto nella prova statica del cost report. Nello stesso anno partecipa alla Formula SAE Italy, all'autodromo di Varano de' Melegari, sotto l'occhio di una giuria tecnica composta da ingegneri delle più prestigiose maison automobilistiche italiane tra le quali Lamborghini, Ferrari, Fiat, Maserati e Dallara. In gara la monoposto si piazza al secondo posto tra le italiane e al dodicesimo nella classifica generale dei 39 team internazionali. Ottiene inoltre il nono posto nella prova statica design event e il quinto nel cost event. Il 2010 è l'anno della ET3, realizzata da un team sempre più numeroso ed eterogeneo, segno dell'accresciuta notorietà del progetto. La squadra si ripresenta alle competizioni in Italia e Germania, proiettandosi al vertice tra le squadre italiane e al nono posto della classifica mondiale. Il programma del 2011 prevede la partecipazione alla Formula Student Germany in agosto e alla Formula SAE Italy in settembre.
Gli obiettivi raggiunti in questi anni vanno oltre i pur eccellenti risultati in ambito sportivo. Il progetto E-Team rappresenta infatti una palestra formativa in cui si deve progettare e realizzare, in tempi brevi, un prodotto tecnologicamente avanzato e che abbia una concreta verifica sul campo con la partecipazione alle gare. Un laboratorio per imparare attraverso la competizione, dunque, e un'opportunità preziosa per i giovani studenti che desiderano lavorare nelle più prestigiose case automobilistiche e motoristiche italiane ed estere.
Ne hanno parlato:
Annamaria Galoppini è stata a lungo titolare della cattedra di Diritto privato nella facoltà di Scienze politiche dell'Università di Pisa. Ha dedicato i suoi studi a temi di diritto privato con rilevanti profili politologici, quali la parità di trattamento (fra uomo e donna, fra le minoranze religiose e etniche) e la protezione dei soggetti deboli (infermi di mente, lavoratori subordinati), i rapporti familiari, la responsabilità per danni. Recentemente Annamaria Galoppini ha pubblicato un libro che ripercorre la storia delle donne all'Università di Pisa tra la fine del XIX e la metà del XX secolo.
Studiando i problemi della condizione femminile, come vado facendo da molto tempo, era naturale incontrare quello dell'accesso delle donne all'istruzione, in particolare all'istruzione superiore, nel quale le esponenti del movimento di emancipazione (prima fra tutte, Anna Maria Mozzoni) avevano visto il mezzo (insieme con il lavoro extradomestico) per liberare le donne dalla loro plurisecolare inferiorità civile e politica.
L'occasione mi è venuta dalla "Festa della Toscana", dedicata dalla Regione nel 2002 alla storia delle donne, nella sua dimensione regionale e nelle sue articolazioni locali. In una città come Pisa, la storia dell'istruzione femminile superiore si salda con quella della sua antica e celebre Università.
Lunghe indagini archivistiche e documentarie mi hanno portato ad elaborare elenchi di iscritte e di laureate e diplomate, con statistiche, grafici e tabelle sulla situazione delle studentesse pisane fino al 1940 e, su questa base, a costruirne la storia. Si è venuto così a delineare anche un profilo di storia dell'Università pisana, in quegli stessi anni: una storia, allo stato, tutta da scrivere.
Annamaria Galoppini
Per saperne di più:
Annamaria Galoppini, Le studentesse dell'Università di Pisa (1875-1940), Edizioni ETS, 2011
Scheda volume
Per tre giorni Pisa ha ospitato uno dei più grandi rappresentanti della psicologia contemporanea: Jerome Bruner. Studioso di psicologia, di diritto e di letteratura, Bruner, uno dei padri del cognitivismo e della psicologia culturale, può essere definito un grande umanista dei nostri tempi.
L’ultimo dei tre incontri, che si è tenuto il 6 luglio a giurisprudenza, è stato dedicato ai rapporti tra diritto, letteratura e vita. Un incontro molto partecipato, tanto che è stato necessario trovare un’aula più grande, mentre il novantaseienne professor Bruner aspettava pazientemente su una panchina nel cortile della Sapienza.
Poi l’aula è stata scelta, si è riempita, e alla fine, sorridente e appoggiandosi sul suo bastone è entrato in aula Jerome Bruner, che risponde abbastanza ai cliché del vecchio saggio, con la faccia abbronzata e segnata da profonde rughe e gli occhi ingranditi e un po’ deformati dalle lenti degli occhiali.
Dopo le presentazioni di Daria Coppola e Pierluigi Consorti, Bruner è “saltato”, come ha affermato, al cuore del tema del suo intervento: la necessità del rapporto tra letteratura e diritto, quindi la necessità di una forte interdisciplinarità nella ricerca e nella didattica accademica. Quell’ interdisciplinarità che, ha riconosciuto Consorti nella sua introduzione, suona ancora scandalosa, specialmente in ambito giuridico in Italia.
Il rapporto tra letteratura e diritto è invece secondo Bruner fondamentale: sia la letteratura che il diritto descrivono, ognuno a suo modo, la realtà sociale in cui hanno radici comuni.
Mentre la letteratura però esplora le possibilità della vita, ciò che potrebbe essere, il diritto impone delle costrizioni, limita le possibilità dentro delle norme, ed è sostenuto in questa limitazione dal complesso e potente apparato repressivo (magistratura e forze dell’ordine) di cui sono dotati gli stati moderni.
Nelle aule di tribunale anglosassoni, i testimoni cominciano alzando la mano destra e dicendo
“Giuro di dire la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità”. È impossibile, chiosa Bruner ridendo, però è chiaro che il diritto vuole la verità, mentre la letteratura vuole la verosimiglianza, ha come criterio ciò che è umanamente possibile.
Nonostante le loro grandissime differenze, diritto e letteratura hanno però bisogno l’uno dell’altra, condividono un approccio umano alla nostra condizione: condividono un modo di pensare “narrativo”, il modo in cui diamo senso alla condizione umana.
Per definire cosa è la narrazione Bruner ha come punto di riferimento un grande del pensiero classico, Aristotele, e il suo concetto di “peripeteia”, lo sconvolgimento delle attese per un evento imprevisto. Al centro di ogni buona storia c’è una violazione di un codice di norme, perchè ogni storia ha una sottostante assunzione di valori: la narrazione procede col tentativo di rimettere a posto le cose, di trovare una soluzione allo sconvolgimento che è successo.
Un altro grande punto di riferimento è Michail Bachtin quando afferma che la funzione della letteratura è di rendere strano ciò che è familiare.
Bruner mima la letteratura: la letteratura ti acchiappa per la giacca e dice “Ehi , aspetta un momento! Ti pare normale tutto questo?”. La letteratura ha quindi un carattere sovversivo e disturbante.
Nel suo corso ad Harvard Bruner ha deciso di alternare di settimana in settimana lo studio di casi giuridici allo studio di casi letterari: ad esempio è stato chiesto agli studenti di fare un’analisi giuridica dell’Orestea di Eschilo, che è particolarmente significativa per i suoi rapporti con il diritto. Allo stesso tempo anche i casi giuridici vengono studiati dal punto di vista letterario. La giustizia e il diritto devono gestire il conflitto tragico, e hanno bisogno della letteratura per comprendere la tragedia.
“Le tre giornate con Jerome Bruner” afferma Daria Coppola, del Dipartimento di Linguistica, una delle organizzatrici dell’iniziativa “sono state un’importante occasione di apertura dell’Università, di contatto tra il mondo accademico, la provincia, il comune e le scuole del territorio.
Spesso all’università si raggiungono risultati nel campo della ricerca di cui le scuole sono del tutto all’oscuro. Allo stesso tempo nelle scuole molti insegnanti sperimentano sul campo metodologie innovative che sarebbero estremamente interessanti per il mondo accademico. Gli incontri con Bruner sono stati una preziosa occasione non solo per riflettere assieme su temi importanti, ma anche per prendere contatti e gettare i semi per future collaborazioni.”
“L’importanza di figure come Bruner” continua Coppola “sta anche nel suo insistere sull’interdisciplinarità della ricerca e dell’attività accademica.A volte ci si chiude a coltivare il proprio giardinetto e si guarda solo a quello, senza accorgersi, a causa dei muri di recinzione, degli altri giardini che ci circondano; se si abbattessero le recinzioni, anziché avere tanti piccoli giardini avremmo un bel parco da coltivare assieme, con maggior beneficio per tutti. Oggi, con l’affermarsi di modelli aziendali anche per l’università, si insiste troppo sulla competizione e poco sulla collaborazione. Un grande maestro come Bruner ci ricorda che nel 21° secolo la ricerca o è interdisciplinare o non è”.